Incontro ecumenico


Durante la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, ho assistito due volte all’incontro tenutosi a Mvog-Ebanda. Erano insieme i cristiani cattolici della parrocchia e i cristiani protestanti della zona, col loro pastore. I testi  di preghiere e di letture venivano dall’organizzazione internazionale della Settimana e preparati dai cristiani dell’Indonesia. I due sermoni sono stati tenuti da due pastori, impeccabili secondo il loro stile. Anche alcuni canti erano di stile protestante. Tutto sommato, due ore ogni volta di incontro piacevole e interessante. Dopo la lettura dei testi e il sermone c’era la proposta di impegnarsi in un’azione precisa da compiere come artefici di unità, anche mettendola per iscritto su un foglietto.

Il momento più vivo fu l’abbraccio di pace. Mi sembrava di vedere Maria cristiana mentre abbracciava Elisabetta israelita, tutte e due col bambino, diverse loro e diversi i bambini, ma tutti uniti, figli di Dio. Mi sembra, vedendo quelle persone abbracciarsi, che a loro livello, la separazione non esista, almeno qui a Yaoundé, ma in realtà manca ancora qualcosa all’unità, andando a formarsi e a pregare in chiese e templi diversi e con idee e un’organizzazione diversa, senza la forza della preghiera e dell’azione caritativa comuni. E questo resta un impoverimento della cristianità.

Messa a Ntem-asi

Padre Mario Bortoletto, ora in cielo, nel 2005 mi aveva mostrato in piena foresta una spianata con una scuoletta in legno. Oggi c’è la chiesa, il presbiterio, una grande sala, il terreno per i giochi e nel sotterraneo sale per riunioni. Sostituisco il parroco, padre Sliva, di nazionalità indiana. Arrivando qualche minuto prima delle sei, trovo fedeli alla recita delle lodi. Tutto ben preparato. I chierichetti/e belli, con la tonaca ben pulita, l’altare in ordine, illuminato. Posso incominciare la celebrazione. Certo non siamo nella foresta di Ambam o di Meko’si dove trovavamo le cappelle col tetto di paglia e il pavimento di terra. Il gradino dell’altare era tenuto insieme da bottiglie  capovolte di Pedro, liquore spagnolo. Il Pedro che si comprava in Guinea Equatoriale, cioè al confine vicino, diventava lo ntolo, latassa di culto che i cristiani, formati dal prete locale, offrivano una volta l’anno.

È bella ora la chiesa di Ntem-assi, illuminata, pulita, con pavimento a piastrelle di vario colore, lucide. A fianco dell’altare, il pulpito, come due mani che tengono il libro sacro, e il battistero, vasca di pietra ben ornata con l’acqua battesimale. Ma la meraviglia sono loro, i fedeli che vanno a pregare prima di andare al lavoro, si organizzano, assumono impegni comunitari, oggi meglio vestiti e tutti partecipanti ai canti, alle danze, alle preghiere.

Fosse vivo oggi padre Mario, freddo esteriormente come sempre, e con il suo solito sorriso ironico, direbbe: «Sì, bello, ma il cuore com’è?». Certo non tutto è santo, ma l’impressione che ne ricavi a distanza di cinquant’anni, è intensa. Dai missionari e dai sacerdoti locali, ormai in tutto il Camerun non fai che sentire: «Quanto lavoro, ancora! Quanto lavoro…».

Padre Gheddo aveva ragione

Ho rimesso i piedi in Africa e ora mi si chiede di rimettere anche il cuore qui per un servizio pastorale in due parrocchie di Yaoundé, dopo cinquant’anni dal mio primo arrivo. Sì, mettervi il cuore altrimenti non si sta in Africa, come del resto altrove. Ho insegnato storia delle missioni nel nostro seminario filosofico e vivo nella nostra parrocchia di Nko Abang. Vivendo ora in un angolo d’Africa, l’osservo al Sud, al Nord, lo interrogo, leggo documenti di vario genere, faccio confronti, ecc.

