Servizio, non stellette

Durante le mie vacanze italiane, la gioia più bella è stata quella di arrivare nella nostra cappella a Roma e di trovare l’ex superiore generale del Pime, padre Gian Battista Zanchi, in preghiera, proprio il giorno prima della sua partenza per il Bangladesh. Mi vede, accenna un sorriso e dice: «Algeria!». Mi è bastato quel momento, quella parola, per risentire una comunione profonda e un senso forte di Istituto.
So quanto ha creduto in una presenza del Pime in Algeria e quanto ha fatto in questi anni per assicurarmi dei compagni. Oggi, poi, la presenza dell’Istituto è aumentata grazie all’arrivo delle Missionarie dell’Immacolata, che stanno svolgendo un ottimo servizio.
Di che presenza si tratta? Giorni fa papa Francesco ha detto: «I musulmani sono nostri fratelli».
Per me e per chi vive in Algeria come discepoli di Gesù significa far sentire ai musulmani che incontriamo e in mezzo ai quali viviamo che sono nostri fratelli e siamo testimoni dell’accoglienza che ci riservano e delle ottime relazioni di stima e di servizio reciproco.
Mi sento riconoscente verso padre Gian Battista Zanchi e per la sua apertura apostolica.
L’ho visto partire per il Bangladesh, nella massima semplicità: 71 anni di età, 6 anni di servizio come vicario generale del Pime; 12 anni come superiore generale. Partito come soldato semplice, con nessuna stelletta in più. «Anni di servizio» come ha definito sempre la sua vita missionaria. Il Vangelo della Messa che abbiamo celebrato insieme riportava la parabola degli operai chiamati a tutte le ore. Dopo la Messa gli chiesi: «Tu in quale gruppo ti vedi?». «Tra gli ultimi», mi rispose. Nel documento conclusivo del “servizio” dell’ultima direzione generale, padre Gian Battista ha lasciato scritto quanto gli stava a cuore: la ricchezza del Pime e la missione nuova.
«La ricchezza del Pime sono i suoi uomini: una convinzione tuttora valida. Mi pare sia la verità di questo piccolo Istituto, con tanta tensione verso l’esterno, ed anche con una ricchezza umana incredibile. Una bellezza che sorprende e che si manifesta … quando meno la si aspetta. Segno di una vitalità presente, ma che forse ha bisogno di essere meglio espressa e coordinata… La missione non è solo andare ed annunziare agli altri che il Signore è risorto, ma è anche mantenere gli occhi ed il cuore aperti per accogliere la testimonianza da coloro ai quali siamo inviati. Spesso la missione è pensata esclusivamente in termini di donazione, ma la vera missione è anche ricevere. Se è vero che lo Spirito di Gesù soffia dove vuole, non c’è persona che non possa dare quello Spirito».

 

Musulmani nostri fratelli

«Il mondo arabo attraversa la fase più difficile della sua storia», afferma Foad Aodi, presidente di Amsi (Associazione medici stranieri in Italia) e Comai (Comunità del mondo arabo in Italia). «Speriamo di poter trovare una personalità araba di alto spessore e alto profilo che possa fare quanto fa Papa Francesco in Occidente», che sappia «unire e far ragionare il mondo arabo in modo che ritrovi serenità e identità. Ora Papa Francesco sta dando tutte le risposte che aspettavamo da anni, che vanno dritte al cuore».
Hamza Piccardo, fra i fondatori dell’Ucoii (Unione delle Comunità islamiche d’Italia) dice che il messaggio di Papa Francesco è stato accolto con «straordinario piacere e gratitudine. Le parole del Pontefice richiamano quelle contenute nel messaggio inviato ai musulmani per la festività dell’Id el fitr, la celebrazione che conclude il Ramadan, ma è “importante” che abbia voluto ribadirle davanti ai fedeli riuniti all’Angelus».
Colgo le parole del Papa come un grido di fraternità, ma non sono sicuro che sarà accolto così da una parte di musulmani e anche da una parte di cristiani. «Amici sì, diceva un giovane musulmano a una ragazza cristiana, ma non fratelli, perché non preghi come me!». E forse alcuni cristiani non sono disposti a sentire i musulmani some “fratelli”. Sento che il Papa ci sta provocando con le sue affermazioni e ci sta portando verso un cambiamento di mentalità e di vita.
«Gli esegeti che hanno computato le parole del Corano hanno rilevato – sottolinea l’Ucoii – che il centro perfetto del Libro è un espressione wa lyatalattaf che abbiamo tradotto: “con gentilezza”». La stessa “gentilezza” che Papa Francesco «ci propone e che, con educazione e rispetto – assicura la maggiore associazione islamica presente nel nostro Paese – devono far parte della nostra prassi quotidiana, ognuno per quello che può e sa, e spesso un sorriso vale più di mille parole».
Il Papa ci dà l’esempio della “gentilezza” e i musulmani accolgono e cercano nel Corano il corrispondente. Continuiamo a rispettarci con gentilezza e a ritrovare nei libri sacri quanto c’è dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo. Allora ci sentiremo veramente Fratelli.

