Il 16 aprile 2019, Marie-France Grangaud che ha vissuto 20 anni in Algeria con giovani diplomati, scrive che finalmente vede un’Algeria nuova. Era desolata per l’indifferenza apparente dei giovani in politica: non votavano, non erano iscritti nelle liste elettorali, manifestavano disinteresse e sfiducia di ciò che avveniva nel Paese. Considerava questo come segno di crescita dell’individualismo. Ciascuno pensava per sé, guidato dall’idea di cavarsela da solo e di arricchirsi a danno degli altri. Anche il prendere la via del mare, col rischio di perdere la vita, era una forma di individualismo. Le vecchie generazioni guardavano i giovani con occhio critico e sfiduciato. Ecco invece che questi giovani, ragazzi e ragazze, in modo inatteso, oggi entrano in azione: partecipano a marce comuni, a discussioni tra di loro e con gli anziani, sulla democrazia e la dignità nazionale. Senza far parte di questi eventi, Marie-France desidera rifletterci sopra perché li trova carichi di valori nella prospettiva del vivere insieme.
«Anzitutto, la gente si parla e si ascolta. Discussioni dappertutto. Nel bus, due persone, una donna anziana e un giovane che non si conoscevano, ragionano dichiaratamente su democrazia, libertà, dignità, cose su cui non sono d’accordo. Ciò che mi ha colpito è che al momento in cui l’anziana stava scendendo, tutte e due hanno riso, contente di aversi parlato e si sono calorosamente salutate.
Secondo: fierezza e rispetto. Gli slogan dei manifestanti sono simili. “Oggi, questo paese, non ho più l’idea di lasciarlo” gridava un giovane. Fieri di essere lì, numerosi, insieme, uomini e donne, giovani e vecchi, con il velo o no, senza nessun atto di violenza o di disprezzo, nel rispetto delle forze dell’ordine (rispetto mutuo), la bandiera algerina sventolante ovunque.
Terzo: humor e allegria. Slogan omogenei, ma pieni di originalità e inventiva, semplicità di canti, cartelli in arabo, francese, inglese, tutti segni di creatività dei giovani algerini. Humor che permette comunanza e facilità di sentirsi semplici, di ridere e di darsi alla fantasia di immagini ed espressioni.
Dopo l’8 marzo, giorno delle dimissioni del presidente, la situazione continua a mostrare la maturità politica dei manifestanti. Un fatto che la dice lunga sull’attenzione e la prudenza dei giovani: correva voce che in occasione del match di due squadre algerine, match sempre molto “caldo” e soggetto a grossi scontri, alcuni facinorosi potessero dar pretesto alle autorità di proibire la manifestazione prevista. Per evitare il rischio, i tifosi hanno dato l’ordine sui social media di disertare lo stadio e questo è stata fatto. È un evento enorme che dei giovani rinuncino a qualcosa di così importante.
Questi giovani sono il frutto dell’educazione dei loro genitori che hanno trasmesso valori di giustizia, uguaglianza, desiderio di pace e qualità di ospitalità. Questi giovani scoprono ancora la gioia ed esprimono adesione a tutto ciò che è stato insegnato loro nell’infanzia. Ed ecco che i loro genitori, anche se inquieti, avendo vissuto il “decennio nera” e forse la guerra d’indipendenza, si mostrano ora fieri dei loro figli che non esitano a “marciare” in tutti sensi, proprio e figurato, dietro a loro. E non sono persone di ambienti benestanti. Famiglie di quartieri popolari, donne spesso abituate a restare solo tra di loro, sono uscite e hanno “marciato” per sostenere i loro figli. Speranze quindi comuni, speranze di tutto un popolo. In realtà i giovani esprimono le attese di tutta l’umanità.
Oggi l’Algeria prende colore. Lo si vede sui muri, sui passaggi stretti delle scale della città di Algeri. Ragazze e ragazzi disegnano sui muri i loro desideri nei testi in arabo e in francese. Mentre ammiravo queste opere, una coppia con un bambino, vestito secondo la tradizione, mi dice: “È bello, mi piace”. E chiedendo loro se sono d’accordo con gli scrittori, rispondono: “Siamo quarantenni. È per il bambino che agiscono. Costruiscono il suo avvenire”».