Mi è capitato tra le mani il libro Nel nome del Padre scritto nel 1992 da padre Piero Gheddo con Michele Brambilla (Bompiani). Padre Gheddo nei suoi viaggi  attraverso il mondo missionario, ha accostato l’Africa non frequentando gli alberghi Hilton e Sheraton, ma le capanne della gente del posto e le baracche di preti e suore, tutti avamposti della fede nel mondo. «Il torto del nostro padre – in questi anni, scrive Vittorio Messori nella prefazione – è stato di non nasconderlo, ma di metterlo nero su bianco su giornali e libri, questo divario tra la realtà e gli schemi di confratelli che credevano all’avanguardia…. Padre Gheddo non ha avuto vita facile, all’interno della Chiesa medesima… mentre coesistevano certi miti accettati acriticamente… Sono pagine alle quali il lettore vorrà ritornarci sopra… ne varrà la pena».

Dal capitolo Il continente della fame: L’Africa, del libro, riporto alcune frasi :

«La mentalità terzomondista concepisce le culture dei popoli poveri come qualcosa di assoluto, una sorte di millenarismo fondato sul mito fasullo del ‘buon selvaggio’. Si sostiene che tutto il male del Terzo Mondo è provocato dall’imposizione della cultura occidentale, e che le tradizioni locali sono invece il meglio che possa esistere per quei popoli. Intanto questa è ovviamente una visione “acristiana” della storia e dell’uomo, che non tiene conto della Rivelazione e del diritto di ogni uomo a conoscere la Via, la Verità e la Vita».

«L’Africa a mio parere è stata colpita da due flagelli: il primo, che tutti riconoscono e anzi spesso enfatizzano, è rappresentato dagli errori di un certo colonialismo egoista. Il secondo, che pochi vedono, è costituito dall’indipendenza concessa in modo troppo affrettato, in base a un’ideologia del ‘tutto e subito’ che non teneva conto della realtà. Ma l’Europa, a un certo punto, è stata invasa da quest’ondata di terzomondismo che ha causato guai non minori di quanti un certo colonialismo selvaggio».

Riccardo Cascioli, suo collaboratore della prima ora ad AsiaNews, dopo la sua morte di padre Gheddo, scrive: «Sarà ricordato come un vero modello di autentico missionario: la missione ad gentes, in fondo, era solo la logica conseguenza della sua passione per Gesù Cristo: non poteva concepire una vita cristiana che non si concretizzasse nel desiderio di comunicare Cristo a tutti gli uomini. Da qui tante delle polemiche che ha dovuto sostenere nella sua vita con chi tendeva sempre a ridurre la missione a opera sociale, a “promozione umana” che andava di moda dire. Resta una provocazione per tutti noi». 

Ora, trovandomi ancora in Africa, e leggendo l’esperienza di Gheddo, raccolta nel libro del 1992, e accostandola a quanto vedo oggi, soprattutto come missionario e pastore, usufruendo di tanti incontri e relazioni con un po’ di esperienza, mi sento d’accordo non solo sulle sue riflessioni, ma soprattutto sul suo essere missionario. Papa Giovanni Paolo II aveva chiamato lui a scrivere la Redemptoris Missio, il più importante e attuale documento della Chiesa in campo missionario, perché aveva unito, nella sua vita, le vocazioni del missionario e del giornalista.

Camerun, peggiora la crisi nell’Ovest

Quaranta ore dopo il discorso di fine d’anno del presidente della Repubblica del Camerun Paul Bia, che invitava gli artefici dell’insurrezione a deporre le armi, alcuni individui armati hanno fatto irruzione nel Campo Sonne Likomba di Tiko. Erano le 23. Dopo aver accerchiato il campo di operai della piantagione di hévea, gli assalitori hanno fatto uscire da casa sei abitanti. Hanno tagliato loro le dita e li hanno feriti gravemente per poi  sparire nella foresta. Gli assalitori accusano gli operai e i tecnici dell’impresa di essere ritornati al lavoro nonostante l’ordine dato a tutta la popolazione di abbandonare le piantagioni di banane, palme a olio e di hévea che in realtà sono per la maggior parte già abbandonate. La crisi ha già reso difficile la gestione delle imprese e alcuni operai aspettano il loro salario da sette mesi.

Giorni dopo, il 3 gennaio, il palazzo regale del Dr Joseph Dion Ngute capo superiore del villaggio Bobongo della tribù barombi è stato completamente incendiato. Anche il camion cisterna che si trovava nel cortile interno ha preso fuoco. I colpevoli sono vivamente cercati.

Il presidente della Repubblica ha cercato di consolare Dr Joseph dandogli l’incarico di primo ministro del governo. Inizia così il suo servizio di coordinamento dell’azione di governo in questo inizio del settennato di grandi opportunità. ( M. S.)

Il 16 gennaio il cellulare mi comunica che durante questo mese già 30 persone hanno perso la vita.

