L’anno scolastico 1926 ebbe inizio nel tardo autunno. Venne l’inverno e del riscaldamento non c’era neanche il fumo! Padre Pagani andava mendicando per noi patate, fagioli, salami e “musetti”, e noi gli facevamo gran festa, quando arrivava a casa stanco e felice. Alle preghiere della sera aspettavamo la sua parola calda e paterna: ci raccontava i fatti più importanti della giornata, alle volte ci rimproverava ed allora la sua voce si velava di tristezza. Negli anni 1928 e 1929, la casa subì alcune trasformazioni interne, che furono possibili grazie all’aiuto dei benefattori e del fedelissimo nostro tecnico Comm. Celestino Valz Brenta. In quegli anni venivamo istruiti da un corpo insegnante composto in gran parte da Sacerdoti trevigiani esemplari e competenti: mentre alla nostra formazione spirituale collaborarono efficacemente il sempre presente Mons. Valentino Spigariol, don Giuseppe Bollato, confessore di suor Bertilla, e don Giuseppe Sommavilla, che era intimo di padre Salvi e lo volle festeggiare in occasione del 50° di Messa. I chierici prefetti, gli assistenti dei ragazzi, frequentarono per diversi anni i corsi teologici nel Seminario diocesano. Nei giorni stabiliti per le Confessioni, mentre noi eravamo in attesa alla porta di padre Salvi, ci capitava di tanto in tanto di vedere il vescovo di Treviso arrivare vicino a noi, per mettersi in coda ad attendere il suo turno ed entrare a fare anche lui la Confessione. Noi volevamo cedergli il postò, ma mons. Longhin non accettava e voleva attendere in raccoglimento. Avevamo sotto gli occhi un esempio vivente di fede, di pietà e di umiltà. Nel 1935 P. Pagani lasciò Treviso e fu sostituito prima da padre Guglielmo Sinelli e poi da P. Amato Maquignaz. Nell’anno scolastico 1938-39, venne padre Emilio Terruzzi, che, alla fine dell’anno, ritornò ad Hong Kong e, dopo poco tempo, morì trucidato. L’opera nostra si era intanto consolidata e gli anni si susseguirono con ritmo normale fino al 1940 quando in giugno scoppiò la guerra.
Archivio mensile:Novembre 2021
Mons. Mistrorigo all’ inaugurazione del nuovo seminario di Preganziol
Ecco il discorso che il vescovo di Treviso, mons. Antonio Mistrorigo, pronunciò inaugurando il nuovo seminario del Pime alla periferia della città, il 29 giugno 1967. È un testo che ci pare altamente significativo per avviare una più stretta collaborazione fra diocesi e istituti missionari, al di là del caso particolare rappresentato dalla diocesi di Treviso e dal Pime.
Unione fra diocesi ed istituti
È una giornata indimenticabile, questa: per i bravi missionari del Pime che vedono coronati di successo tanti loro sforzi e speranze, e per la diocesi, che partecipa a questo avvenimento dell’inaugurazione d’un nuovo seminario missionario come ad una cosa sua. È con questo spirito che noi oggi siamo qui presenti, per sentire con i missionari i grandi problemi della Chiesa, per realizzare con loro un migliore lavoro nella Chiesa ed al servizio dell’umanità. Noi tutti lo sappiamo: i missionari da soli non bastano più e le diocesi da sole non possono dare un impulso sufficiente all’evangelizzazione del mondo non cristiano. Bisogna quindi mettere assieme le forze, sentirci uniti senza alcuna distinzione e lavorare uniti per l’unico scopo, che è di portare Cristo a tutte le genti e di fondare la Chiesa presso tutti i popoli. Convinti di questa necessità d’unione fra diocesi ed istituti, abbiamo voluto dare l’esempio nella nostra diocesi di Treviso.
Il seminario missionario che oggi inauguriamo, noi lo consideriamo come nostro, pur nel rispetto dell’autonomia di vita interna di cui esso deve godere. L’esempio più bello di questa nostra unione e collaborazione l’abbiamo dato questa mattina, consegnando il crocifisso a quattro missionari partenti per la lontana terra africana del Camerun: due di essi sono del Pime e due sono nostri sacerdoti diocesani. Sono missionari di due famiglie, ma che sono diventati d’una sola famiglia, perché avviati ad un’unica impresa apostolica, indivisibile, da compiere assieme aiutandosi a vicenda e mettendo ciascuno a servizio dell’altro quanto di meglio ha da offrire. L’unico crocifisso che abbiamo consegnato ai quattro missionari è il segno della loro unione per un unico servizio.
