La Chiesa neghi l’idea di una civiltà superiore alle altre

Durante la celebrazione nel santuario nazionale in Canada, un gruppo di nativi aveva innalzato davanti all’altare, e poi all’ingresso della basilica, uno striscione con la scritta “rescind the doctrine” (cancella la dottrina), con riferimento al pronunciamento della chiesa cattolica, oltre 500 anni fa, che diede libero sfogo alle potenze coloniali per invadere qualsiasi terra non ancora “scoperta” dai cristiani e schiavizzarne le popolazioni. Sotto accusa è la bolla papale di Niccolò V del 1452, ancora in vigore, che sarebbe alla base delle politiche contro i nativi, come i piani di assimilazione delle comunità autoctone e lo stesso sistema delle scuole residenziali con i loro orrori, gestito in gran parte proprio dalla chiesa cattolica.

Per chi protesta, le richieste di perdono del Papa di questi giorni non bastano, se non viene anche cancellata la “discovery doctrine”. Lo stesso premier Justin Trudeau, durante un suo intervento ha ricordato che la Commissione canadese per la verità e la riconciliazione aveva chiesto le scuse della Chiesa per gli abusi perpetrati nelle cosiddette scuole residenti sin dal 2015. Presente anche lui alla protesta nel santuario, pur riconoscendo l'”impatto enorme” della visita del Papa, ha dichiarato che la chiesa deve «intraprendere azioni concrete» per «affrontare  la dottrina della scoperta». «Come ha detto Vostra Santità, chiedere perdono non è la fine della questione, è un punto di partenza, un primo passo – dichiara -. Lunedì mattina, mi sono seduto con i sopravvissuti e ho sentito le loro reazioni alle sue scuse. Ciascuno ne trarrà ciò di cui ha bisogno».

Nonostante le scuse ai nativi, Francesco non ha però ancora ripudiato formalmente la dottrina della scoperta, gli editti emessi dalla chiesa nei secoli passati che autorizzarono le potenze coloniali a invadere territori e schiavizzarne le popolazioni.

Papa Francesco nei vespri nella Cattedrale-Basilica di Notre-Dame de Quebec, ha affermato: «La Chiesa deve liberarsi una volta per tutte dall’idea che esista una cultura “superiore alle altre” e che questo possa legittimare l’uso di “mezzi di coercizione” e di “dominio. Non permettiamo che alcuna ideologia alieni e confonda gli stili e le forme di vita dei nostri popoli per cercare di piegarli e di dominarli».

Alle autorità Papa Francesco ha detto: «Sono anch’io consapevole che, guardando al passato, non sarà mai abbastanza ciò che si fa per chiedere perdono e cercare di riparare il danno causato… Una parte importante di questo processo è condurre una seria ricerca della verità sul passato e aiutare i sopravvissuti delle scuole residenziali a intraprendere percorsi di guarigione dai traumi subiti».

«Per sconfiggere questa cultura dell’esclusione – ha detto ancora Francesco nei vespri in cattedrale – occorre che iniziamo noi: i pastori, che non si sentano superiori ai fratelli e alle sorelle del popolo di Dio; gli operatori pastorali, che non intendano il loro servizio come potere. Si inizia da qui».

Il Papa riconosce la necessità di iniziative ufficiali da parte della Chiesa e dei governi e afferma l’importanza della conversione dei cuori.

Papa Francesco: «La Chiesa ha bisogno di guarigione»

Ad accompagnare per tutto il tempo il “cammino” del Pontefice in Canada c’è il sottofondo dei tradizionali tamburi. Un suono che ha “colpito” il Papa, come rivela egli stesso nel suo lungo discorso nel santuario, aperto dal saluto nella locale lingua Cree: «Âba-wash-did! Tansi! Oki! Buongiorno”. Questo battito dei tamburi mi sembra echeggiare il battito di molti cuori».

Sono tanti infatti i cuori che, nei secoli, hanno vibrato presso queste acque, «desiderosi e ansimanti, gravati dai pesi della vita»; qui «hanno trovato la consolazione e la forza per andare avanti!». Ora immersi nel creato, c’è «un altro battito» da ascoltare, che è quello “materno” della terra, come pure «il battito dei bimbi, fin dal grembo” che “è in armonia con quello delle madri».