Oggi, 19 gennaio, N. Piccola Sorella di Gesù mi comunica che suo fratello le ha detto per telefono, che la situazione a S. è invivibile. Da militari regolari e da gruppi armati separatisti la popolazione è sottoposta a ogni sorta di trattamenti inumani.

Sviluppo e lavoro in Camerun


Mons. Christophe Zoa, vescovo di Sangmelima (Sud Camerun), nella omelia del 24 dicembre 2018, ha detto: «Non c’è niente di più nocivo di un disoccupato pigro quando entra in casa vostra mentre siete occupato. Vi presenta tutti i problemi insignificanti della vita che non esistono e durante tutto il giorno parla di miseria, resta ore e ore con voi, aspettando malignamente l’ora del pranzo. L’ultimo giorno dell’anno, vi sveglierà alle cinque del mattino, non con un bel fiore in mano, ma con un ciuffo d’erba colto proprio fuori della vostra casa, per augurarvi Buon Anno, aspettando che arrivi il resto. Gente così arriverà durante tutto il tempo delle feste di fine d’anno». Il vescovo cita San Paolo: «Se qualcuno non vuol lavorare, che neppure mangi».

Come prova del suo impegno pastorale, si rallegra di aver promosso consistenti attività agropastorali e con l’aiuto dei laici ha potuto creare 218 ettari di piantagioni di cacao e di agrumi nelle parrocchie e 50 ettari in un territorio diocesano.

A chi ha la fortuna di avere un lavoro, il vescovo lo esorta a compierlo bene «con dedizione e amore»e poi constata che la pratica quotidiana nel mondo del lavoro lascia a desiderare. «Il reclutamento è fatto non sulla competenza, ma dentro una rete di relazioni che solo pochi dirigono. Il mondo del lavoro ha “corridoi” che bisogna conoscere, corridoi di favoritismo, corruzione, tribalismo e altri settarismi. In Camerun non ci sono più mestieri per vocazione. Ci si trova all’ Ecole Normale dopo tanti tentativi e insuccessi presso scuole superiori dell’ Emia, Enam, Iric, etc… Si diventa insegnante “per far qualcosa” e con menzione“per pietà”. Si resta un miserabile insegnante, una disgrazia per i poveri allievi e per le famiglie; un disastro per l’avvenire della società. Negli uffici e in altri servizi pubblici, montagne di dossier dormono mentre l’incaricato d’ufficio legge il giornale, dopo aver fatto il suo atto di presenza o semplicemente è assente. Servizi di sanità (ospedali e dispensari) sono carenti di personale qualificato. Cercate di essere un impiegato serio? Troverete questa possibilità nelle sedi private. Lì, si esercitano tutte le competenze. Accanto a funzionari coscienziosi e che meritano di essere ben pagati, ce ne sono altri che attendono novanta giorni per avere il loro salario». 

Continuando il suo discorso sullo sviluppo del Camerun, mons. Zoa conclude: «La pace resterà  difficile fino a quando un parte di società continuerà a marcire nella miseria, mentre l’altra parte vivrà nella ricchezza, frutto di cattiva distribuzione dei beni, e lo sviluppo sarà impossibile finché noi camerunesi non avremo capito che dobbiamo lavorare per portare avanti onestamente la nostra vita».

Due giorni ad Ambam

DLunedì e martedì 7 e 8 gennaio, con i cinque diaconi di Treviso e il loro rettore abbiamo visitato alcuni luoghi dove i preti fidei donum di Treviso e i missionari del Pime hanno vissuto trent’anni di missione. Ritornarvi per me dopo la prima visita fatta con mons Squizzato, direttore dell’ufficio missionario di Treviso, nel 1968, è stata una emozione profonda.

A Ma’an, nella chiesa costruita da padre Mario Bortoletto, abbiamo pregato sulla sua tomba assieme al parroco e ad alcuni cristiani che hanno dato le loro testimonianze precise e calorose. Non solo padre Mario, ma anche gli altri missionari che hanno lavorato nella zona, sono ancora vivi per la loro vita e il loro operato nel ricordo e nell’affetto riconoscente dei sacerdoti (alcuni accompagnati in seminario da padre Mario) e dei cristiani. Vedendoci, erano tutti commossi e contenti di sentirci ancora con loro.