Piazza Rinaldi
Benché sistemati nella villa del vescovo, a Montebelluna, era desiderio di tutti ritornare in città. Ben presto si rese disponibile la sede del Collegio Vescovile “Pio X”, che da piazza Rinaldi venne spostata in borgo Cavour, dove tuttora si trova.
Padre Piero Bonaldo, che all’epoca, a 11 anni, era appena entrato in seminario, così ricorda quel trasloco: «Il 3 ottobre 1926 gli Apostolini fecero il loro ingresso in Piazza Rinaldi, arrivandovi su un camion al canto di «Gesù, lo sguardo amabile». L’attrezzatura era molto povera, ma nessuno di noi badava a sacrifici che oggi potrebbero sembrare impossibili. Eravamo ormai in casa nostra e sapevamo che tutto serviva per allenarci ad affrontare le privazioni che la vita missionaria ci avrebbe riservato. Mi ricordo ancora la prima cena: una scodella di minestra di verze, una manata di fichi secchi ed una fetta di polenta abbrustolita… distribuita personalmente ai singoli dal vecchio domestico Federico che condiva tutto con belle frasi trevisane suscitando la più schietta ilarità. Poi, un po’ alla volta, le cose migliorarono. Qualche settimana dopo eravamo già in grado di ricevere trionfalmente un folto numero di Apostolini, provenienti dalla Lombardia, portando così il nostro numero a più di 90 aspiranti missionari. Padri Salvi era Economo e Confessore. Nuovo Rettore era Padre lsidoro Pagani che, col suo fervido zelo apostolico, sostenne e guidò la nostra vocazione missionaria ed attirò verso la nostra Opera le simpatie del Clero e dei Fedeli di tutta la Diocesi. Eravamo ancora in fase di assestamento quando, nel mese di ottobre del 1926, passarono da Treviso alcuni nostri Missionari, che dovevano imbarcarsi a Venezia, diretti in India e Birmania. In duomo ebbe luogo una funzione solenne di addio, alla quale prese parte tutta la cittadinanza. Mi ricordo che i partenti furono ospitati in un dormitorio adiacente al nostro. Un’ora prima della cena, Padre Pagani si accorse che i piatti non bastavano e che non c’era frutta… Ebbi proprio io l’incarico di fiducia di andare da Fontebasso ad acquistare stoviglie e poi in Piazza San Vito a comperare un po’ di «pomi» profumati. Ero appena un ragazzo, ma mi sembrava di essere «el paron de casa!». Con quanto entusiasmo salutammo i padri… e come avremmo voluto seguirli verso le terre lontane.
Nota
Ottobre del 1926. Partivano per la Birmania: Antonio Farronato di Ezelino da Romano (PD), vi mori nel ’31; Angelo Cassia di Bergamo, vi morì nel ’32; Ferdinando Guercilena di Montodine (Crema), vi divenne vescovo e dopo 46 anni di Birmania, morì a Lecco nel ’73. Partivano per l’India: Faustino Lenti di Milano che rientrerà nel ’31 ed Emilio Pigoni, entrato nel seminario di Roma da Parma, morirà 2 anni dopo. Il 1926 è l’anno in cui i 2 seminari missionari, di Milano e di Roma, confluiscono nel Pime.
Devozione e affetto per mons. Longhin
Al vescovo, in occasione del suo venticinquesimo di episcopato (1904-29) dal seminario missionario furono inviate queste parole di gratitudine: «La Pasqua gloriosa del vostro venticinquesimo vuol essere celebrata dai superiori ed apostolini della Vostra Treviso con maggior gaudio e solennità quale si addice all’imminente solennità. Con gioia. ed amore questo Istituto missionario del Papa gode di trovare nel cuore pastorale e paterno di V. Eccellenza Ill.ma e Rev.ma l’affetto e la sollecitudine che l’ha fatto nascere e crescere, si raccoglie attorno a Voi per augurare le più elette benedizioni e per dirvi che da tutti si è pregato e si prega secondo le Vostre intenzioni. Dal principio della Quaresima i Padri hanno fatto un memento speciale per V. Eccellenza, e gli apostolici offrono S.S. Comunioni, assistono a S.S. Messe, e spigolano tanti fiori per offrire a V. Eccellenza in occasione del Giubileo Episcopale. Si degni Vostra Eccellenza di accogliere questo florilegio spirituale quale espressione sincera della gratitudine, venerazione ed ossequio di tutti noi e favorirci una speciale benedizione caparra di copiosi frutti spirituali per i S.S. Esercizi che incominceranno lunedì sera e per lo sviluppo del nostro Seminario che vuol essere vostro gaudio e Vostra corona. Prostrati al bacio del S. Anello di V. Eccellenza dev.mi ed ubb.mi Superiori e alunni».