Proprio le madri, le donne e soprattutto le nonne – Kokum, le chiamano gli indigeni – sono al centro della riflessione del Papa che, volgendo lo sguardo al passato e ai drammi consumatisi nelle scuole residenziali, esprime il dolore per gli abusi subiti da centinaia di migliaia di bambini, privati di idiomi, tradizioni, culture, affetti. Una ferita per loro, ma anche per le famiglie. Parte dell’eredità dolorosa che stiamo affrontando nasce dall’aver impedito alle nonne indigene di trasmettere la fede nella loro lingua e nella loro cultura.

Non c’è infatti mai stato un momento nella sua storia in cui la fede non fosse trasmessa in lingua materna, dalle madri e dalle nonne, sottolinea il Papa. E aggiunge: «Quanto bene hanno fatto in questo senso i missionari autenticamente evangelizzatori per preservare in tante parti del mondo le lingue e le culture autoctone!».

«Ora tutti noi, come Chiesa, abbiamo bisogno di guarigione: di essere risanati dalla tentazione di chiuderci in noi stessi, di scegliere la difesa dell’istituzione anziché la ricerca della verità, di preferire il potere mondano al servizio evangelico».

Ciò che Francesco domanda è un aiuto reciproco per edificare una Chiesa madre «capace di abbracciare ogni figlio e figlia; aperta a tutti e che parli a ciascuno; che non vada contro qualcuno, ma incontro a chiunque».

Da qui, ancora un ultimo messaggio per tutte le popolazioni originarie: «Desidero che la Chiesa sia intrecciata a voi, come stretti e uniti sono i fili delle fasce colorate che tanti di voi indossano. Il Signore ci aiuti ad andare avanti nel processo di guarigione, verso un avvenire sempre più risanato e rinnovato».

Riandiamo alle sorgenti della vita

Papa Francesco si fa pellegrino, assieme agli indigeni, al “lago di Dio”. Ancora una volta, protagonisti assoluti, sono i tamburi, che risuonano sulle acque del Lac Ste. Anne, lago ampio e poco profondo nell’Alberta centro-settentrionale, meta di un pellegrinaggio cattolico dalla fine del XIX secolo. Ogni anno, nella settimana del 26 luglio, festa di Sant’Anna, venerata in molte comunità indigene canadesi, il lago diventa uno degli incontri spirituali più importanti per i pellegrini del Nord America.

Ad accogliere il Papa, che siede sulla sedia a rotelle, i tamburi continuano a suonare mentre il piccolo corteo papale, con gli indigeni che indossano i tradizionali copricapi con le piume, si dirige verso il lago. Francesco, sempre sulla carrozzina, passa accanto alla statua di Sant’Anna, di cui oggi la Chiesa ne celebra la festa. Poi il bagno di folla. «Ti amiamo!». «Grazie Santo Padre!», urlano i presenti al passaggio del Pontefice che si ferma anche per baciare e benedire qualche neonato. Arrivato sulle sponde del lago, Papa Bergoglio fa il segno della croce verso i quattro punti cardinali, secondo la consuetudine indigena, e benedice l’acqua del lago. Quindi giunge al palco, dove è allestito un piccolo altare, benedicendo, lungo tutto il tragitto, i fedeli con l’acqua benedetta del lago. Il suono del tamburo si interrompe per lasciare spazio alla liturgia e alla preghiera.

Ma qui, «immersi nel creato – fa notare il Pontefice -, c’è un altro battito che possiamo ascoltare, quello materno della terra. E così come il battito dei bimbi, fin dal grembo, è in armonia con quello delle madri, così per crescere da esseri umani abbiamo bisogno di cadenzare i ritmi della vita a quelli della creazione che ci dà vita. Riandiamo così oggi alle nostre sorgenti di vita: a Dio, ai genitori e, nel giorno e nella casa di Sant’Anna, ai nonni, che saluto con grande affetto».

