I fidei donum italiani scrivono una pagina nuova

Già l’avevano scritta qualche anno fa quando i vescovi del triveneto avevano preso la decisione di mandare in Asia i presbiteri che si rendevano disponibili. Si trattava di una novità importante perché fino ad allora si partiva soprattutto per l’Africa e l’America Latina. Altre pagine nuove le hanno scritte i laici, fidei donum pure loro. Si assiste già alla consegna del crocifisso a coppie e ai loro figli. Su questo argomento, tempo fa, il teologo trevigiano Franco Marton aveva espresso anche un suo sogno: «Ad Ambam, in Camerun, per qualche anno sono vissuti insieme alcuni fidei donum di Treviso, alcuni “padri missionari” del Pime e anche qualche laica lombarda. (…) Ripensando al tutto si potrebbe anche guardare al futuro con coraggio. Nulla impedisce che un Vescovo, a nome della sua chiesa locale, invii ad gentes una équipe formata da fidei donum della sua diocesi, da religiosi o religiose missionari di qualche Istituto, battezzati nella sua chiesa locale, con laici o laiche della stessa chiesa. In qualche rara diocesi si sta già facendo. (….) da un punto di vista teologico il progetto starebbe perfettamente in piedi, come dal punto di vista del Concilio. Avrebbe, inoltre, una forza spirituale molto grande, perché tutti i membri dell’équipe si sentirebbero spinti ad aiutarsi nell’approfondire la propria fede, attingendo tutti a quello Spirito che resta il vero protagonista della missione. Non dovrebbe essere vista come una ‘soluzione pastorale’, subita da una chiesa locale ormai ridotta nei numeri delle vocazioni missionarie, ma come una scelta consapevole e motivata. Stiamo sognando o stiamo guardando al futuro con lo sguardo di un missionario che continuiamo a chiamar indifferentemente don Silvano o Padre Silvano, intuendo che dietro a questa benefica ‘confusione’ potrebbe nascondersi qualcosa di buono per il futuro della missione della diocesi? Se ci fosse il coraggio di rischiare…».    

Leggo in “Avvenire” del 27 ottobre 2018: «Stasera in Duomo Delpini invierà 11 fidei donum e ne accoglierà otto. È la prima volta che leggo questo: «invierà e accoglierà». Accoglierà cioè i preti inviati da diocesi africane alla diocesi di Milano, dove si dedicheranno agli studi o al servizio pastorale. In realtà, nell’ attuale diocesi di Milano, definita ora “Chiesa dalle genti”, gli stranieri sono numerosi e hanno bisogno di assistenza di vario genere e alcuni preti provenienti dai loro Paesi, sono già al loro servizio.

Altra novità per me: In questi giorni ho ricevuto la lettera di un presbitero tupuri del Nord del Camerun che avevo conosciuto ragazzo mentre era col padre catechista nel centro che dirigevo. Mi dice che si sta preparando a raggiungere una parrocchia di Francia come fidei donum.

Alcuni vescovi, ultimamente, si sono sentiti costretti a limitare la partenza dei loro presbiteri, ma ce ne sono ancora alcuni convinti dell’importanza del dono e dell’apertura della loro diocesi e permettono ad alcuni presbiteri di partire. Oggi sta nascendo in qualche vescovo italiano anche la possibilità di mandare in Francia o in qualche Paese europeo, qualche suo presbitero per aiutare una parrocchia senza prete, ma anche con un progetto di comunione tra diocesi europee perché ormai si vive una comune situazione di sofferenza e quindi anche di vivere la ricerca insieme di come affrontare situazioni comuni e trovare soluzioni da condividere e sostenere.

