Gesù a Nazareth continuava a vivere la realtà di uomo che si inseriva nella realtà umana. Gesù voleva caricarsi di tutto ciò che è l’uomo. Vivendo anche la sua divinità, unito al Padre e allo Spirito, santificava tutta la sua umanità e tutta l’umanità che accostava col suo esempio e il suo amore. Non c’è una vita di Nazareth da considerarsi un primo tempo staccato dal secondo tempo della vita pubblica.
L’umiltà del Verbo fatto carne e la libertà della povertà radicale vissute per un incontro illuminante e salvifico con l’uomo sono fatte proprie da Gesù lungo tutta la sua vita fino alla croce e alla risurrezione.
Fratel Charles vedeva Gesù presente nel tabernacolo realisticamente, come fosse nella casa di Nazareth o a Betania. Per lui, stare ai suoi piedi, amandolo, era la sola cosa necessaria. Pur di vivere con i tuareg, unico cristiano e unico prete, rimase anche senza celebrare. E per più di sette anni rimase senza conservare l’Eucarestia e tanto meno esporla. Capì che il Mistero del Corpo dato è indicibilmente più grande e che era chiamato lui stesso a «offrire il suo corpo in “sacrificio vivente”, come chicco di grano nella terra».
Pensa di essere a Nazareth. La tua casa, quella di Gesù. Non lo vedi, ma lo senti presente. Prega con te, ti è vicino in tutto quello che fai. Puoi anche dedicare un piccolo angolo con un’immagine, là dove riesci e sai trovare una sosta e dove nessuno ti disturba. Lo puoi sentire vivo, ti ascolta, ti parla. Una fiammella può rappresentarti per fargli compagnia o rappresenta lui per fare compagnia a te. La tua vita è comunione con lui per l’umanità che incontri. La tua vita con Lui è dono per la vita piena del mondo, per la salvezza dell’umanità.
Archivio mensile:Ottobre 2012
Bussa alla mia porta
Come ogni giorno alle sei e trenta, sono in strada per andare a celebrare la messa con le Piccole Sorelle di Touggourt. La strada è completamente deserta. Da lontano sento delle grida e dei colpi contro porte e saracinesche. Intravedo un uomo che si dimena, minaccia e insulta. Passo dall’altra parte del marciapiede, ma l’uomo appena mi vede viene verso di me. Non è la prima volta. Cerco il mio sorriso migliore, gli vado incontro e stendo la mano. L’uomo si calma, mi da la mano, accenna un sorriso e pone il suo volto sulla mia spalla, piangendo. È comune salutarsi tra amici, ponendo il volto sulla spalla. Ma quel mattino, per strada, quel volto sulla spalla, quelle lacrime, mi dicono di più… Dopo un po’ lo rivedo seduto per terra, calmo.
Vivendo qui a Touggourt accosto tante persone, soprattutto studenti. Spesso anche i loro genitori. A volte anche persone con problemi, oltre a chi si trascina verso nord, sperando di passare il mare. È la mia grande famiglia. Non accadono grandi cose. Ci si vuol bene.
Bussa alla mia porta
Tu che vieni a disturbarmi
Bussa alla mia porta
Tu vieni a risuscitarmi
Non so ne il giorno ne l’ora
Ma so che sei tu Signore
Bussa alla mia porta
Tutto il vento del tuo spirito
Bussa alla mia porta
Il grido di tutti i miei fratelli
Bussa alla mia porta
Il grido dei tuoi affamati
Bussa alla mia porta
La catena dei prigionieri
Bussa alla mia porta
Tu, la miseria del mondo
Bussa alla mia porta
Il Dio di tutta la mia gioia.
(Inno del breviario francese)
Una Chiesa che coinvolge e si lascia coinvolgere
Cari amici, scusatemi se ripeto, riscrivo, talvolta dimentico quanto già vi ho scritto. È per coinvolgervi in un rapporto di fraternità con tutti. Nuova Evangelizzazione è coinvolgere nella stessa passione… Il primo a coinvolgere fu Gesù. I discepoli presero da lui la passione di vivere la vita come comunione.
Quando piccola sorella Jeanne è arrivata a Touggourt a celebrare i settant’anni della fondazione della fraternità nel dicembre 2009, Tahart è andato a riceverla all’aeroporto. Gioia inaspettata, la stessa amicizia, la stessa fedeltà. Alla preghiera del mattino Jeanne dice: «Preghiamo per quelli che hanno fondato con noi la fraternità». Gioia di essere insieme, tra persone di religione diversa. Gioia del Regno. Averla qui a Touggourt è rivivere i tempi degli inizi. Tahart è uno dei due fratelli che hanno accolto Magdeleine. Ha 88 anni. Li porta bene. Durante il pranzo mi dice: «L’amicizia che abbiamo condiviso è un’amicizia divina. È Dio che ha voluto tutto quello che abbiamo vissuto insieme”. Magdeleine chiedeva consiglio agli amici nomadi quando preparava i testi di fondazione della Congregazione. Li ascoltava e li trovava di una grande saggezza e profondità. Una fraternità fondata assieme a dei musulmani. Questa comunione del cuore dura da oltre settant’anni e lo ripetono: «Siamo cresciuti qui. Questa è casa nostra».