Un battito che, sottolinea Bergoglio, «ci aiuta a tornare anche alle fonti della fede”. Infatti, prosegue il Papa, “ci permette di peregrinare idealmente” fino alla Terra Santa, dove Gesù, proprio sulle sponde di un lago, “scelse e chiamò gli Apostoli, proclamò le Beatitudini, narrò il maggior numero di parabole, compì segni e guarigioni».

E qui, sulle rive di questo lago, il suono dei tamburi che attraversa i secoli e unisce genti diverse, «ci ricorda che la fraternità è vera se unisce i distanti, che il messaggio di unità che il Cielo invia in terra non teme le differenze e ci invita alla comunione, a ripartire insieme, perché tutti siamo pellegrini in cammino».

E preghiamo: «Signore noi stasera veniamo a te, con il dolore che abbiamo dentro. Ti portiamo le nostre aridità e le nostre fatiche, i traumi delle violenze subite dai nostri fratelli e sorelle indigeni… In questo luogo benedetto, dove regnano l’armonia e la pace, ti presentiamo le disarmonie delle nostre storie, i terribili effetti della colonizzazione, il dolore incancellabile di tante famiglie, nonni e bambini. Aiutaci a guarire le nostre ferite. Ci affidiamo a Te e all’intercessione di tua madre e di tua nonna».

La spiritualità della Madre Terra

Papa Francesco è in Canada anche per una riconciliazione con la Terra. Viene riconosciuto come un capo che porta un messaggio di riconciliazione nelle loro terre.

Lunedì la chiesa del Sacred Heart a Edmondon è stata incensata da un anziano prima dell’arrivo del Papa. Il cedro, la salvia, l’erba dolce e il tabacco vengono bruciati come doni al Creatore che vengono restituiti al Creatore. Gli scopi del rituale sono la purificazione personale e dello spazio. Per gli indigeni, vedere il Papa accolto in un luogo che è stato purificato, dimostra una sua sensibilità alle loro tradizioni che non sono contrarie alla fede. Altra pratica è la preghiera verso il Nord, il Sud, l’Est e l’Ovest, movimento simile all’antico orientamento geografico dei luoghi cristiani. Serve a ricordare l’onnipresenza del Creatore e che tutta la Creazione appartiene a lui.

Ed McGaa Eagle Man, un Sioux Oglala scrive: «I Nativi Americani o Indiani hanno imparato a vivere con la Terra una relazione di carattere profondamente spirituale. Attraverso la loro percezione di un legame intimo con ogni forma di esistenza, hanno potuto sviluppare una profonda saggezza e un grande rispetto verso la Terra stessa. Il nostro pianeta non è un’entità morta. Da secoli gli Indiani sanno che Madre Terra è viva e che tutti noi dipendiamo da lei e in ogni momento, per l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, il cibo con cui ci nutriamo. La Sacra Pipa, la Capanna Sudatoria, la Ricerca della Visione e la Danza del Sole sono solo alcuni dei rituali nativi americani.

La spiritualità della Madre Terra consente di accedere al cuore del Sentiero della Bellezza, lungo il viaggio che ci riporta alla nostra Madre Universale. Le tradizioni dei Nativi Americani rappresentano quel fuoco spirituale in grado di stimolare un impegno comune e di unire tutti gli uomini nel lavoro di guarigione della Terra. Una guida spirituale affascinante e ispirante, nella quale le informazioni stimolano la mente e le idee scuotono lo spirito».

Amici, leggo, vi trasmetto, sentiamoci uniti.

 

 

 

«Vi chiedo perdono»

Il Papa incontra i nativi canadesi. «Le scuole residenziali ebbero effetti catastrofici». Appello per la giustizia e la riconciliazione. Il Papa riconosce anche «la carità cristiana» presente in quegli istituti e «non pochi casi esemplari di dedizione per i bambini», ma sottolinea che «le conseguenze complessive delle politiche legate alle scuole residenziali sono state catastrofiche».

