Papa in Iraq

Il card. Sako scrive: «Una visita destinata a lasciare un segno nella nostra Chiesa e nel nostro Paese. Non è un viaggio turistico o di lusso. Il Papa porta un messaggio di conforto per tutti in un tempo di incertezza. Per i cristiani, la visita è “un’occasione di pellegrinaggio alle nostre radici, di conversione e di attaccamento alla nostra identità cristiana e irachena; un’occasione per riflettere e per trovare un piano di azione affinché la Chiesa diventi più entusiasta nel tornare alla radicalità evangelica, più vicina alla gente».

Il patriarca ricorda le sfide della Chiesa caldea irachena e delle altre Chiese sorelle in Iraq e nel Medio Oriente: «Pressioni politiche, economiche e sociali a causa dei conflitti, dell’estremismo, dell’emigrazione, delle conseguenze della pandemia del Coronavirus – realtà tutte che hanno confuso la visuale e complicato le relazioni e il lavoro». Da qui un appello a «essere responsabili, a capire l’importanza di rivedere la nostra riflessione spirituale, pastorale, ecumenica e pedagogica, lontani dai concetti errati e della ricerca del predominio e del prestigio».

Il messaggio termina con un invito ai «cristiani in Iraq e nel Medio Oriente a unirsi per testimoniare il Vangelo, poiché noi siamo essenzialmente una sola famiglia con fratelli diversi, chiamati a realizzare la nostra vocazione in questo Oriente tanto provato. Da questo punto di partenza, invito a trarre profitto dall’occasione della visita del Papa per mobilitare l’opinione pubblica per sostenere i cristiani dell’Oriente, affinché vi restino come segno della presenza dell’amore di Cristo, della fratellanza universale e della convivenza».

Accompagniamo Papa Francesco con la nostra preghiera.

La lampada della missione

Questa mattina nella parrocchia di San Marco di Yaounde, 25 persone occupano i primi posti a destra in chiesa. È la festa di Maria Immacolata. Dopo il rinnovo dei voti delle Missionarie dell’Immacolata, le 25 persone pronunciano una formula di consacrazione. Per due anni hanno partecipato a un corso di formazione missionaria. Ora prendono la decisione di dedicarsi a una vita missionaria, restando nella loro condizione di vita. Ho chiesto a Suor Rosetta: «Chi sono questi laici?». Mi ha riposto: «Sono persone che partecipano al nostro ideale carismatico, vivono la nostra spiritualità secondo uno stile laicale e condividono momenti specifici della nostra missione».

Seguo con attenzione e commosso e incomincio a sognare. Tra i frutti dei 50 anni di presenza in Camerun delle Missionarie dell’Immacolata, forse questo è tra i più importanti. Il laicato di Yaoundé diventa missionario. È un primo passo. Essi accenderanno anche i loro sacerdoti e le loro parrocchiedello spirito missionario. Forse si realizza una profezia.

Nel 1959, Simon Mpecke diventato Baba Simon, a cinquant’anni chiese al suo vescovo mons. Mongo di poter lasciare la parrocchia di New Bell di Douala per partire missionario tra i Kirdi nel Nord Camerun. È stato il nuovo passo della Chiesa del Camerun a essere missionaria. «Tu domandi sempre di andare nel Nord Camerun – dice finalmente mons. Mongo, vescovo di Douala -. Io non ti permetto di andarci, amico mio. Sono io che t’invio. Se laggiù ti domandano perché tu sei venuto, tu dirai che è mons. Mongo che ti ha inviato, perché io penso che il nostro cristianesimo in Camerun non sarà solido fino a quando non poggerà su due piedi: il Nord e il Sud. Per me è una missione che io comincio».

Dal mio primo arrivo in Camerun nel dicembre 1968, 62 anni fa, oggi ho vissuto un momento straordinario. Vedendo dei laici consacrarsi alla missione, sento che si tratta di una Chiesa e dei suoi laici che vivono con passione missionaria. Le Missionarie dell’Immacolata, al cinquantesimo anno della loro vita in Camerun, hanno acceso anche nei laici la loro lampada.

Tessier, il vescovo che si commuove

Il primo dicembre è morto a Lione il mons. Henri Teissier, vescovo emerito di Algeri.

Il messaggio dell’attuale vescovo di Algeri, mons. Paul Desfarges, e un mio scritto che ritrovo nelle cartoline del 2006.

