Il Regno di Dio è un seme nel campo

La vita del missionario diventa seme nascosto da Dio nel campo della vita. Ogni esistenza cristiana ha un suo sapore di salvezza. Tanti sono i missionari che hanno lavorato nel silenzio e nella fede attendendo i frutti che tardavano a venire. Ma Dio è fedele verso i suoi figli che ha inviato tra le genti.

Partito nel marzo 1852, Giovanni Mazzucconi giunse in Oceania nell’ottobre di quel­l’anno e là morì nella prima quindicina del settembre 1855, dopo neppure tre anni di vita missionaria. Si è tentati di dire che la sua vita sia stata stroncata proprio quando stava per incominciare… Ma nell’economia della vita, ciò che conta è la forza de! seme, che perdura lungo tutta l’esistenza. Giovanni ebbe questa percezione allo sbocciare del primo fiore di una pianticina di arancio ch’egli stesso aveva portato da Sydney e aveva piantato accanto alla sua capanna.

Meditativo com’era, la visione del fiore lo porta a riflettere sul senso della sua vita e a comporre una poesia:

Quel seme divino

In un suolo selvaggio ed incolto

piccol seme deposi sperando,

e quel seme già crebbe in virgulto,

già va ricco di fronde e di fior.

Si, coi fiori più vivi e leggiadri,

già quel seme il mio sguardo ricrea,

e rallegra il pensiero all’idea

d’un immenso di frutti tesor.

Ma, gran Padre! Quel seme divino

che deposi dell’uomo nel cuore,

quando, oh quando! una fronda ed un fiore,

quando un frutto sperato darà?

Deh pietà de’ tuoi figli.

Ci invia quella pioggia che tutto feconda,

deh! ch’io veda spuntare una fronda!

ed in pace il tuo servo morra!

Beato Giovanni Mazzucconi

PIME

Lieti nelle privazioni

  

Qualche missionario ha imparato ad accettare con spirito di sacrificio le condizioni di estrema povertà in cui si è trovato a vivere, e addirittura a sorridervi sopra. Nel libro «Sangue Fecon­do» di p. Antonio Lozza, PIME, così si legge a proposito di un primo impatto con la Birmania: «Gli inizi sono sempre penosi. Ma a Tarudda mancava tutto: non un buco ove abitare, non una stuoia su cui stendersi …

P. Mario Dall’Agnol adatta alla meglio un tugurio abbandonato e, per consolarsi di tanto squallore, ammirava il panorama veramente splendido. intanto scriveva: “Abito in una capanna di bambù, posta su un cucuzzolo di monte sovrastante il villaggio di Tarudda. Vento e sole entrano liberamente; se piove ho il bagno a domicilio, proprio come i grandi signori… Eh, quando uno nasce fortunato! Per mobilio due sedie e un tavolino fatto col coltellaccio del mio catechista; per cibo un po’ di riso con erbe di Bhyrapatnam. Ci rimasi per tre mesi. Il giovane padre Iginio Chinellato, da vero cavaliere, mi cede la stanza più bella. Che reggia, quella casa! Una capanna con muri di fango e tetto di foglie, circondata dagli acquitrini delle risaie. Lucertole, formiche, scorpioni, rane, zanzare, topi, cani, gatti, uccelli: insomma, tutti gli animali creati dal buon Dio convivono con me, in perfetto comunismo, nella mia capanna. Le zanzare! che il Cielo le benedica! Di notte specialmente, vengono a cantarmi attorno alle orecchie le loro canzoni più belle e a darmi i.… più affettuosi baci. Pianto una zanzariera, e così evito di rendermi irriconoscente verso di Ioro, col prenderle a schiaffi, quando non si posano sulla faccia, sul collo, sulle braccia, sulle gambe. I topi devono essersi accorti di tanta mia mansuetudine e sono così audaci che, di notte, vengono a saltarmi sulla branda. Uno di Ioro, una notte, me lo trovo sul muso, e un’altra notte, un altro comincia a graffiarmi un piede. Ma questo ci lascia la pelle sotto una terribile bastonata». «Sangue Fecon­do» di p. Antonio Lozza.

Il missionario è una persona di frontiera

Sr. Rosanna Marchetti, missionaria dell’Immacolata – Pime in Brasile scrive: “Il missionario è una persona di frontiera, che si pone negli spazi geografici e esistenziali che lo provocano ad andare oltre. Anche Gesù molte volte nei Vangeli ha varcato frontiere territoriali per incontrare popoli e culture che erano poste ai margini o addirittura non accettate dal suo proprio popolo.

La frontiera è una sfida perché chi la varca non conosce ciò che lo/la attende. Un popolo, una cultura, una lingua che non è la propria e che esige un uscire dalla propria zona di conforto per aprirsi al nuovo. Questa attitudine esige flessibilità e uno sguardo capace di cogliere il positivo che esiste attorno a noi. Varcando una frontiera, non si incontra solo una cultura ma anche un modo di vivere la fede che a volte ci mette a disagio e allora è necessario comprendere in profondità la storia e la vita di un popolo per entrare nel mondo del sacro, che si costruisce nel tempo.