Ambam è il capoluogo della regione dello Ntem, fiume che raccoglie le tante acque delle piogge abbondanti e le conduce a Kribi nell’oceano, attraversando una foresta densa e a volte soffocante. Ambam è sede dell’antica parrocchia, un tempo unica, ora suddivisa in 18 parrocchie. Vi abbiamo celebrato l’Eucaristia e poi pregato sulla tomba di padre Giovanni Belotti del Pime, il primo ad arrivare e a mettersi a studiare la lingua del luogo, dopo gli anni vissuti in Birmania. Morì in un incidente stradale e ora è ricordato come il patriarca dei missionari e dei cristiani.

Accolti dal parroco, l’abbé Luc e dalle Missionarie dell’Immacolata con gioia e generosità, abbiamo riascoltato i nomi di missionari, catechisti e cristiani che insieme avevano reso viva cristianamente la zona. Va riconosciuto anche lo spirito missionario delle suore che sono rimaste presenti e molto attive, anche dopo la partenza dei missionari di Treviso e del Pime.

A Meko’si, primo luogo di servizio missionario di padre Mario e poi mio  e di altri,  la festa è stata grande con danze tradizionali, celebrazione solenne, visita alla scuola e preghiera sulla tomba del catechista Teodoro. Anche qui, il parroco, l’abbé Vincent, e i cristiani, non nascondevano l’emozione nel vedere giovani italiani con il rettore danzare con loro e sentirli vicini, come lo erano stati padre Mario e i missionari. Veramente la missione crea e alimenta la vitalità della “Famiglia dei figli di Dio”. Tale vicinanza riempie la vita e ci incoraggia.

Nel ritorno, piccolo stop per riempire le due macchine di doni della parrocchia di Meyo Centre dove l’abbé Nestor, altro figlio spirituale di padre Mario è parroco. Il senso della figliolanza e della paternità spirituale resta forte nei sacerdoti africani e nei missionari fino a diventare senso di responsabilità e fedeltà daello spirito sacerdotale e missionario, che continua anche in chi – per debolezza, salute o età – resta in Italia e col suo rosario continua a camminare in foresta e canta e danza in cuor suo.

Arrivati a Ebolowa, ci siamo trovati ospiti nella casa dei sacerdoti diocesani; alcuni di loro sono allievi di don Giuliano a Venezia, cresciuti alla scuola del comasco don Gianni Allievi. Quindi, ci siamo sentiti a casa nostra, anche in Africa. Per strada i due cristiani che mi accompagnavano, Bruno, l’autista, e Mbo’meyo di Meko’si non facevano che dire: «Dio è grande! Dio continua ad accompagnare i missionari». E noi, incoraggiati dalla fede e dall’affetto degli africani, possiamo dire: «Dio è grande! E il mondo è piccolo e vicino». 

Yaoundé, piccola Roma?


Il Camerun è una Africa in miniatura. Il quartiere Nkolbisson di Yaoundé è chiamato il “piccolo Vaticano”, una piccola Roma. Molte congregazioni religiose vi risiedono nella loro casa di formazione con persone di molte nazionalità. I saveriani, poco distanti dal nostro seminario del Pime, oltre a camerunesi, hanno studenti messicani e già due diaconi indonesiani. I carmelitani hanno camerunesi e centrafricani. Noi abbiamo studenti di quattro nazionalità. Anche le religiose, comprese le nostre Missionarie dell’Immacolata, hanno trovato a Yaoundé un nido tranquillo dove formare postulanti e novizie di vari Paesi. Ma mentre le vocazioni maschili sono ancora in aumento in Africa, quelle femminili sono molto diminuite. Questione di promozione umana per i primi… di servizio per le seconde?

Con l’aumento di persone di varie nazionalità, sono nate iniziative di collaborazione tra istituti e congregazioni, come ad esempio la scuola filosofica di Mukasa, a cui partecipano studenti di 20 congregazioni e i superiori tengono incontri regolari per scambi di esperienze e di iniziative comuni a carattere formativo e ricreativo. Si sta pensando di unire ulteriormente gli sforzi per l’accoglienza di studenti che arrivano per imparare il francese affinché possano studiare la lingua e insieme qualche materia di università per un miglior utilizzo del tempo. Il Camerun è bilingue, ma in realtà, l’inglese quasi non esiste e il francese è male parlato. Si fanno anche sforzi per lo studio di alcune lingue locali. Il Camerun ne ha 15; alcune, come il fulfuldé del Nord, il béti del Sud, l’arabo ciadiano del vicino Ciad e qualche altra lingua necessitano di una vera e propria scuola, che comprenda anche la conoscenza di quelle culture.