Passo avanti nell’azione missionaria
Appena tre anni dopo gli inizi, il 14 marzo 1925, don Daniele Bortoletto, segretario della commissione missionaria, così presentò il resoconto dell’anno missionario 1924: «L’anno 1924 segna un altro passo avanti nell’azione missionaria della diocesi di Treviso. Tre anni fa era nullo e in questi tre anni, per volere e la protezione incondizionata di S. E. Mons. Vescovo, con un lavoro assiduo ininterrotto, mercé lo zelo del clero, lo spirito missionario ha fatto breccia; è penetrato largamente suscitando gli entusiasmi del popolo, portando la nostra diocesi non ultima tra le diocesi d’Italia in questo campo».
Nel resoconto la cifra più bella, era: 40 vocazioni missionarie. Mons. Longhin mentre all’inizio, assillato da altri problemi, sembrava ostacolare questa sensibilità missionaria, superati i primi indugi, divenne l’animatore più entusiasta dei frutti che la diocesi stessa avrebbe ricavato. Potremmo ricordare i suoi calorosi appelli per le Giornate Missionarie Mondiali, i chiari rimproveri per chi ancora non lavorava bene per le missioni, gli incoraggiamenti per ogni nuova iniziativa. Lui stesso descrive la sua evoluzione il 2 febbraio 1926: «Pareva prima che la nostra diocesi non dovesse interessarsi a questo soccorso: invece fu così fervido lo slancio, così generoso il contributo, che fin dai primi anni raggiunse uno dei principali posti nella classifica delle offerte. Nell’ottobre del 1926 alla “Madonna Grande” vi su un altro invio di missionari con il discorso tenuto dal vescovo. La promozione della coscienza missionaria era divenuta un suo preciso impegno di pastorale diocesana».
A Montebelluna
Mons. Longhin a conoscenza delle difficoltà che anche la casa in via Zermanese comportava, in quell’anno offrì al Pime la sua villa di Montebelluna. Egli fu sempre vicino ai missionari e anche per suo merito il giornale diocesano “La vita del Popolo” divenne un centro animatore e coordinatore di una catena di simpatia e generosità di tutti i trevigiani. E così l’avvenimento assunse proporzioni insperate. Stralciamo dal numero del 7 ottobre 1922: «Treviso ebbe la bella sorte di essere scelta come sede del nuovo seminario. Ora incombe a noi l’obbligo sacro-santo di aiutare i giovani che entrano, con le nostre preghiere e col nostro obolo. Siamo certi che la gentile cittadinanza di Treviso e tutta la diocesi faranno buona accoglienza al nuovo seminario e vorranno dar prova del loro amore ed interessarsi per tanti fratelli, che non partecipano e non godono i frutti della Cristiana Civiltà».
È interessante notare che proprio nel numero successivo del giornale, viene riportato un ordine del vescovo che dà il via a tutta l’organizzazione missionaria in diocesi. L’ordine contiene due novità: la nomina di don Pietro Boldrin alla direzione dell’ufficio missionario. Il 9 novembre si sarebbe tenuta la prima giornata sacerdotale missionaria. Alla conclusione di quella giornata che ebbe un successo insperato, fu steso un ordine del giorno contenente un programma dettagliato di quanto si doveva fare in tutte le parrocchie per le missioni. L’ultimo numero riguarda anche il seminario delle missioni: «E poiché in diocesi è sorto in questi giorni la Casa Apostolica di San Martino, tutte le commissioni parrocchiali, senza nulla derogare, ai deliberati sopraesposti, ricordino qualche volta quest’opera che è destinata ad attirare tante benedizioni sul nostro popolo e sulla nostra diocesi».
Nuova sede in via Zermanese
Il numero dei seminaristi stava aumentando, ma le ristrettezze erano tali che l’anno successivo si trovò una nuova sede appena fuori città, a sud, oltre la linea ferroviaria, in via Zermanese. Padre Eugenio Salvi, un veronese reduce dall’India, successore di padre Boldrini, dovette darsi un bel da fare per sistemare nella nuova sede aule scolastiche, dormitori, cappella, refettorio.