La visita è entrata nel cuore del dramma. «In questa prima tappa ho voluto dare spazio alla memoria». Ma «le scuse sono solo un punto di partenza del cammino che dobbiamo fare». La preghiera silenziosa nel cimitero di Maskwacis e dove sorgeva una delle scuole residenziali. Poi l’incontro con i popoli indigeni. Significativo il bacio che il Papa ha dato allo striscione con scritti i nomi dei bambini vittime dele scuole.

Nell’incontro con i nativi, i capi hanno posto sulla testa del Papa il loro copricapo. Il Papa ha visto le danze, sentito i canti a volta lancinanti, i suoni dei tam-tam, si è lasciato abbracciare, ha baciato le mani…

Ho seguito alcuni momenti di TV 2000 con commozione. Mi sono risentito missionario in alcuni luoghi di foresta, savana, deserto. Ho rivisto le danze, risentito i suoni dei tam-tam, ascoltato i canti, gli strilli gioiosi delle donne, accolto gli abbracci… Risento le parole: «Tu sei venuto e rimasto con noi. Qui nessun amministratore è arrivato, nessun medico è venuto…».

È così che seguo la visita del Papa in Canada. Certo, per chiedere perdono. Ma dentro, sotto e oltre… c’è la visita. Questi popoli si sentono visitati, riconosciuti, capiti, rispettati, amati.

L’enciclopedia Treccani scrive che la “visita” è recarsi a casa di una persona o di una famiglia, per il piacere di rivedersi e di conversare insieme o per motivi particolari, per cortesia o per affetto, per offrirgli compagnia, aiuto o conforto… E aggiunge come esempio la visita della Madonna a s. Elisabetta quando Zaccarìa cantò: «Benedetto il Signore, Dio d’Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo…Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge dall’alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte, e dirigere i nostri passi sulla via della pace».

Amo seguire la visita di Papa Francesco come una visita missionaria. A questa visita di riconciliazione e di riconoscenza, Papa Francesco sta coinvolgendo tutto il mondo. È la visita della Chiesa che fa il suo cammino per incontrare ogni uomo di lingua, cultura, religione diverse, incominciando sempre a chiedere perdono per gli errori compiuti nel passato e rimettere in cammino di riconciliazione, rispetto e comunione. È la visita di Dio, Sole che sorge dall’alto per risplendere.

Cari amici, viviamo insieme questo momento straordinario, in preghiera.

L’Algeria non è solo petrolio e gas

Durante i dieci anni vissuti a Touggourt, oasi del deserto algerino, distante 600 chilometri da Algeri, molti venerdì mi recavo ad Hassi Messaud per incontrare gli operai di varie nazionalità che venivano in una cappella per la celebrazione della messa.

Hassi Messaud è un giacimento petrolifero scoperto nel 1956. Le riserve totali sono circa 6,4 miliardi di barili (870 × 10 tonnellate) e la produzione è centrata su 350 000 barili al giorno (56 000 m³/d). Gli operai italiani sono la maggioranza. Il ritmo di lavoro è di 28 giorni a Hassi Messaud  e 28 giorni in Italia. Arrivano in aereo da Roma, sono scortati alla base, scortati al posto di lavoro, che sia in città o nel deserto. Terminati i 28 giorni riprendono l’aereo per Roma. Non escono mai dalla base della loro società. Per venire alla messa, prima erano autorizzati a uscire un’ora alla settimana, sempre con la scorta; poi, dopo gli attentati che hanno rafforzato le misure di sicurezza, solo nelle grandi feste. Ce ne sono che vivono così per anni in Algeria, come in un edificio con porte e finestre chiuse.

Lasciando Touggourt per andare ad Hassi Messaud, facevo 160 chilometri di pura sabbia in un piccolo pullman. All’entrata della chiesetta è scritto: «Nostra Signora delle Sabbie vi invita a ringraziare Dio per i suoi doni nascosti sotto le sabbie e a domandare con lei la protezione delle anime e dei corpi degli operai del petrolio, delle loro famiglie e dei loro paesi». (Mgr. Mercier, évêque de Laghouat 1950).