La fede forma la fraternità

Nell’enciclica Lumen fidei di Papa Francesco trovo testi molto belli sul tema della fraternità universale. Eccone alcuni: «Assimilata e approfondita in famiglia, la fede diventa luce per illuminare tutti i rapporti sociali… Occorre tornare alla vera radice della fraternità… Nel procedere della storia della salvezza, l’uomo scopre che Dio vuol far partecipare tutti, come fratelli, all’unica benedizione, che trova la sua pienezza in Gesù, affinché tutti diventino uno. L’amore inesauribile del Padre ci viene comunicato, in Gesù, anche attraverso la presenza del fratello. La fede ci insegna a vedere che in ogni uomo c’è una benedizione per me, che la luce del volto di Dio mi illumina attraverso il volto del fratello… Grazie alla fede abbiamo capito la dignità unica della singola persona». [54]
Così disse Giacobbe quando incontrò il fratello Esau: «Vedere te… è come vedere il volto di Dio».
Interessante è la stretta relazione tra il fratello e Dio. Questa relazione è fondata sulla realtà di Dio padre e creatore e quindi si amplifica fino a comprendere tutti in una sola famiglia, in un solo popolo. Dio diventa un catalizzatore universale.
Ciò non appare sempre evidente, ma lo possiamo supporre, anche quando c’è una fratellanza che supera barriere di culture e di religione.
Dopo l’attentato di Ain Amenas (Algeria) in cui morirono molti algerini e operai stranieri, un algerino che aveva salvato tre stranieri mi racconta: «Finalmente, eccoci all’aeroporto. Da lontano vedo uno che avevo salvato. Lascio i bagagli e corro. Ci siamo abbracciati a lungo davanti a tutti. Non faceva che dirmi: “Non ti dimenticherò mai!”. Piangevamo. E così tutti quelli che aspettavano l’aereo, algerini, stranieri, tutti esultavano di gioia. Ci sentivamo tutti fratelli».
Il rapporto con Dio in ambiente musulmano è sottinteso. Ma c’è anche il caso in cui la religione crea ostacoli. Una ragazza camerunese cristiana diceva continuamente “fratello” a un giovane musulmano. Costui si distaccò dicendole: «Amico, sì, fratello no, perché non preghi come me».
Allora mi chiedo di quale fraternità parli Papa Francesco quando tratta di fraternità che procede dalla fede e che unisce tutti i popoli. Gesù aveva detto: «Miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica». Allora la fratellanza, secondo Papa Francesco, vive della Parola di Dio, vive di Fede, impegna tutta la vita, è di un amore totale.
Altra domanda. Quando Tawadros II, patriarca copto-ortodosso, ha incontrato a Roma Papa Francesco e lo ha invitato in Egitto, ha anche proposto che il 10 maggio di ogni anno si celebri «la festa dell’amore fraterno» tra le due Chiese. Ma questa festa sarà un semplice incontro emotivo o una vera celebrazione di fraternità di fede e di comunione profonda? E sarà poi aperta e condivisa dai membri di altre religioni… perché si realizzi il piano di Dio?
Allora la fraternità di cui parla Papa Francesco deve essere capita, desiderata, pregata perché possa trasformare le persone e il mondo intero.
Ci incoraggia Giovanni Paolo II che dopo l’incontro contestato d’Assisi del 1986, affermò:
«Possiamo in effetti ricordare che qualsiasi preghiera autentica è suscitata dallo Spirito Santo, che è misteriosamente presente nel cuore dell’uomo. È ciò che si è visto anche ad Assisi: l’unità che proviene dal fatto che ogni persona è capace di pregare, cioè di sottomettersi totalmente a Dio e di riconoscersi povera davanti a lui. La preghiera è uno dei mezzi per realizzare il disegno di Dio tra gli uomini».
Bellissima questa testimonianza di Giovanni Paolo II. Lo Spirito Santo lavora nel cuore di chi prega autenticamente e forma il fratello universale.