Missionario “in modo diverso”. E come sempre!

Il mio vescovo, Claude Rault, di Ghardaia, mi scrive: «Padre  Ferruccio, tuo superiore generale, mi comunica la tua destinazione in Italia dove continuerai la tua vita missionaria, ma “in modo diverso”!».

Nel giorno della Festa della Regina degli Apostoli, in attesa della Pentecoste, padre Ferruccio comunica all’Istituto le destinazioni. Destinato anch’io… in Italia! Missionario “in modo diverso” ?

Rendo subito partecipi anche voi, come ho sempre fatto, perché preghiamo insieme per la continuità della nostra presenza di vita e di comunione con la gente di Touggourt. I superiori l’hanno bene in programma. E poi perché, rientrando in Italia, possa condividere ancora con voi la mia missionarietà.

Dopo tanti anni vissuti all’estero, vorrei incontrare alcune categorie di persone, giovani, fedeli adulti, sacerdoti, per chiedere consigli su come vivere in Italia il mio sacerdozio che sento ancora giovane  e  missionario. Lo chiedo già anche a voi, se volete aiutarmi, perché fa parte anche della vostra identità cristiana. Come mantenere accesa la lampada della testimonianza e dell’annuncio di Cristo nei cristiani perché siano missionari e come annunciare Cristo ai non cristiani italiani e non italiani?

Magnificat!

 

Un sogno di don Franco Marton: équipe fidei donum

Felicitandosi con me per la festa dei miei ottant’anni, don Franco volle ricordare che ho vissuto la mia vita di missionario del Pime, restando sempre anche prete di Treviso. Vedeva nella mia vita l’importanza di una comunione e di una fedeltà alla Chiesa di origine, di cui restavo segno vivo anche della sua missionarietà. Questo lo spinse a sognare. Leggiamolo:  «Ad Ambam, in Camerun, per qualche anno sono vissuti insieme alcuni fidei donum di Treviso, alcuni “padri missionari” del Pime e anche qualche laica lombarda. Il ricordo di quell’esperienza, forse, oggi è un po’ idealizzato, ma i valori oggettivi che lì sono stati vissuti e che da lì sono passati alla diocesi di Treviso e al Pime restano

Ripensando al tutto si potrebbe anche guardare al futuro con coraggio. Nulla impedisce che un vescovo, a nome della sua chiesa locale, invii ad gentes una équipe formata da fidei donum della sua diocesi, da religiosi o religiose missionari di qualche Istituto, battezzati nella sua Chiesa locale, con laici o laiche della stessa Chiesa. In qualche rara diocesi si sta già facendo. Le obiezioni sono tutte di ordine pratico: di quale tipo concreto di missionario religioso o di fidei donum o di laico si dovrà disporre? Di quale tipo di Istituto? Con quale statuto economico ci si dovrebbe muovere… E così via. Ma da un punto di vista teologico il progetto starebbe perfettamente in piedi, come dal punto di vista del Concilio. Avrebbe, inoltre, una forza spirituale molto grande, perché tutti i membri dell’équipe si sentirebbero spinti ad aiutarsi nell’approfondire la propria fede, attingendo tutti a quello Spirito che resta il vero protagonista della missione. Non dovrebbe essere vista come una ‘soluzione pastorale’, subita da una chiesa locale ormai ridotta nei numeri delle vocazioni missionarie, ma come una scelta consapevole e motivata.

Stiamo sognando o stiamo guardando al futuro con lo sguardo di un missionario che continuiamo a chiamar indifferentemente don Silvano o padre Silvano, intuendo che dietro a questa benefica “confusione” potrebbe nascondersi qualcosa di buono per il futuro della missione della diocesi? Se ci fosse il coraggio di rischiare…».