Incontrando saveriani, carmelitani e altri religiosi, si constata che il livello degli studi è buono. La conversazione poi arriva al rapporto tra clero locale e clero straniero. Dall’epoca degli anni Settanta, in cui il filosofo Fabien Eboussi Boulaga aveva pensato al Moratorium – cioè alla partenza dei missionari stranieri – si è giunti a promuovere una convivenza, sostenuta e incoraggiata dall’arcivescovo di Yaoundé Jean Zoa, voluto vescovo dal santo Papa Giovanni XXIII e partecipante al Concilio.

Ora, per la presenza consistente delle università e delle case di formazione, la convivenza, anche se a volte difficile, diventa non solo una necessità, ma anche una opportunità per la cattolicità e l’universalità della Chiesa, e per l’apertura di tutte le mentalità. Alcune case di formazione dirigono una parrocchia. I fedeli incontrano spiritualità differenti e più consolidate. La convivenza diventa ricchezza per tutti.

Avendo il Camerun e alcuni Paesi vicini, università di vario indirizzo, alcune congregazioni fanno continuare gli studi accademici ai loro membri in Africa e non più solamente all’estero o a Roma. E la direzione generale di alcuni istituti è già nelle mani di un africano.

Preparandomi a ritornare a Yaoundé  e così contribuire alla formazione del Pime futuro, mi è capitato in mano il libro “Francesco, il Papa delle prime volte” di Gerolamo Fazzini e Stefano Femminis con la prefazione di Federico Lombardi che dice: «Le Chiese “giovani” hanno molto da dare alla Chiesa universale». Questi nostri studenti, appartenenti alle Chiese giovani, non solo sono la continuità della Chiesa, ma apporteranno novità di vario genere anche dentro il vero  spirito missionario.

 Allora il prossimo papa sarà africano? Perché no!

Anno nuovo in Camerun


Mi trovo nel Carmelo di Yaoundé a vivere un piccolo corso di esercizi spirituali coi nostri alunni camerunesi, ivoiriani, guineani e ciadiani. Anni fa qui c’era foresta, ora il carmelo ha un giardino meraviglioso e dalla mia finestra contemplo un orto con melanzane, pomodori, insalata, ananas e piante di banane. Poco distante, seguo con lo sguardo il procedere lento di oche, anatre, tacchini e galline e una coppia di pavoni.

Dalla cappella odo i canti francesi dei carmelitani, camerunesi, italiani, centrafricani che oggi, festa dei santi Innocenti dicono: «Il bambino giudeo, il bambino prigioniero, nella notte soccombe, è morto sotto la stella d’oro. Ascoltate piangere Rachele, il giorno dopo Natale. Ricordatevi dei suoi figli, aggrediti nell’ombra».

È quanto sta accadendo nel Nord Ovest del Camerun, ma anche in Centrafrica poco lontana da qui. L’Africa mi prende e mi tocca profondamente.

Vado a pregare sulla tomba del camerunese frère Jean Thierry Ebogo del Bambino Gesù e della Passione, novizio carmelitano che fece la professione solenne nel suo letto di ospedale di Legnano (Milano), offrendo ripetutamente le sue sofferenze per la sua Provincia religiosa, per le vocazioni e per la santificazione dei sacerdoti. Nella sua foto che ho in mano è presentato come un dono di Dio per la Chiesa e il Carmelo d’Africa. Leggendo la sua vita, vedo un fiore di santità della foresta africana che ti guarisce il cuore quando vi constati le debolezze e lo rinfranca quando senti anche il profumo dei santi africani.

Vivo accostando tante realtà che mi sono raccontate nella fiducia che la mia età e la mia esperienza africana ispirino nel segreto della coscienza. Senti che l’Africa ha immense possibilità quando è rispettata e accompagnata.

Ora, anche il padre spirituale del seminario Pime è partito per l’Italia per unirsi al rettore, padre Fabio, e al vicerettore camerunese Patience, per un incontro di formatori. Resto solo coi seminaristi e attendo i diaconi italiani e il loro rettore don Giuliano Brugnotto di Treviso per accompagnarli nella loro visita nel Sud del Camerun. Mi sento ancora fiero di questi incarichi, aiutato dalla vostra preghiera fraterna.

A tutti gli amici, i miei auguri di un Anno Felice nel Signore.