Mi commuovo nella chiesetta della Nostra Signora della Sabbia, pensando a quanti, algerini compresi, hanno dato lavoro, mezzi e competenza perché ad Hassi Messaud accanto alla preghiera musulmana ci sia anche la preghiera dei cristiani. Accanto all’altare, ho trovato una preghiera, lasciata da un cristiano sopra un ricamo con la scritta PGR (per grazia ricevuta). Ve la scrivo perché anche voi preghiate per quanti si adoperano per usare ancora della ricchezza della natura, petrolio e gas, nascosti sotto la sabbia.

Oh, Nostra Signora della Sabbia, a te ci rivolgiamo noi uomini resi aridi nei sentimenti, dalla lontananza dai nostri cari.

A te ci rivolgiamo, noi uomini resi duri dal pesante lavoro del deserto.

Stendi su di noi e sulle nostre famiglie il tuo manto benedicente.

Proteggici ed aiutaci a perseverare nella nostra fede.

Oh, tu Signora della Sabbia, volgi il tuo sguardo amorevole sugli ammalati, infondi loro la speranza della guarigione, consolali nella loro malattia.

Oh, Nostra Signora della Sabbia, a te ci rivolgiamo noi poveri peccatori, a te rimettiamo le nostre mancanze. Perdonaci, consolaci, aiutaci ad affrontare le avversità della vita.

Infine, Madre Santa, poni ai piedi di Gesù, tuo Figlio e nostro Signore, le nostre pene, le nostre miserie e le nostre speranze. Amen!

La forza dell’albero nelle radici

Il movimento missionario della diocesi di Treviso, così definito dal vescovo Antonio Mistrorigo negli anni Sessanta, ebbe le sue origini nel 1922 quando il vescovo Longhin aprì la porta della canonica di san Martino Urbano a padre Gaetano Filippin che incominciava una casa apostolica e che divenne il seminario dell’Immacolata per le Missioni Estere. Da allora fino ad oggi, dalle diocesi del Triveneto partirono in tante parti del mondo più di 150 missionari del Pime e la diocesi di Treviso nel 1993 poteva contare 900 missionari tra religiosi, religiose, laici e preti diocesani.

Da dove la forza di questo movimento missionario? Il Concilio Vaticano II ha detto che la missione nacque nel cuore della Trinità, quando cioè il Figlio fu mandato dal Padre perché nessuno di noi andasse perduto e quando lo Spirito Santo fu mandato per accompagnare gli apostoli.

Due forze muovevano la Chiesa e la diocesi di Treviso. La prima, quella centrifuga, che portò figli e figlie di Treviso nell’America Latina e in Africa. La seconda, quella centripeta che manteneva uniti in Gesù tutti coloro che operavano per l’evangelizzazione, sia in missione che in patria. La missione donava a tutti il pieno senso della vita, il dono di sé e della comunione.

La terra di Treviso era santificata e tenuta unita da san Pio X, beato Longhin, Santa Bertilla, Ven. Bernardo Sartori, martire Valeriano Fraccaro, padri Gaetano Filippin, Angelo Bacchin, Pietro Bonaldo, don Mario Bortoletto, don Angelo Santinon, don Luigi Cecchin e Luciano Bottan. Oggi Mons. Michele Tomasi, vescovo di Treviso, dice: «Gustiamo il nostro stare insieme per camminare insieme; lasciamoci toccare e trasformare dall’amore di Dio Padre che si manifesta nel Figlio amato e che ci rinnova nello Spirito».

Come rinnovarci?

Un albero non sopravvive senza radici.

I 100 anni del movimento missionario meritano di essere ricordati, conosciuti, nella vita di quanti hanno vissuta la missione, a partire dai genitori che hanno donato i loro figli, i sacerdoti che hanno sostenuto vocazioni e opere missionarie e tanti religiosi e laici di ogni genere che amavano e lavoravano per l’opera missionaria. La vita dei missionari ricorda il senso di una vita donata per portare la conoscenza di Gesù a chi ancora non lo conosce. Parenti, amici, collaboratori sono radici di santità missionaria che vanno riaccese.

Come ripartire insieme? Ecco la risposta di una animatrice missionaria che visse per le missioni e mi disse: «Ritorniamo a pregare, lo Spirito Santo, ci riaccenderà».