Le vie sono diverse, la meta è unica

Il card. Gianfranco Ravasi, durante gli esercizi predicati in Vaticano, presente il Papa, ha letto: «C’è una bellissima espressione di una mistica musulmana dell’VIII secolo – Rabbi’a – la quale, sotto il cielo stellato di Bassora, la sua città in Iraq, dice: “È sera. Sta scendendo la notte. Le stelle brillano in cielo. Ogni innamorato è con la sua amata e io sono qui, sola con Te, o Signore”. Cioè, il linguaggio d’amore e il linguaggio della mistica».
In ogni religione ci sono dei mistici e dei cercatori di Dio. Ne ho incontrati anche in Camerun tra i fedeli della religione tradizionale africana.
Alessandra Garusi, nella rivista “Missione oggi” dei padri saveriani, in una intervista a Gabriel Mandel Khan, maestro sufi, ha raccolto questa perla: «I mistici pensano Dio, vivono Dio, e Dio è uno per tutti, per tutta l’umanità e universo mondo. Quindi, quando un mistico si perde in Dio, non è più né bianco né nero, né cristiano né musulmano. Voi, ad esempio, avete santa Teresa d’Avila. Noi abbiamo Rabbi’a, la donna mistica più importante. Se lei interscambia i nomi, i loro testi sono molto simili. Tanto è vero che, nelle nostre riunioni, leggiamo anche mistici ebraici, cristiani, ecc. Come modello, uno per tutti, Jalâl âlDîn Rûmî (il san Francesco dei sufi, 1207-1273). Egli scrisse: “Le vie sono diverse, la meta è unica. Non sai che molte vie conducono a una sola meta? La meta non appartiene né alla miscredenza né alla fede; là non sussiste contraddizione alcuna. Quando la gente vi giunge, le dispute e le controversie che sorsero durante il cammino si appianano; e chi si diceva l’un l’altro durante la strada ‘tu sei un empio’ dimentica allora il litigio, poiché la meta è unica”. È Dio… Nel Corano sta scritto: “Dio dice: né i cieli né la terra mi contengono; mi contiene il cuore del mio fedele”. Di conseguenza è col cuore che io lo sento, non certamente con la mente. Per cui coltivo il mio cuore e, in un certo senso, questo mi fa vivere in un sogno. Quindi tutta la mia vita è dedicata a Dio. È il più bel sogno che possa sognare, dunque lo vivo. E non vado in cerca di altri desideri che questo».

Mons. Antoniazzi, arcivescovo di Tunisi

Lo Spirito Santo si sta divertendo a spostare i suoi fedeli come vuole. Dall’Argentina il nuovo vescovo di Roma. Da San Polo di Piave (Treviso), prima, e da Rameh (Galilea) poi, il nuovo vescovo di Tunisi. Con sorpresa, come quando il poliziotto che verificava i passaporti di un gruppo di religiose, vedeva una proveniente dalla Corea, un’altra dall’Italia, un’altra dalla Francia, un’altra ancora dall’India e chiese: «Come avete fatto a mettervi insieme?».
Intervistato da Maria Laura Conte, Mons. Ilario dice: «È un vero salto quello che mi attende. Spero non un “salto mortale”. Sarà molto diverso il contesto, ma quello che mi aspetto è di capire il piano del Signore su di me e sulla Tunisia. Ho parlato con il Vicario generale dell’arcidiocesi che mi ha descritto la situazione nel dettaglio e ho colto che ciò su cui dovremo tutti insistere è la speranza: la speranza dei cristiani che vivono lì deve essere sempre alimentata. La Tunisia vive un momento delicato e molti si chiedono come potrà andare a finire la storia. Ma è solo il Signore, il Dio della storia, non l’uomo, che può rispondere».
«Lei svolgerà il suo ministero in un Paese nel quale ha vinto le elezioni il partito a riferimento islamico. Come i cristiani possono agire e annunciare il Risorto qui senza incorrere nel rischio di essere accusati di proselitismo?»
Il nuovo vescovo risponde: «Questo è un punto cruciale. Credo che ci vengano in aiuto i nostri predecessori, i nostri padri cristiani che hanno testimoniato Cristo e diffuso la fede cristiana con la loro carità. Chi li incontrava e vedeva come si comportavano, arrivava a domandarsi: “Dove sta l’origine della loro capacità di amare e di donarsi? Come possono vivere così?”. Ecco: si può predicare il Vangelo vivendo la carità. Basti pensare a madre Teresa di Calcutta: era sola, ma con sua umiltà e carità ha cambiato il cuore di tanti. Anche noi possiamo dare qualcosa, nel quotidiano, non possiamo restare a guardare. Senza pretese. La principale “predica” per i musulmani non è quella che facciamo in Chiesa davanti a tutti, ma il nostro modo di vivere e agire. Se qualcuno chiede aiuto, è inutile chiedergli di che religione sia. La carità non distingue né pone problemi, ti spinge verso il prossimo e il resto lo fa il Signore».