La frontiera è geografica e la passiamo con il corpo e con la mente ma esistono frontiere esistenziali che il missionario è chiamato a varcare con il cuore perché disposto ad entrare nelle ferite dell’umanità, nel cuore di coloro che incontra ai margini della strada, come lo straniero di cui si parla nella parabola del Buon Samaritano. È la frontiera più difficile da superare perché è necessario andare al di là dei pregiudizi e dei preconcetti che vivono in noi e farsi concretamente “prossimo”.

Queste frontiere sono attorno a noi ma anche dentro di noi!

“Vivendo in Amazzonia, sto facendo un’esperienza straordinaria di superamento delle frontiere culturali, incontrando popoli nativi (indigeni, meticci, Afro discendenti) e immergendomi nella loro saggezza, nonché in un mondo di riti e culture così diversi dai miei. Questa diversità mi affascina profondamente, non tanto per l’aspetto folclorico, piuttosto per la sua profondità. È una fede semplice, in sintonia con il creato, che sa contemplare e vedere la vita come dono in tutti i suoi aspetti. Che ringrazia e loda il Signore per tutto ciò che offre come opportunità di vita. Una fede e una vita diversa dalla mia ma nella quale sento risuonare la voce di Dio e della creazione”.

La scienza della croce secondo Paolo Manna  

«Per patire insieme con Lui (Cristo) io sopporto tutto, perché me ne dà la forza interiore Lui, che è diventato l’uomo perfetto». (Ignazio di Antiochia)

Il Beato padre Paolo Manna (1872-1952), Superiore Generale del PIME, è maestro di spiritualità missionaria per il suo Istituto e per la Chiesa. Dal suo libro Virtù Apostoliche ricaviamo alcune espressioni che ci aiuteranno alla vera assimilazione al mistero di Cristo.

“Il missionario non è niente se non impersona Gesù Cristo. Solo il missionario che lo copia fedelmente in se stesso può dire ai popoli con l’apostolo Paolo: – Siate miei imitatori come io lo sono di Cristo. Il missionario deve avere una vera passione per le anime. Ma come avrà questo amore se non è un uomo di orazione? –  Ogni zelo che non zampilla dal mistero della croce è effimero. (pagg. 16-18 ) 

Il crocifisso ci fece missionari, ed è il crocifisso ancora che deve nutrire in noi l’amore per i fratelli… Innamorati di Gesù Cristo, saremo grandi missionari. (pagg. 177-178 )

Non capisce la sua vocazione di missionario chi, accettando la parte attiva del suo ministero di insegnare, predicare, battezzare, non accetta anche la parte passiva di vittima per Gesù… Se vogliamo quindi essere cooperatori della redenzione, studiamoci, come tutti i grandi uomini apostolici, di vivere e offrirci crocifissi con nostro Signore Gesù Cristo. (pagg. 176-177)

Tra le privazioni e le fatiche di cui è intessuta la vita di missione, ci sono difficoltà ed angosce che conobbero anche gli apostoli, pene e angosce capaci di abbattere anche gli animi più forti e generosi, se non sono sostenuti dalla potente Grazia di Dio: la poca corrispondenza, l’ingratitudine, la solitudine e l’abbandono, i malintesi, la pochezza dei mezzi, le tentazioni… tutte difficoltà capaci di produrre tristezza e sfiducia. Chi potrà sostenerci in tali frangenti? Dio, solo Dio, se pregato con spirito di umiltà e di filiale, fiducioso abbandono. (pag. 22 )

Se tanti missionari hanno sofferto assai e soffrono tuttora, se alcuni hanno patito prigionia, fame, sete…se ci vediamo perseguitati, …. allora abbiamo buon diritto di sperare bene per l’avvenire delle nostre missioni…. è la filosofia dell’apostolato, questa è la politica di Dio”. (pagg. 142-143 )

Santa Teresa, anima missionaria

Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo ha scritto: «È la fiducia e null’altro che la fiducia che deve condurci all’Amore!».

Papa Francesco scrive: “Queste parole così incisive dicono tutto, sintetizzano il genio della sua spiritualità e sarebbero sufficienti per giustificare il fatto che sia stata dichiarata Dottore della Chiesa. Soltanto la fiducia, “null’altro”, non c’è un’altra via da percorrere per essere condotti all’Amore che tutto dona. Con la fiducia, la sorgente della grazia trabocca nella nostra vita, il Vangelo si fa carne in noi e ci trasforma in canali di misericordia per i fratelli.

Come succede in ogni incontro autentico con Cristo, questa esperienza di fede la chiamava alla missione. Teresa ha potuto definire la sua missione con queste parole: «In Cielo desidererò la stessa cosa che in terra: amare Gesù e farlo amare». Ha scritto che era entrata nel Carmelo «per salvare le anime». Vale a dire che non concepiva la sua consacrazione a Dio senza la ricerca del bene dei fratelli. Lei condivideva l’amore misericordioso del Padre per il figlio peccatore e quello del Buon Pastore per le pecore perdute, lontane, ferite. Per questo è patrona delle missioni, maestra di evangelizzazione.

