Di nuovo a Touggourt

Anche questa volta mi sono fatto dieci ore di bus da Algeri a Touggourt e ne ho approfittato per leggere un libro.  È La storia di un uomo, cioè il ritratto di Carlo Maria Martini, scritto in modo attraente e comprensibile da Aldo Maria Valli (ed. Ancora 2011). Non potevo farmi un regalo più bello. Non solo c’è il racconto della vita del cardinale, ma anche il suo pensiero, tratto dai suoi scritti.

Sono sempre stato un assiduo lettore di Martini, da quando, leggendo in Camerun il suo commento al Vangelo di Marco, mi sembrava di vedermelo accanto. Il suo essere pervaso dalla Parola di Dio, gli permetteva di capire le situazioni umane anche di gente di diverse culture. Vicino a Dio era ed è vicino all’uomo. Eccolo ora vicino anche a me, in preghiera per la pace.

Leggo a pag. 159 : «Intercedere non vuol dire semplicemente “pregare per qualcuno”, come spesso pensiamo. Etimologicamente significa “fare un passo in mezzo”, fare un passo in modo da mettersi nel mezzo di una situazione. Intercedere vuol dire allora mettersi là dove il conflitto ha luogo, mettersi tra le due parti in conflitto. Non si tratta solo di dire “Signore, dacci la pace!”, stando al riparo. Si tratta di mettersi in mezzo… Intercedere è un atteggiamento molto più serio, grave e coinvolgente, è qualcosa molto più pericoloso. Intercedere è stare là, senza muoversi, senza scampo, cercando di mettere la mano sulla spalla di entrambi e accettando il rischio di questa posizione».

Leggendo, mi sembrava che mi vedesse a Touggourt, non in situazione di conflitto, ma nel mio comportamento di “stare là… accettando il rischio”.

E per quando riguarda l’islam, a pag 136, dice: «Occorre guardare non tanto, in modo generico, all’Islam in quanto religione e tradizione (della quale, fra l’altro, sappiamo ben poco), ma all’uomo islamico come lo incontriamo nelle nostre città. E da questo rapporto che nasce il dialogo. È da questo riconoscimento fraterno che nasce un cammino di pace, nella realtà quotidiana».

Il taxi mi lascia davanti alla porta della mia casa. Apro, saluto Gesù Eucaristia, solo come me, e gli dico che ci faremo buona compagnia. Guardo il termometro: 41 gradi. Dico tra me: «Sabrun bab ge’na» (la pazienza è la porta del Paradiso).

Poi, tornando dalla polizia, saluto la gente. Alcuni anziani mi dicono: «Passa spesso di qui e resta un po’ con noi».  È sempre sul marciapiede che vivo i miei incontri. Il Papa in Germania ha detto: «L’umiltà è l’olio che facilita il dialogo».

Riprendo il mio stare accanto a questa popolazione con affetto e discrezione, vivendo, dice ancora Martini, «un’autentica esperienza dello Spirito Santo: lo Spirito è infatti il vincolo di unità tra i diversi e aiuta ciascuno a gridare l’Abba del cuore e della vita verso l’unico Padre di tutti».

Ritorno in Algeria

Cari amici domani ritornerò in Algeria, dopo tre mesi impegnati in incontri e testimonianze varie in Italia. Salutandomi, mia madre – che il 12 settembre scorso ha compiuto 102 anni – mi ha detto: «Fa’ puito!». Che significa: «Fa’ bene. Fa’ il bravo». Salutandovi, lo dico anche a voi.

Fra qualche giorno, padre Emmanuele tornerà in Italia per un’operazione. Allora a Touggourt resterò solo sino all’arrivo di padre Davide previsto per febbraio prossimo, visto permettendo. Per tutte queste cose vi chiedo di pregare. Ma non resterò solo perché ritroverò, nel suo bel luogo, Gesù Eucaristia, lo stesso che cinque anni fa. Quello a cui dicevo: «Sono qui per te». E lui mi aveva risposto: «Sono io che sono qui per te e ti aspettavo».

Pellegrini della verità e della pace ad Assisi

 

Il Papa desidera far rivivere lo spirito della storica preghiera di Assisi di 25 anni fa. Nel numero di ottobre della rivista Mondo e Missione potete quanto il teologo Jean Marie Ploux ha scritto:  «Se, come diceva Giovanni Paolo II, lo Spirito è all’origine di ogni autentica preghiera, allora che cosa c’è di più urgente di quest’assemblea di credenti che ciascuno secondo la propria tradizione e fede, si rivolge al Dio unico per il bene di tutti gli uomini?».

Non semplice celebrazione di un anniversario, né desiderio di trovare una religione globale che ci unisce, ma sentire e pronunciare il grido profondo del cuore dell’uomo che ha bisogno di dialogo e di fraternità per una pace che permetta al mondo di avere un avvenire.

Il Papa invita tutti i credenti, e in particolare i responsabili delle diverse religioni del mondo, a uscire da tutti i conflitti, compresi quelli interiori, ancora persistenti e micidiali. Anche la crisi economica è il frutto di scontri e di lotte, poco apparenti, ma che portano a fallimenti e a suicidi.

«Farci pellegrini della verità e della pace» significa uscire dalla sfiducia nell’uomo e di non crederci più capaci d’amore, di vera libertà e di giustizia.

«La pace – dice ancora il Papa – è possibile, perché tutti gli uomini sono creati capaci di vero e di bene e sono dei pellegrini infaticabili della verità e quindi dell’assoluto… La capacità universale di conoscere il vero, il bene e Dio,  rende tutti gli uomini, credenti e non credenti, membri di una ricerca comune e di un patrimonio di valori etici condivisi di cui è possibile servirsi per cooperare all’affermazione della giustizia e della pace nel mondo».