«Cari fratelli e sorelle, il nostro caro padre Henri Teissier ha vissuto la sua Pasqua questa mattina alle 6. A seguito di un grave ictus, è stato portato all’unità di terapia intensiva dell’ospedale Edouard Herriot. Padre Christian Delorme, con le nipoti Isabelle e Caroline e suo nipote Jacques, hanno potuto vegliare su di lui tutta la notte, pregando al suo fianco. Siamo molto tristi ma ringraziamo anche per la sua ricca vita donata a Dio, alla Chiesa, all’Algeria. Alle 19, padre Delorme aveva unto per lui i malati e ha potuto recitare la preghiera dell’abbandono al suo capezzale. Immaginiamo il bellissimo incontro con frère Charles, il beato e futuro san Charles de Foucauld la cui festa oggi è in cielo. Un cenno del cielo alla nostra Chiesa in Algeria, che deve tanto a padre Teissier nella sua storia dalla guerra di liberazione, all’indipendenza del Paese, al passaggio degli anni bui, fino ad oggi. Era il pastore di un’intera Chiesa data al suo popolo algerino. Accompagniamo padre Henri nella sua Pasqua con le nostre preghiere. Siamo uniti alla sua famiglia, ai suoi tanti amici in Algeria, in Francia e nel mondo. Tornerò da voi, ma celebrerò la festa del Beato Fratello Carlo in Cattedrale. In grande comunione fraterna». (+ Padre Paul)

I miei primi giorni in Algeria (settembre 2006), con un visto, dono del Cielo, li vivo nella casa diocesana di Algeri accanto al vescovo Henri Tessier. Sono passati solo alcuni anni dal periodo più nero dell’Algeria. Solo dentro casa, con prudenza, mi sento tranquillo. Ma c’è lui… e mi sento accolto come un figlio.  Nei discorsi di questi primi giorni coi missionari e con la gente, frequente ricorre il nome di Tessier. Ha 78 anni. In Algeria dal 1950. Una superiora maggiore mi riferisce che nelle riunioni, anche di un certo livello, spesso l’ha visto piangere. Un’altra persona, parlando degli anni difficili, ha voluto precisare dicendo: «È lui il martire dell’Algeria!”. In quel periodo si calcola che siano morte circa 150.000 persone, di cui dei religiosi, delle religiose, un vescovo e dei semplici cristiani. Il vescovo ha vissuto il suo martirio di padre ad ogni uccisione, non solo dei cristiani ma anche dei musulmani.

Con tutti è attento, accogliente, si interessa come con dei figli. In Algeria è stimato, richiesto per dei consigli anche da parte delle autorità. Si scrive sui giornali di lui come di una persona tra le più importanti del paese.

Ho visitato due volte Tibhirine, monastero dei sette monaci uccisi. La prima volta ero assieme al vescovo Tessier, la sorella e la nipote di frère Paul, uno degli uccisi, e la giornalista Anna Pozzi che in quel tempo aiutava il vescovo a raccogliere e a trascrivere le testimonianze, in vista della beatificazione dei martiri dell’Algeria. Davanti alle tombe delle teste dei martiri, il corpo dei quali non è mai stato trovato, Tessier ci ha letto con varie interruzioni il testamento di Christian, un capolavoro di intensa comunione con l’Islam. Nel viaggio, di andata e di ritorno, vedendo la scorta della polizia, davanti e dietro la macchina, mi diceva ridendo: «Perché ci sei tu, c’è bisogno di una sicurezza maggiore». Scherzava spesso con me. Mi diede un giorno la pubblicità del film Mon ennemi intime, Il mio nemico intimo. Così mi chiamava fino a quando lo vidi l’ultima volta.

Ricordo commosso quando parlava dei 19 religiosi uccisi e del centinaio di imam, dei 150.000 algerini, anche loro uccisi. L’Algeria aveva un padre che l’amava e penso che si sentisse amata, anche se non poteva sempre dirlo. Si è portato in Paradiso tanti segreti, custoditi per non far soffrire. Mi raccontava tante cose… e mi ha formato ad amare gli algerini.

Cari amici, la mia commozione è profonda. Lo sento vicino, preghiamo con lui per l’Algeria e i suoi abitanti. È morto il primo dicembre, anniversario della morte del prossimo santo Charles de Foucauld. Colgo l’occasione per segnalarvi il mio ultimo lavoro: Charles de Foucauld. Il mio santo in cammino. Lo trovate nelle librerie.