Il Papa non si ritira, va a Nazareth

Questo per me è un bel momento. Leggo le notizie del mondo. «Il Papa si ritira, coraggioso, umile, ma…». Sì, qualcuno dice anche “ma”.
È il momento di rileggere il Vangelo quando ci fa vedere Gesù che si ritira in preghiera, anche quando le folle di tutte le categorie lo cercano… e continua ad amarle.
Sto pensando al mio confratello, un tempo mio alunno nel seminario teologico, che da poco ha lasciato la sua missione per ritirarsi in monastero. Penso al mio superiore generale che presto terminerà il suo servizio per l’Istituto durato 18 anni. Sulla scelta dell’Istituto di mandare in Algeria alcuni suoi membri, scrisse: «Mi piace ribadire come questa presenza vuole avere un significato tutto particolare per l’intero Istituto: essere semplice “presenza” dove non servono investimenti di danaro, somme per costruzione …». Quasi a ricordarci l’essenzialità della missione: è Lui che converte i cuori. Personalmente sono convinto che questa scelta sia una ricchezza e un’ispirazione per tutto l’Istituto, sacerdoti e laici, candidati nella formazione iniziale, perché dà ragione di quanto scrive Papa Giovanni Paolo II nella enciclica Redemptoris Missio: «Si è missionari prima di tutto per ciò che si è, prima di esserlo per ciò che si dice e si fa» (n. 23).
E allora tutti in convento? No, ma ovunque si è, il cuore sia a Nazareth. Non è facile capire e vivere fedelmente la profonda realtà e ricchezza della presenza silenziosa in preghiera. E scusatemi; forse anch’io potrei restare più silenzioso.
Nella decisone del Papa stiamo scoprendo valori importanti della Chiesa.
Nel 1977 aveva scritto: «La Grande Chiesa non può né crescere né prosperare se le si lascia ignorare che le sue radici si trovano nascoste nell’atmosfera di Nazareth. Prima della ricerca accademica, Charles de Foucauld ha incontrato il vero “Gesù storico” e aprì così una nuova via per la Chiesa. Fu per la Chiesa una riscoperta della povertà. Nazareth ha un messaggio permanente per la Chiesa. La Nuova Alleanza non comincia nel Tempio, né sulla Montagna Santa, ma nella piccola casa della Vergine, nella casa del lavoratore. In uno dei luoghi dimenticati della “Galilea dei pagani”, dalla quale nessuno aspettava qualcosa di buono. Solo partendo da lì la Chiesa potrà prendere un nuovo slancio e guarire. Non potrà mai dare la vera risposta alla rivolta del Novecento contro la potenza della ricchezza se, nel suo stesso seno, Nazareth non è una realtà vissuta».
Lucio Battisti canta: «Nel silenzio, anche un sorriso… può far rumore».

Papa Ratzinger guarda la Chiesa e pensa al cielo

Come un padre che lascia i figli e misura i messaggi da confidare. Bellissima la sua frase: “Il concilio aveva mostrato tutta la sua intensità sulle relazioni interreligiose. La Chiesa afferma la realtà di un Dio che ha parlato ma deve anche entrare in dialogo con le altre esperienze religiose che hanno una certa luce umana della creazione”. Mi ha fatto pensare al mio viaggio verso l’ Assekrem  e che desidero raccontarvi ancora.

Sassi, sassi e poi sassi tra montagne di ogni forma: picchi, altipiani, e valli che non finiscono mai, qualche rigagnolo e piccolo lago. Una giornata intera tra i sassi. Charles volle andarvi perché lì vivono i tuareg, e lì piove e crescono i pascoli. È con loro che volle vivere. Proprio in alto, a circa 2.600 metri. E lasciò scritto: «La vista è la più bella che non si possa dire, né immaginare. Nulla può dare l’idea di foresta di picchi e di guglie rocciose che si ha ai propri piedi. È una meraviglia. Non la si può ammirare senza pensare a Dio. Mi è difficile distogliere lo sguardo da questa vista ammirevole, la cui bellezza e impressione di infinito ci ravvicinano a Dio, mentre questa solitudine e questo aspetto selvaggio ci fanno sentire che cosa sia essere soli con Lui: una goccia d’acqua nel mare».