Intanto la rivista “Le Missioni Cattoliche” faceva appello ai fedeli della diocesi per il sostentamento dei padri e dei seminaristi e la chiesa di Treviso prendeva coscienza che doveva essere missionaria e si apriva alla collaborazione a tutti i livelli: vocazionale, spirituale ed economico.
Da parte loro anche i seminaristi fin dagli inizi si sentirono impegnati a tessere e mantenere collegamenti con amici e benefattori con qualche foglio di informazione. Mons. Longhin visitava di frequente il seminario, incoraggiando tutti, superiori e seminaristi. Nel maggio del 1924, padre Filippin si preparava alla partenza per la Cina. Celebrò la Messa nella chiesa di San Martino e ricevette il crocifisso dalle mani del vescovo mons. Longhin che nel Duomo disse: «Io ti benedico, o figlio. Tu parti, e forse non ci rivedremo più qui in terra. Ma ci rivedremo certo in Paradiso, dove ci narreremo le meraviglie che la provvidenza e la misericordia di Dio avranno operato in mezzo e per mezzo di noi, suoi umili strumenti».
Il 3 dicembre 1924, il vescovo visitò il Seminario per la festa di San Francesco Saverio, ed il 20 per l’ordinazione sacerdotale del diacono Giuseppe Zanini.
I primi mesi, è sovrana la polenta
Come avviene spesso nella Chiesa, anche se le benedizioni erano larghe, le condizioni materiali iniziali furono davvero ristrette. Così le descrive il chierico Zanini: «C’erano tre camere e due corridoi, compreso quello di ingresso, che serviva da ricreazione coperta. Una camera per il Rettore, padre Francesco Boldrini che sapeva raccontare tante storielle di animali e di uomini, perfino in tempo di studio; un’altra per il vicerettore padre Filippin, quasi sempre fuori a predicare, ed una terza che serviva da studio per i ragazzi che dormivano e studiavano parte in corridoio e parte in cucina. Non c’erano servizi interni, né acqua corrente, ma in compenso, scorreva lì vicino, lambendo l’orticello della canonica, il limpido Sile un poco più a monte di dove “a Cagnan s’accompagna” (Dante, Paradiso IX, v. 49). In quell’acqua si lavava la biancheria, si riempiva la tinozza che serviva da lavabo per tutti i ragazzi e si riforniva la cucina. I pasti consistevano, la mattina in caffè-latte con polenta, a mezzogiorno un minestrone di fagioli e patate e rimasugli di pasta avuti in dono da qualche caserma, e la sera polenta a volontà con 6/8 fichi secchi in umido a seconda dell’età. Sovrana era la polenta».
Per chi non conoscesse la geografia di Treviso, il Sile è il fiume di risorgiva che nasce a pochi chilometri da lì. A ovest della città, ha una portata costante e notevole, tanto che, nel giro di neppure 2 chilometri alimenta tre centrali idroelettriche. Entra in città da ovest procedendo parallelo al lato sud del quadrilatero irregolare che racchiude con le sue mura la vecchia Treviso. La chiesa di San Marino, di cui qui si parla, si trova a metà di questo percorso; poco dopo la chiesa vi è la prima centrale. Da nord entra in città un altro fiume di risorgiva, il Botteniga, che passando sotto le mura si divide in vari rivoli, tanto che qualche scorcio di Treviso può richiamare Venezia. uUno di questi canali è il Cagnan, ricordato da Dante. Tutti si gettano nel Sile prima che esca all’angolo sud-est delle mura, dove vi è pure la seconda centrale; la terza si trova non molto più avanti.
La visita in quel primo nido
Il chierico Zanini così racconta una visita di mon. Longhin, scenetta che, egli afferma, si è ripetuta più di una volta: «Cosa gavìo da magnar per stasera, fioi? chiedeva il vescovo Mons Longhin affacciandosi alla porta della povera canonica di san Martino, di ritorno da una sua passeggiata quotidiana per i rioni della città di Treviso, in compagnia del suo segretario. – Polenta e fichi secchi, Eccellenza – rispondeva l’assistente dei ragazzi che era accorso alla porta per accogliere il vescovo. Quanti seu in casa? domandava ancora il buon vescovo. – Quindici ragazzi e tre superiori, eccellenza. – Va ben, doman che è la festa del vostro patrono, San Francesco Saverio, penserò mi a mandarve un po’ de pan e de vin. – Grazie, eccellenza, di questa carità. Dio ve ne renda il merito. – E don Gaetano dov’elo? – A predicar a Possagno, per poter portare a casa qualcosa da tirar avanti. – Saludemelo tanto; ma vegnì da mi, quando no gavé niente da magnar. S’é boni e ve benedigo tuti».
