L’arcivescovo Delpini in Ucraina alla ricerca di una spiritualità dell’ospitalità

Il 16 aprile scorso, l’Arcivescovo di Milano si è recato in Ucraina con cento giovani preti ambrosiani e ora spiega il senso del pellegrinaggio.

«Forse continuiamo a essere ingenui e domandarci: Per costruire l’Europa dei popoli, per costruire un mondo di pace, contano più gli interessi o le speranze? È più efficace la diplomazia o la preghiera? Contano più le paure dei vecchi o i sogni dei giovani? Ce ne torniamo con molte domande e molti motivi per pregare. È stato un pellegrinaggio con incontri e dialoghi sorprendenti. Alla scoperta di un’Ucraina “terra di martiri”». Un viaggio dal tema: “La ricerca di una spiritualità dell’ospitalità” per prendere maggior consapevolezza che siamo Chiesa delle genti.

«Gli ucraini possono contribuire allo slancio missionario delle vostre chiese», ha suggerito l’arcivescovo greco-cattolico Sviatovlav per l’accoglienza dei nostri migranti. E Delpini riconosce che «gli immigrati hanno un patrimonio di esperienze e di domande che necessitano in noi un maggiore approfondimento. Vogliamo essere Chiesa che sa imparare dalle genti, che non riduce l’ospitalità al soccorso immediato, mettendo l’altro, invece, nella condizione di raccontare la sapienza che ci porta. La Chiesa, dunque, non come stazione di servizio dove si trova qualche genere di conforto, ma comunità di fratelli e di sorelle, chiamati ad essere pietre vive di un edificio santo».

 

L’Algeria si sentirà amata e unita

Il ministro degli Esteri Abdelkader Messahel in un’intervista rilasciata a Parigi all’emittente televisiva France 24, ha detto: «L’Algeria ha dato il suo benestare alla beatificazione in Algeria dei monaci di Tibhirine e degli altri religiosi uccisi durante gli anni Novanta e questa notizia è stata comunicata al Vaticano».

Ora possiamo prepararci all’evento. Il fatto che la beatificazione potrà avvenire in Algeria sarà un fatto molto importante non solo per la piccola Chiesa locale, ma anche per i tanti amici musulmani che non hanno dimenticato i religiosi che proprio in nome dell’amicizia con questo popolo hanno deciso di non abbandonarlo nell’ora più difficile, pagando con il prezzo della propria vita, questa scelta.

Sulla grave situazione degli anni Novanta,  il 2 gennaio 1994,  i vescovi avevano scritto alla Chiesa in Algeria: «Camminando, con il popolo algerino siamo presi dal vortice di una crisi la cui conclusione si fa attendere. Non possiamo sapere cosa ci riserva l’avvenire…In questi tempi di incertezza, continuate a fare coscienziosamente il vostro lavoro, sapendo, con i numerosi amici algerini, che ponete le basi più sicure per l’avvenire. Noi vogliamo anzitutto rendere grazie a Dio per questa serenità e tenacia in mezzo a difficoltà quotidiane talvolta angoscianti».

Il priore di Notre Dame de l’Atlas, padre Christian Marie de Chergé, aveva scritto tre anni prima della sua tragica morte, nel testamento spirituale: «Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, mi piacerebbe che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a quel Paese…».

All’annuncio del riconoscimento del martirio di questi 19 missionari da parte della Santa Sede, e quindi della loro prossima beatificazione, i vescovi hanno scritto: «La loro morte ha rivelato che le loro vite erano al servizio di tutti: i poveri, le donne in difficoltà, i disabili, i giovani, tutti musulmani… I più angosciati, al momento della loro tragica morte, furono i loro amici e vicini musulmani, che si vergognavano si usasse il nome dell’Islam per commettere tali atti…. Queste beatificazioni sono una luce per il nostro presente e per il futuro».

Alla beatificazione dei 19 religiosi, l’Algeria si sentirà amata e più unita. Ce lo assicura la lettera di una mamma algerina musulmana dopo l’uccisione dei sette monaci. «Dopo la tragedia e il “sacrificio” vissuto da voi e da noi, dopo le lacrime e il messaggio di vita, di onore e di tolleranza trasmesso a voi e a noi dai nostri fratelli monaci, ho deciso di leggere il testamento di Christian, ad alta voce e con profonda commozione, ai miei figli perché ho sentito che era destinato a tutti e a tutte. Volevo dire loro il messaggio di amore per Dio e per gli uomini… Nostro compito è quello di continuare il cammino di pace, di amore di Dio e dell’uomo nelle sue differenze. Nostro compito è innaffiare i semi affidatici dai nostri fratelli monaci affinché i fiori crescano un po’ ovunque, belli nella loro varietà di colori e profumi. La chiesa cristiana con la sua presenza tra noi continui a costruire con noi l’Algeria della libertà delle fedi e delle differenze, l’universale e l’umanità… Grazie alla chiesa di essere presente in mezzo a noi oggi… Grazie a voi monaci per il vostro grande cuore: continui a battere per noi, sempre presente, sempre tra noi…E ora riposino tutti in pace, a casa loro, in Algeria». (lettera firmata. 01.06.96)