In ricordo di don Franco Marton

Mentre in preghiera mi unisco a tutti i fedeli della diocesi di Treviso per la scomparsa di don Franco Marton, deceduto domenica 24 aprile, vorrei far giungere una parola a nome dei missionari e delle missionarie di quella terra.

Ritornando dalla missione, don Franco ti accoglieva, facendoti sentire la stima e l’affetto della diocesi di Treviso. Non eri l’individuo che viveva la sua missione, la sua realtà a parte. Egli si sentiva coinvolto in quello che dicevi, che era anche il suo mondo e faceva coinvolgere la diocesi. Seppe anche mantenere unita la missione dei trevisani fidei donum e dei trevisani degli istituti e delle congregazioni missionarie. Riusciva a far sentire ai membri della diocesi la comunione coi partenti e a mantenerla viva. I preti trevisani gli erano uniti, si sentivano ben rappresentati da lui nella sua attività missionaria e la condividevano e i missionari hanno beneficiato della stima e dell’affetto di tutta la diocesi. Forte e profondo in lui e nel clero diocesano il senso ecclesiale e missionario del sacerdozio.

La missionarietà si mantenne viva e profonda, una delle note più belle e amate dalla diocesi. Scrisse varie biografie di missionari e ci accompagnava fraternamente anche coi suoi scritti e con le sue riflessioni intelligenti e appassionate. La sua missionarietà usciva lontano e don Franco era presente e attivo anche in Italia.

Di lui, un altro direttore dell’ufficio missionario, don Mario Bandera, scrive: «La costante che ha caratterizzato gli incontri degli animatori missionari in Italia, prima a Barzio poi al CUM di Verona, da parte dei CMD del Nord Italia, in tutti questi anni, la si deve anche alla insistente e dolce caparbietà di alcuni Direttori (basti pensare a don Olivo Dragoni di Lodi e don Franco Marton di Treviso) che sempre spinsero perché gli animatori missionari non si stancassero mai di leggere e analizzare i “segni dei tempi” alla luce del Vangelo e di mettere i poveri al centro del nostro impegno missionario. Tutto ciò si può riassumere in una frase che fu il contenuto di qualche anno fa, che diceva: “Dimenticare i poveri è distruggere la missione”, una fedeltà che non senza fatica, ancora oggi si cerca di onorare».

La diocesi di Treviso può celebrare con gioia l’entrata in Cielo di un missionario come don Franco Marton. Assieme a lui ricordiamo mons. Raimondo Squizzato che l’ha preceduto e incoraggiamo don Silvano nell’animazione attuale.

 

Come dialogare con l’“altro” secondo Pierre Claverie

Pierre Claverie, vescovo di Orano (Algeria), fu ucciso venti anni fa il primo agosto 1996.

Nei suoi scritti possiamo leggere come si poneva di fronte e insieme alle persone di cultura e religione diverse. Ciò può interessarci, perché ormai tutti e ovunque incontriamo il cosiddetto “altro” da noi.

«Due persone possono essere due universi, diversi come persone e anche per cultura e religione. Le due persone possono evitarsi… e tutto è risolto, oppure cercano di incontrarsi e allora devono fissare una strategia dell’incontro. Ciò che è più importante non è di vedere subito quello che ci assomiglia e ci accomuna, ma quello che ci fa diversi. Partiamo subito a riconoscerci nella differenza: “Io sono così e tu sei così”. Scopriamolo bene e cerchiamo di avvicinarci. La base necessaria comune è quella di lasciare l’illusione che le parole dicano la stessa cosa. Preferisco pensare subito che l’altro è altro, e io non sarò mai l’altro, nonostante il desiderio di fare comunione con lui, di conoscerlo… amarlo. È impossibile! Non esiste incontro, coesistenza, dialogo, amicizia se non sulla base di una differenza riconosciuta e accettata. Amare l’altro nella sua differenza è la sola possibilità di amarlo. L’altro ha le sue ragioni per vedere le cose diversamente da me, ha diritto di essere altro, se stesso… non me. Si tratta di permettere che egli sia quello che è e non di forzare le distanze, i momenti, i tempi… Si tratta di rispetto, di relazione. L’altra attitudine necessaria è di mettersi in situazione di accogliere e di ricevere qualcosa dall’“altro”. La carità migliore è di domandare, non di dare. Così la persona si sente valutata, si risente in modo nuovo… Gesù domanda e fa il miracolo che le persone riprendano un nuovo cammino quando invece prima si sentivano giudicate e messe da parte. Per Gesù ogni incontro è segno della venuta di Qualcuno. Ogni venuta porta una chiamata del Padre per allacciare una nuova amicizia. Gesù vede sempre Dio che viene, in ogni persona… il Padre che lo ama , lo chiama, lo manda. Si tratta della forza e della luce della fede che anima e valorizza ogni momento della vita. Senza questa fede ogni  osservanza religiosa sarebbe vuota. Qualcuno ci precede… ci ha amato e ci ama per primo».  (Dal libro Petit traité de la rencontre et du dialogue, Ed. Cerf)

Alla morte del vescovo Claverie, ucciso assieme al suo autista, Abderrahman disse: «Pierre Claverie  mi ha spinto su una nuova strada. La mia visione dell’islam è diventata più critica, più antropologica. La mia fede si è sviluppata in favore della riconciliazione con l’altro». E Oum el Kheir:  «Claverie mi ha insegnato ad amare l’islam, mi ha insegnato a essere musulmana, amica dei cristiani d’Algeria. Ho imparato che l’amicizia è anzitutto fede in Dio, amore dell’altro, solidarietà umana».