Papa Giovanni accoglie e benedice i frutti del Concilio

Oggi, 26 ottobre 2018, nella nostra chiesa di Sotto il Monte, accanto alla casa natale di Papa Giovanni, ho assistito alla celebrazione della Parola e della comunione eucaristica presieduta da un diacono. La chiesa era piena di pellegrini tedeschi e il diacono, tedesco pure lui, con le carte in regola, si è presentato a chiederci i paramenti per un diacono e le chiavi del tabernacolo. Ho seguito tutta la celebrazione: canti ben preparati, buona partecipazione dei fedeli, letture della liturgia della Messa del giorno, omelia, intenzioni, preghiere di preparazione alla comunione e assunzione del diacono e dei fedeli dell’Eucaristia, ringraziamento con preghiere e canti. Certo, il diacono non ha consacrato il pane eucaristico, ma ha potuto aprire il tabernacolo, prendere tra le mani l’Eucaristia e condividerla coi fedeli. Ero sorpreso e contento di come si svolgeva la celebrazione. Partendo, il diacono mi ha detto che il loro parroco si era ammalato e lo aveva incaricato di guidare e animare il pellegrinaggio.

Ho pensato a Papa Giovanni che accoglie, accompagna e benedice con gioia questi pellegrinaggi provenienti da tutto il mondo. Deve anche sentirsi soddisfatto e fiero di constatare i frutti del Concilio, voluto da lui.

Il primo frutto che ho visto è quello del diaconato permanente, ripristinato dal Concilio e che in questi ultimi decenni ha conosciuto in numerosi luoghi forte impulso e ha prodotto frutti promettenti, a tutto vantaggio dell’urgente opera missionaria di nuova evangelizzazione.

Il secondo frutto è quello del cambiamento della lingua voluto da Papa Giovanni. Qui a Sotto il Monte si sentono le preghiere in tutte le lingue. Dal Concilio Vaticano II, la Chiesa non utilizza più il latino come lingua esclusiva delle liturgie romana e ambrosiana e dei riti latini della Chiesa cattolica. Papa Giovanni in Paradiso è lieto di sentire tutte le lingue del mondo.

Il pellegrinaggio a Sotto il Monte continua a essere simbolo vivo ed efficace del cammino verso il Paradiso con la carezza e la benedizione di Papa Giovanni e soprattutto con la forza del pane vivo di Gesù Eucaristia che dà forza, fede e rinnova il cuore. Con la sorpresa di sentirsi tutti in cammino, accanto a fratelli di ogni continente.

“Kum”, risorgere, tema di dialogo

 

Silvia Camisasca in Avvenire del 18 ottobre 2018 ci fa dono di una pagina intera su un prossimo dibattito: “Rinascere a nuova vita per condividere e rigenerare l’altro in una sorta di rivoluzione della responsabilità universale”.

Assistendo alle proposte di questi incontri interreligiosi, vedo con interesse l’invito ad aprirsi, ad ascoltare e a fidarsi della Parola dell’Altro. Al festival Kum di Ancona del 21 ottobre 2018, dialogheranno il teologo don Luigi Epicoco, il monaco buddhista Rinpoce e il rabbino Della Rocca Roberto. Talitha kum significa “Bambina, alzati”, ordine rivolto da Gesù alla figlia morta del rabbino (Mc, 5-41). Filosofi, psicanalisti, storici e teologi saranno a confronto attorno al grande tema delle Resurrezioni: un’occasione di riflessione sui molteplici significati del “rinascere” dalle ceneri della sofferenza. Interrogarsi sul bisogno di prendersi cura dell’altro, di farsi carico delle croci dell’umanità, di condividere un percorso comune: quello di restituire vita alla vita. Tentativo laico e coraggioso di sdoganare un tema tanto complesso.

Così si annuncia don Epicoco: «È l’esperienza liberante di chi riesce a ripartire. Credere in Cristo non è solo condivisione di pensiero, ma accettazione di quella resurrezione».

Il lama buddhista Rinpoce: «È il risveglio di questa umanità confusa. All’uomo vinto dalla sofferenza Dio dice “Alzati”, e “Risvegliati” è il monito di Buddha all’uomo caduto nel sonno delle illusioni : inviti simili a uscire dal torpore della morte interiore e risorgere a nuova vita”.