Charles, come altri eremiti, ha saputo rendere importante questo angolo della terra, diventato luogo di incontro con Dio e coi fratelli. Ma c’è voluta un po’ di pazzia. I tuareg dicono in proverbi:
«La verità è nascosta tra le sabbie del deserto, affinché chi la scopre sia considerato un pazzo, la mente bruciata dalla solitudine e dal sole». «Dio ha creato i luoghi ricchi di acqua perché l’uomo vi possa vivere ed ha creato il deserto perché l’uomo vi possa trovare la propria anima… Non l’uomo attraversa il deserto. È il deserto che attraversa l’uomo».

A circa un chilometro dall’eremitaggio di frère Charles, entro nel mio eremitaggio. In questa stanza di sassi, passo due notti e un bel tempo di solitudine. Non manca niente, niente è di più, tutto è pura semplicità. Lì, solo, guardo, penso, medito. Dio, parla ancora, comunica mostrando il creato. Continua a dire le sue prime parole di creatore: «Tutto è buono. Tutto è bello!». L’uomo, creato ad immagine di Dio, percepisce il linguaggio di Dio.

Sfogliando il quaderno delle testimonianze che la gente lascia scritte, vedo i caratteri delle lingue del mondo, cinese, arabo, ecc.  Ogni scritta mi fa sentire chi è musulmano, cristiano, indù, buddhista, ateo, in ricerca, ecc. Ma in tutti sento una sola cosa: la gioia di sentirsi lì e la sorpresa di avvertire una grande novità nell’esistenza.

Ne trascrivo solo due: «Non sono credente, ma oggi sono arrivato qui all’Assekrem. Ho letto qualche parola di Charles de Foucauld. Mi sento vicino a Dio e all’anima, alla grande anima, all’uomo, al santo. All’Assekrem ho toccato con mano la grandezza dell’universo. Ne sono affascinato».(H.H.)

«Come non pensare al creatore universale davanti a tanto splendore. Un paesaggio lunare, una vista magica che porta all’umiltà. Sufficiente per ricordare all’uomo che non è polvere e che deve tutto a Dio. Sufficiente per vivere felice». (M.)

Al turista che vanta le gioie della città, il vecchio tuareg risponde: «Preferisco restare qui nel deserto, dove il cielo è sempre puro… La notte, quando alzo la testa, posso contemplare il cielo stellato… e medito».

Ha ragione… come tanti che meditano e trovano il senso alla vita. Ha ragione papa Ratzinger quando dice che bisogna entrare in dialogo con le altre esperienze religiose che hanno una certa luce umana della creazione.

Il Papa si ritira a pregare

Scelta non facile da capire. Ho letto: coraggio, umiltà, ecc.
Sembrerò strano, ma non vi nascondo i sentimenti dei padri fondatori del Pime che mi sono venuti alla memoria, qui nella mia solitudine dell’Algeria.
Padre Salerio, attorno al 1860, risponde a lungo alle obiezioni che erano state fatte circa la scelta dell’Oceania, la prima missione del Pime: «Ubbidirono, non scelsero! Nessuno osi giudicare e tanto meno proferire parola di disapprovazione sulla condotta di chi portò all’altare del sacrificio ogni sua cosa, ogni affezione, la vita. Io vorrei poter stringere la mano al mio buon Paolo Reina, responsabile della missione e dirgli: “A questi patti si partì: sacrificar tutto a Dio”».
La missione dell’Oceania è tra le più difficili? Se ci pare che «il coraggio e la calma tranquillità» con cui gli Apostoli andavano in tutte le regioni dell’universo fossero esagerazione e non più imitabili, «accusiamoci di debolezza e di poca fede».
La missione “oceanese” è tanto difficile che altri non la vollero? «Lodiamo il Signore che così serbava il campo alle nostre fatiche, dove i nostri sudori, e fosse pur anche il sangue, misto a quello di Cristo, sarà redenzione e salute a quei popoli abbandonati, che noi ameremo sempre con affetto di padre…».
«Si annunziano pericoli e morti disastrose? Tanto meglio! Da che Cristo ha dato il suo sangue, non so che la fede sia mai cresciuta se non irrigata dal sangue dei suoi credenti; e da che il Capo ha versato tutto il suo sangue, gli altri membri non devono esserne avari; il sangue dei Martiri fu sempre la speranza della Chiesa».
Papa Ratzinger non parte lontano e non lascia la Chiesa… Parte a pregare, per la Chiesa e per il mondo. Per noi.
Come chi obbedisce e porta all’altare del sacrificio ogni sua cosa, ogni affezione, la vita.