Una perla nel cuore del vescovo
Nel Duomo di Treviso il giorno di Pasqua del 1928, mons. Longhin disse: «Tre cose mi stanno sommamente a cuore: il Seminario diocesano, il Seminario dell’Immacolata e il Collegio Pio X». Infatti, nel settembre 1922, padre Gaetano Filippin iniziava ad allestire la casa-seminario, con la benedizione del vescovo e coadiuvato da un chierico inviato da Milano, Giuseppe Zanini di S. Daniele del Friuli (UD).
Ai primi di ottobre di quel 1922, il Superiore di Milano padre Armanasco, nominò come primo rettore padre Francesco Boldrini, reduce dalla Birmania, e padre Filippin come vicerettore. Inviò pure 10 seminaristi lombardi a cui si aggiunsero pochi altri locali. Essi venivano chiamati “apostolini” perché, nel linguaggio euforico ed enfatico di quegli anni, erano destinati a diventare “veri Apostoli”, «faro di luce confortatrice in mezzo alle paurose tenebre del paganesimo». E – sono le parole di un assistente – «piomberanno in fulminea picchiata, rombanti, sulle fortezze di Satana».
Il 17 ottobre arriva da Roma il telegramma del Papa: «Particolarmente lieto vedere la nuova Scuola Apostolica Immacolata Concezione inaugurata Treviso consolante promessa felice incremento missioni estere Augusto Pontefice invia di cuore implorata benedizione. Augurando spirituale prosperità. Card. Gasparri».
Mons. Longhin invia la seguente lettera al rettore del nascente seminario: «Rev.mo padre, siamo grandemente lieti che nella nostra città sia stato aperto un seminario per le Missioni Estere sotto gli auspici di Maria SS.ma Immacolata, destinato ad accogliere i giovanetti della regione veneta che dimostrano vocazione apostolica. Esprimiamo tutto il nostro compiacimento per questa nuova istituzione, che fu ripetutamente benedetta e incoraggiata dal S. Padre, sicuri che attirerà abbondanti benedizioni sulla città e Diocesi tutta. Facciamo vivo appello ai Rev. di Sacerdoti e a tutti i nostri figli di aiutare colla preghiera e colle offerte il nuovo seminario che prendiamo sotto la nostra protezione, mentre impartiamo con particolare affetto al Rettore, ai Superiori ed agli apostolini la nostra Pastorale Benedizione».
Clima missionario del Novecento
Padre Gaetano Filippin lasciava il seminario diocesano di Treviso per entrare nel seminario missionario di Milano quando padre Paolo Manna (1872-1952), ora Beato, ritornato per malattia dalla Birmania (l’attuale Myanmar), si prodigava con tutte le forze a diffondere in Italia l’ideale missionario. Con il motto “Tutta la Chiesa per tutto il mondo”, animava anzitutto il clero, fondando “L’Unione missionaria del clero” (1916). Nacque l’Enciclica “Maximum illud”, la lettera apostolica che nel 1919 Benedetto XV inviava all’indomani del primo conflitto mondiale per imprimere nuovo vigore alla spinta missionaria della Chiesa.
Paolo Manna da Milano con i suoi scritti cercava di scuotere le coscienze. Nel 1912 incontrò a Treviso il compianto mons. Luigi Saretta, direttore del settimanale diocesano “La vita del Popolo” che da allora iniziò a presentare ai lettori il problema missionario. Missionari rientrati dalle missioni presentavano le loro testimonianze. Così un giovane, Piero Bonaldo, racconta gli inizi della sua vocazione: «Mi ricordo ancora la nobile figura di mons. Giovanni Menicatti, rimpatriato dalla Cina per malattia ed instancabile nel predicare la idea missionaria nelle città e nelle campagne. Rimasi incantato, nella chiesa parrocchiale di Scorzè, alla vista delle scene di vita missionaria che il simpatico vescovo proiettava con la lanterna magica e spiegava con calore, mettendo in tutti un grande fervore e suscitando nel cuore i primi germi della vocazione alle missioni».
Anche Angelo Roncalli, giovane prete bergamasco divenuto poi Papa Giovanni XIII, aveva conosciuto padre Paolo Manna. Patriarca di Venezia, nel discorso tenuto a Milano l’8 marzo 1958 in occasione del trasporto da Venezia a Milano della salma di un suo predecessore, mons. Angelo Ramazzotti, disse del Pime: «La creazione missionaria più insigne in terra d’Italia in quest’ultimo secolo».