Una mamma algerina musulmana dopo l’uccisione dei sette monaci scrive: «Dopo la tragedia e il “sacrificio” vissuto da voi e da noi, dopo le lacrime e il messaggio di vita, di onore e di tolleranza trasmesso a voi e a noi dai nostri fratelli monaci, ho deciso di leggere il testamento di Christian, ad alta voce e con profonda commozione, ai miei figli perché ho sentito che era destinato a tutti e a tutte. Nostro compito è quello di continuare il cammino di pace, di amore di Dio e dell’uomo nelle sue differenze. Nostro compito è innaffiare i semi affidatici dai nostri fratelli monaci affinché i fiori crescano un po’ ovunque, belli nella loro varietà di colori e profumi».
È quello che dissero due algerini alla morte del vescovo Claverie, ucciso in Algeria assieme al suo autista: «Pierre Claverie mi ha spinto su questa strada. La mia visione dell’islam è diventata più critica, più antropologica. La mia fede si è sviluppata in favore della riconciliazione con l’altro». (Abderrahman)
«P. Claverie mi ha insegnato ad amare l’islam, mi ha insegnato a essere musulmana, amica dei cristiani d’Algeria. Ho imparato che l’amicizia è anzitutto fede in Dio, amore dell’altro, solidarietà umana» (Oum el Kheir).
Questo coinvolgere è reciproco. La comunione è trasmettersi stimoli, incoraggiamenti, esempi, valori. Quando vedo certe persone sacrificarsi per aiutare chi soffre, ho l’impressione di vedere un amore più grande del mio. E questo avviene in persone di qualsiasi cultura e religione.
Ho chiesto a qualche commerciante: «Perché sei cosi generoso non solo con me, ma anche con la tua gente, soprattutto con i poveri?». Mi ha risposto: «Quando faccio del bene, ricevo ancora di più… Io penso soprattutto alla persona, non solo ai soldi».
Anche Gesù ha coinvolto e si è lasciato coinvolgere. Ha coinvolto il buon “ladrone” che vedendo soffrire Gesù, ha preso le sue difese. E Gesù si è lasciato coinvolgere dalla sensibilità di sua madre quando gli ha chiesto di aiutare gli sposi a Cana. Poi anche da altre persone, fino a dire: «Non ho mai trovato una fede così grande».
Dio non si è stancato di amare l’umanità
Ho goduto un bel momento alla tivù che arriva anche nel deserto del Sahara. Un momento ecumenico. Ecco le parole di introduzione del Card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura. «Santità, nel giorno dedicato dalla liturgia a San Benedetto, quasi come per un omaggio augurale a Lei rivolto, la West-Eastern Divan Orchestra – col suo appassionato fondatore e direttore M° Daniel Barenboim – si presenta davanti a Vostra Santità e davanti al Presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano che tanto ha desiderato questo evento così suggestivo.
Questi giovani orchestrali sono il simbolo vivente delle tre grandi culture religiose della Terrasanta, l’ebraica, la cristiana e la musulmana. A unirli non c’è solo la fede nell’unico Dio e la comune radice abramitica, ma anche la musica, che è la vera lingua universale dell’umanità. Per creare l’atmosfera spirituale profonda di questo evento, è naturale, allora, far risuonare la voce di tre alti testimoni delle fedi qui rappresentate.
La prima è quella dell’islam, col celebre poeta mistico musulmano Jalal ed-Dîn Rûmî, contemporaneo di Dante. Egli nel suono dolce del flauto intuiva la nostalgia del canneto da cui era stato strappato, parabola del nostro legame originario con Dio: “Fuoco è questo grido di flauto – scriveva – e non vento, fuoco dell’Amato divino che ha invaso ogni particella del mio essere, per cui di me non rimane che il nome, tutto il resto è Lui!”.
La seconda voce è quella dell’ebraismo con Elie Wiesel, Premio Nobel per la Pace 1986. Egli rievocava la scala della visione di Giacobbe sulla quale salivano e scendevano gli angeli (Genesi 28) e concludeva: “Ebbene, quando gli angeli risalirono in cielo, dimenticarono di ritirarla. Da allora essa è rimasta tra noi ed è la scala musicale che ci fa ascendere dalla terra al cielo”.
L’ultima voce, che facciamo idealmente risuonare questa sera, è quella del cristianesimo con lo scrittore del VI sec. Aurelio Cassiodoro. Egli nelle sue Institutiones ammoniva: “Se continueremo a commettere ingiustizia, Dio ci lascerà senza la musica”.
Santità, la musica che tra poco risuonerà ci ricorderà che – nonostante tutto – c’è ancora giustizia, amore e pace nel mondo e ci ripeterà che Dio, se ci lascia ancora la musica, è segno che non si è stancato di amare l’umanità».