Le ultime pagine della Storia di un’anima  sono un testamento missionario, esprimono il suo modo di intendere l’evangelizzazione per attrazione, non per pressione o proselitismo. Vale la pena leggere come lo sintetizza lei stessa: «“ Attirami, noi correremo all’effluvio dei tuoi profumi”. O Gesù, dunque non è nemmeno necessario dire: Attirando me, attira le anime che amo. Questa semplice parola: “Attirami” basta. Signore, lo capisco, quando un’anima si è lasciata avvincere dall’odore inebriante dei tuoi profumi, non potrebbe correre da sola, tutte le anime che ama vengono trascinate dietro di lei: questo avviene senza costrizione, senza sforzo, è una conseguenza naturale della sua attrazione verso di te. Come un torrente che si getta impetuoso nell’oceano trascina dietro di sé tutto ciò che ha incontrato al suo passaggio, così, o mio Gesù, l’anima che si immerge nell’oceano senza sponde del tuo amore attira con sé tutti i tesori che possiede… Signore, tu lo sai, io non ho altri tesori se non le anime che ti è piaciuto unire alla mia».  Ciò che colpisce è come Teresina, consapevole di essere vicina alla morte, non viva questo mistero rinchiusa in sé stessa, solo in senso consolatorio, ma con un fervente spirito apostolico.

La grazia che ci libera dall’autoreferenzialità

Qualcosa di simile accade quando si riferisce all’azione dello Spirito Santo, che acquista immediatamente un senso missionario: «Ecco la mia preghiera: chiedo a Gesù di attirarmi nelle fiamme del suo amore, di unirmi così strettamente a Lui, che Egli viva ed agisca in me. Sento che quanto più il fuoco dell’amore infiammerà il mio cuore, quanto più dirò: Attirami, tanto più le anime che si avvicineranno a me (povero piccolo rottame di ferro inutile, se mi allontanassi dal braciere divino) correranno rapidamente all’effluvio dei profumi del loro Amato, perché un’anima infiammata di amore non può restare inattiva».

Nel cuore di Teresina, la grazia del battesimo è diventata un torrente impetuoso che sfocia nell’oceano dell’amore di Cristo, trascinando con sé una moltitudine di sorelle e fratelli, ciò che è avvenuto specialmente dopo la sua morte. È stata la sua promessa «pioggia di rose ».

 

 

 

 

 

Il santo è il Vangelo vissuto oggi

Piero Gheddo ( 1929-2017), missionario giornalista del PIME, scrive:  «Chi è per te Gesù Cristo?». La fede non è solo un fatto intellettuale staccato dall’esistenza quotidiana, ma amore e passione per Cristo che trasforma tutta la vita. Il Papa lo dice con chiarezza: la missione è comunicazione di un’esperienza , per cui «il vero missionario è il santo» (Redemptoris Missio, n. 90). Chi vive veramente il vangelo vale di più, per la missione e la nuova evangelizzazione, di tutti i piani pastorali e i documenti e i comitati, perché «il Santo è il Vangelo vissuto oggi», come ha detto il Card. Carlo Maria Martini.

Studiando bene le lettere di due Servi di Dio, Marcello Candia e Beato Clemente Vismara, mi sono convinto di questo: la mediocrità della nostra vita, che a volte ci rende tristi e scontenti, scoraggiati e pessimisti, non viene da difficili condizioni esterne, da scarsa cultura o salute o successo; viene dalla nostra poca comunione con Dio, dal fatto che la nostra fede è debole e limitata al piano intellettuale: non ci riscalda, non ci dà forza né gioia nelle avversità. Candia e Vismara, pur avendo avuto vite difficili con molte sofferenze, incomprensioni, difficoltà malattie, erano sempre pieni di gioia perché conoscevano bene e amavano profondamente il Signore.

Dobbiamo essere innamorati di Gesù! San Paolo diceva di essere stato «afferrato da Cristo Gesù» (Filippesi, 3, 12): «Mihi vivere Christus est», per me vivere è Cristo. E aggiungeva: «Quello che per me era un vantaggio, per amore di Cristo l’ho ritenuto una perdita. Considero ogni cosa come un nulla in confronto alla suprema conoscenza di Cristo Gesù mio Signore, per il quale mi sono privato di tutto e tutto ritengo come spazzatura, pur di guadagnare Cristo» (Filippesi 3, 7-8). Gli esegeti hanno contato nelle lettere di San Paolo 164 volte l’espressione: “in Christo“, cioè la vita in Cristo. «Chi è il missionario?» hanno chiesto una volta a Madre Teresa, che ha risposto: «È quel cristiano talmente innamorato di Gesù Cristo, da non desiderare altro che di farlo conoscere e amare».