Cammino di fraternità

Per celebrare il 50° anniversario dell’indipendenza dell’Algeria, Paul Desfarges, vescovo di Constantine, scrive: «Nel 1962, la Chiesa ha ridetto sì alla comunione col suo popolo. È rimasta fedele alla sua storia che risale ai primi secoli della nostra era, fedele alla fede di San Cipriano, di Sant’Agostino, fedele alla fede dei martiri dei primi secoli, fedele al seme cristiano in terra algerina.
Le parole profetiche del card. Duval erano state preparate dalla scelta di vita dei cristiani e delle cristiane di essere “con gli algerini” loro fratelli.
Ricordiamo semplicemente le congregazioni nate in terra algerina, i Padri Bianchi e le Suore Bianche, i Piccoli Fratelli e le Piccole Sorelle di Gesù. Il beato fratel Charles de Foucault volle diventare su questa terra un fratello universale. La piccola sorella Magdeleine fondò la Fraternità delle Piccole Sorelle di Gesù, in comunione coi suoi vicini musulmani di Touggourt che sono in certo modo confondatori della Fraternità. Bisognerebbe citare ancora altre congregazioni e l’impegno di vita di preti, suore, laici presso gli Algerini, qui in Algeria, ma anche presso gli immigrati in Francia o in Europa. Quanti legami umani profondi si sono intrecciati!Celebrare questi cinquant’anni di indipendenza è celebrare la storia della fraternità. È scegliere ancora la Fraternità, nell’oggi dell’Algeria coi suoi dubbi, incertezze e speranze.
Su questo cammino d’impegno per la fraternità, nella Storia Santa del nostro popolo, tanti musulmani avrebbero un ottimo posto: l’Emiro Abdelkader e la guardia campestre che ha rischiato e perso la vita per salvare quella del fratello Christian de Chergé durante la guerra di liberazione.
La storia spirituale del nostro paese non è ancora scritta. Grazie all’amicizia, la nostra Chiesa poté attraversare la prova del decennio nero. I nostri martiri non sono i soli a far parte della sua storia spirituale. Alcuni Imams non hanno voluto sostenere la violenza al prezzo della loro vita. I nomi di donne coraggiose, di giornalisti, d’intellettuali, e di tanti senza nome, sono degni di essere scritti nel nostro martirologio. Sono figure di questo Islam del cuore…
Festeggiamo, quest’anno, cinquant’anni di gioie e di prove sul cammino della fraternità».

Islam positivo

Questa volta, tornando a Touggourt da Algeri, ho riempito le dieci ore del viaggio in bus, leggendo buona parte del libro L’Islam Positif  (“L’islam positivo”) dell’algerina Leila Babès, che tratta  della religione dei giovani  musulmani di Francia. L’islam è la seconda religione in Francia e i giovani si pongono numerose domande. Il libro offre alcune chiavi di lettura per comprendere la dinamica di una religione in piena mutazione. Ho trovato il libro interessante e mi ha incuriosito il ruolo di alcuni preti francesi in dialogo con parecchi giovani magrebini.
Già famoso è C. Delorme, prete francese che ha scritto assieme al marocchino R. Benzine, il libro Nous avons tant de choses à nous dire (“Abbiamo molte cose da dirci”). Egli è chiamato marabutto dai suoi amici musulmani. Nel dialogo, molti giovani trovano un modello di credente e di guida che li aiuta ad approfondire la loro religione e a ritornare o a diventare praticanti.
È quello che dissero due algerini alla morte del vescovo Pierre Claverie, ucciso in Algeria, il primo agosto 1996, insieme al suo autista musulmano: «Pierre Claverie mi ha spinto su questa strada. La mia visione dell’islam è diventata più critica, più antropologica. La mia fede si è sviluppata in favore della riconciliazione con l’altro», ha scritto Abderrahman.
Oum el Kheir dice: «Pierre Claverie mi ha insegnato ad amare l’islam, mi ha insegnato ad essere musulmana, amica dei cristiani d’Algeria. Ho imparato che l’amicizia è anzitutto fede in Dio, amore dell’altro, solidarietà umana”.
I preti e i religiosi cristiani sono normalmente rispettati e protetti nell’islam. Alla morte dei sette monaci di Tibhirine, in Algeria, ci fu una grande costernazione anche in Francia perché l’immagine dell’uomo di religione, come quella dell’abbé Pierre, che ha dedicato la sua vita al servizio dell’umanità, è ammirata e rispettata. (pag. 94)
La domanda di alcuni giovani musulmani nei rapporti coi cristiani non è solamente di mediazione e di riconoscimento sociale, ma anche una domanda di senso. Il prete cattolico (i musulmani preferiscono dire “prete cristiano”) è una specie di grande fratello della religione.
Il cristianesimo è per molti giovani musulmani una religione che riconcilia con l’islam.