L’iraniana che ha osato leggere i testi sacri

Nel numero 65 del mensile dell’Osservatore Romano “Donne Chiesa Mondo”,  leggiamo un servizio su Donne e islam. Elena Buia Brut scrive l’articolo Táhirih Qurratu l’Ayn: L’iraniana che ha osato leggere i testi sacri.

Táhirih Qurratu l’Ayn, poetessa e teologa iraniana finisce i suoi ultimi anni di prigionia a Teheran tra il 1842 e il 1852, avendo sfidato la feroce chiusura del potere islamico politico e religioso in Persia. Sotto la dominazione di Shah Nasiru’d-Din, in un’epoca in cui le donne in Iran non hanno il diritto di imparare a leggere e scrivere, Táhirih, nata in una famiglia di eruditi mullah, osa studiare i testi sacri, discutendone in pubblico con competenza, primeggiando addirittura con coraggio sugli uomini. Il padre l’ha educata «come un ragazzo», insegnandole a leggere e a scrivere, permettendole così di accedere al Corano e di esprimere in poesie e in preghiere il suo talento artistico.(…)

Táhirih Qurratu l-’Ayn, il cui nome significa la “Pura” e “Consolazione degli occhi”, diviene nel frattempo leader della fede Babi, accettando la rivelazione di Ali Muhammad di Shiraz, il Báb, divenendone, unica donna, devota seguace. La Conferenza di Badasht, del luglio 1848, vede la rottura di questo nuovo credo con l’islam, rottura fortemente voluta da Táhirih che interpreta il babismo come una religione autonoma, intenzionata a prendere le distanze dall’islam di cui riconosce il Corano ma non la sharīa: Táhirih, infatti, rifiuta innanzitutto il ruolo di sudditanza e invisibilità in cui vengono relegate le donne musulmane. Ella è «la donna che ha letto troppo», il cui accesso al sapere ha fatto maturare un’imprescindibile consapevolezza di sé: è il vessillo della libertà ottenuta attraverso una conoscenza fatta di letture, ponderazione, creatività, una libertà che l’autorità maschile non ha intenzione di concedere alle donne. (…). Le donne persiane, fino all’incirca al XX secolo, non sono state autorizzate a «lasciare traccia di sé», nessun pensiero, neanche il nome, la propria firma. Eppure, in tale “deserto”, la poetessa di Qazvin combatte l’autorità patriarcale con incrollabile fiducia, senza mai essere abbandonata dalla speranza di un cambiamento futuro; sfida lo status quo in modo spettacolare, togliendosi il velo in pubblico in un’assemblea di uomini; insegna instancabilmente a leggere, a scrivere e a pensare alle altre donne, affinché siano «autonome», dunque libere. A seguito di un tentativo fallito di uccidere lo Shah da parte di alcuni giovani fanatici babi, la madre dello Shah scatena una feroce ritorsione, che provoca l’assassinio di migliaia di persone innocenti. Táhirih, giudicata complice dell’attentato ed eretica, è imprigionata e giustiziata nell’agosto del 1852 a soli 38 anni: viene strangolata… dopo essere stata tenuta prigioniera per tre anni. Si reca all’esecuzione vestita a festa, pronunciando parole che parlano forte e chiaro anche al mondo di oggi: «Potete uccidermi quando volete, ma non potete fermare l’emancipazione delle donne».

 

 

LIBANO- Profanatori di una statua di Maria, “condannati” a memorizzare la Sura del Corano sulla Madre di Gesù

Due giovani, allievi musulmani della scuola tecnica di Mounjez (un villaggio abitato in gran maggioranza da cristiani, nella regione di Akkar), alcuni giorni fa si erano introdotti in una chiesa e avevano compiuto gesti oltraggiosi nei confronti di una statua della Madonna. I due ragazzi avevano anche filmato la loro bravata sacrilega, e l’avevano diffusa tra i loro compagni attraverso i social media. La polizia li aveva arrestati, e gli organismi giudiziari si erano subito attivati per stabilire la pena da comminare con sollecitudine, anche per dare un segnale rapido e efficace e prevenire l’accendersi di nuovi conflitti settari. Il giudice Jocelyne Matta, incaricata di pronunciarsi sul caso, all’udienza di giovedì 8 febbraio ha preferito impartire ai due imputati una lezione di cultura religiosa islamica, piuttosto che ricorrere a pene detentive. In sede processuale, il magistrato Matta ha letto da una copia del Corano la Surah al Imran, che esprime la venerazione tributata a Maria nel Testo Sacro dell’islam, disponendo come pena per i due giovani imputati la lettura, la memorizzazione e la recita di quel testo. La proposta del magistrato è stata approvata e notificata dal tribunale di Tripoli, che ha dato mandato a un responsabile del tribunale dei minori di aiutare i ragazzi nella memorizzazione della Sura coranica su Maria. Prima di essere rilasciati, i due imputati hanno espresso pentimento per l’azione compiuta. (Agenzia Fides 12/2/2018)

L’islam condivide con ebraismo e cristianesimo il suo alfabeto religioso

Per i miei amici lettori (non so quanti mi leggono ancora), mi permetto di cogliere parte di un vecchio testo di Lorenzo Fazzini su Avvenire del 9 gennaio 2010 e consiglio di rileggerlo intero in Internet.

Joachim Gnilka, noto esegeta di Münster (lodato da Benedetto XVI per il suo Gesù di Nazaret. Annuncio e Storia, Paideia), affermava di recente in un suo saggio – in Francia edito da Cerf con il titolo Qui sont le chrétiens du Coran – che le radici cristiane del Corano sono prettamente di ambiente matteano e probabilmente di natura giudaico-cristiana. Scoperta che faceva dire a Gnilka: «Riteniamo che il Corano non presuppone una conoscenza diretta degli scritti canonici neotestamentari», ma solo una parte di essi, quella accettata dai giudeo-cristiani eretici rispetto alla comunità canonica retta da Pietro. Un dato comunque che conferma la linea-Cuypers, membro della Fraternità dei Piccoli Fratelli di Gesù : il Corano si è modellato su una radice semitica, simile a quella biblica. Scrive Cuypers: «Il risultato più importante è stato mostrare che il Corano è un testo costruito a dovere, letterariamente molto elaborato. È una constatazione che deriva da un’analisi metodica e rigorosa del testo». In cosa si nota questa «razionalità» del Corano? «Il testo obbedisce esattamente a tutte le regole della retorica semitica», soprattutto alle composizioni simmetriche quali parallelismi, chiasmi, composizioni concentriche, ripetizioni, sinonimie, antitesi, figure retoriche che Cuypers riprende da Meynet, esegeta della Gregoriana. Cuypers annota ancora: «Una lettura attenta del testo mi ha convinto di numerosi riferimenti [nel Corano, ndr] a testi anteriori: prima di tutto la Bibbia (Antico e Nuovo Testamento), ma anche testi rabbinici (la Mishnah) o apocrifi (Infanzia di Gesù). Alcuni di questi riferimenti sono noti da tempo, ma altri sono nuovi o inattesi (come il Deuteronomio, alcuni Salmi, il capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, Passi di San Matteo o della lettera agli Ebrei)».  L’islam condivide con ebraismo e cristianesimo il suo alfabeto religioso. In tempi di stentato dialogo interreligioso, non è annotazione da poco.