 

 

 

 

«Vi accogliamo con gioia, ma non vi tratteniamo»

Venerdì 16 settembre 2011, quattro giovani, tre brasiliani e un italiano, hanno emesso la promessa di aggregazione al nostro Istituto nella chiesa di San Francesco Saverio della casa madre del Pime di Milano, accanto alle spoglie del fondatore, mons. Angelo Ramazzotti. Assieme ai membri della direzione generale, c’erano anche i regionali dell’Istituto, altri missionari e fratelli laici, gli alunni del nostro seminario di Monza, i parenti e gli amici. Animava il canto la corale della Parrocchia di Abbiategrasso.

In questo mese, altri due giovani indiani hanno emesso la professione nel seminario filippino di Tagaytay.

Ormai vediamo un Pime nuovo. La maggior parte del futuro dell’Istituto sarà di missionari provenienti da India, Bangladesh, Birmania, Camerun, Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Stati Uniti e Filippine, con qualche raro giapponese e cinese.

In questi giorni, tra i problemi dell’Istituto, esaminati durante il Consiglio Plenario, ci si è soffermati su quello della formazione. Come preparare alle missioni questi giovani provenienti da tante parti del mondo?

Devo constatare che in questo campo l’impegno dell’Istituto è veramente grande e soddisfacente. Si dubitava un tempo di non farcela e si temeva di sradicare troppo presto i giovani dalle loro culture.

Da anni ormai vediamo che in varie parti del mondo la convivenza tra missionari italiani e missionari di diversa nazionalità è vissuta in maniera positiva. Anche loro, diciamo familiarmente, sanno essere all’altezza delle responsabilità a loro affidate.

Trovo che gli anni che questi giovani tarscorrono in Italia, nell’ambiente formativo, nei vari servizi in parrocchia, nelle case dell’Istituto e altrove, permettono loro di diventare dei “Pimini” doc. Tessono molteplici amicizie con famiglie italiane ed entrano nello spirito dell’Istituto, anche con  qualche debolezza, e speriamo, non in qualche difetto.

Il superiore generale, Giovanni Battista Zanchi, ha spiegato nell’omelia l’importanza di mettersi totalmente al seguito del primo missionario Gesù e di vivere in fedeltà le caratteristiche dell’Istituto, cioè di donare la vita all’annuncio del Vangelo nei Paesi dove si è inviati e in uno stile di vita di comunione fraterna.

Molto bella la frase: «Vi accogliamo con gioia… ma non vi tratteniamo».

Qui è uscita splendente la vera nota preziosa del Pime: essere un Istituto che accoglie giovani di ogni parte del mondo e li prepara  sempre e solo per il servizio del Vangelo e della Chiesa. Tutto ciò non per la potenza dell’Istituto ma unicamente per partire e per servire.

L’applauso finale, ben vigoroso, faceva sentire che accanto all’Istituto un po’ affaticato c’è anche l’Istituto giovane e promettente.

Paradiso vicino

Padre Clemente Vismara, beatificato a Milano il 26 giugno scorso, mi ha fatto sentire la santità vicina perché la sua vita è stata quella di un missionario coi piedi per terra, senza cose straordinarie, ma certamente tutto dedito a donarsi alla gente che incontrava in Birmania e col cuore aperto a Dio. Anche domenica scorsa, 11 settembre, ho vissuta un’altra vicinanza, facendo visita ai confratelli di Rancio di Lecco. Ero con un gruppetto di confratelli partecipanti al Consiglio Plenario.

A Rancio vivono 24 missionari del Pime provenienti da varie missioni. La maggior parte ha superato gli ottant’anni, ma qualcuno è più giovane di me. Tutti sono ormai  bisognosi di assistenza. Per loro l’Istituto riserva cure di una professionalità straordinaria e premure affettuose. Oltre che dal personale sanitario, essi sono assistiti anche da alcune missionarie dell’Immacolata e dai nostri seminaristi che vi passano il sabato e la domenica.

In quella casa regna la carità e la preghiera. Anche quella è missione. E bello vedere qualcuno spingere la carrozzella di un altro e poi scambiarsi un gesto di incoraggiamento e di gratitudine. Altro momento bello, al quale ho assistito, è stato vedere con quanto amore curavano il loro parente missionario la sorella e la nipote venute da lontano per passare qualche giorno insieme. La maggior parte parla solo con gli occhi… Come quando un seminarista ha chiesto un giorno ripetutamente al padre Carelli: «Padre, è bella la Birmania?». Alla terza volta, il missionario ha risposto con una lacrima.

Poi siamo passati a Sotto il Monte nella casa natale di Papa Giovanni, dove continuamente i fedeli vogliono rivedere il loro amato Pontefice. Guardandoli accarezzare la statua ormai lucida sul mento, gli orecchi, il naso, ti sembra di vedere il Papa sorridere come un nonno, felice di stare vicino ai nipotini.

E finalmente la visita a Villa Grugana, dove riposano i nostri missionari defunti. Lì, quando leggi i nomi, risenti la storia del Pime. Ritrovi i primi, poi i tuoi formatori, qualche tuo compagno…

Prima di partire ci ha salutati il custode del cimitero, padre Angelo Gianola, 92 anni, sorriso aperto, felice, lucente, già missionario in Brasile.

Una giornata vissuta in comunione. E dove c’è la comunione dei santi il cielo è più vicino. Anche il paradiso è vicino.