Il rabbino Della Rocca: «È l’Eterno che ci chiede di realizzarci in pienezza. Su quale rinascere o risorgere si possono incontrare tutti gli uomini, al di là del loro sentire religioso? Al di là di ogni fede, dove si ritrova la grande attualità della Resurrezione?».

Don Epicoco precisa: «Sdoganare questo tema e metterlo al centro dell’attenzione del dibattito significa dire che quello che può apparentemente sembrare un problema teologico, pervade l’uomo in quanto tale, lo coinvolge nel suo complesso. In un tema simile non è in gioco solo l’anima, ma la persona tutta intera».

E Costantino Gilardi, domenicano psicanalista: «Ogni colpo d’ala, ogni volta che il bene è più forte del male, ogni volta che la luce è più forte delle tenebre e ogni volta che la vita è più forte della morte, si compie una piccola grande risurrezione. E vi sono risurrezioni laiche e risurrezioni dall’alto, senza poter mai dire dove inizia una e finisce l’altra».

 

 

Non senza l’altro

Leggo nel giornale L’eco di Bergamo di lunedì 15 ottobre 2018 :

La comunità di sant’Egidio ha organizzato a Bologna un Meeting internazionale sull’attualità delle parole di Paolo VI sulla guerra: «Non più gli uni contro gli altri o senza gli altri. L’umanità deve porre fine alla guerra o la guerra porrà fine all’umanità». Queste parole sono risuonate al Meeting per bocca del vescovo di Bologna Matteo Zuppi. Erano presenti molti rappresentanti di tutte le religioni del mondo. Una delle relazioni introduttive è stata affidata a Ahmad el-Tayyeb, grande imam dell’università di Azhar del Cairo. Ha affermato: “Il terrorismo che getta nel panico coloro che vivono in pace e li priva della sicurezza, non può essere l’operato di un popolo credente. Questo comportamento è sicuramente opera di un gruppo di persone che sono facili preda di disinformazione, di lavaggio del cervello, del commercio delle coscienze e anime”.  Parlerà anche Bernice, la figlia di Martin Luther King, per invitare a costruire un mondo senza razzismo e violenza. Il vescovo di Bologna ha detto : “Il pericolo oggi è proprio quello di stare senza l’altro, circostanza alla quale non possiamo abituarci, come scongiurava Paolo VI”. E Papa Francesco nel suo messaggio al Meeting: “Siamo chiamati ad impegnarsi insieme per congiungere le persone e i popoli. Il timore più grave è l’indifferenza per cui non basta accontentarsi di stare in pace».

La parola chiave del Meeting è Dialogo con l’impegno di costruire ponti. Riccardi della comunità sant’Egidio ha ricordato che Paolo VI vedeva nel dialogo «un’origine trascendentale, con intenzione stessa di Dio».

 

 

Collaborazione tra Chiese sui migranti

I vescovi della Regione Nord dell’Africa (CERNA) riuniti a Tangeri (Marocco) il 23-26 settembre scorso, nel comunicato finale sul tema dei Migranti, dicono : “La migrazione in situazione di aumento nel mondo intero resta per noi la più grande realtà di sofferenza che accostiamo nei nostri paesi. Ci interroga sulla nostra solidarietà presso quelli che soffrono e più ampiamente sul rispetto per ogni persona umana, in qualsiasi situazione si trovi. Denunciamo il disprezzo dei diritti fondamentali verso i migranti. Impegnamo la nostra solidarietà fattivamente verso di loro nei quali riconosciamo il volto sofferente di Cristo nostro Signore. Ci siamo trovati d’accordo e sostenuti in questa decisione nella condivisione di esperienze con la commissione per i migranti (CEMI) della Conferenza episcopale italiana (…), venuta a Tangeri per rendersi conto della situazione. Questo ci incoraggia a collaborare per poter affrontare insieme la grande sfida per le nostre Chiese e per le nostre società divise».