Lo straniero

Sempre di più il discorso sullo straniero occupa le nostre conversazioni e le nostre preoccupazioni e non è sempre facile o rispettoso o pacifico. Mi sono venuti in mente alcuni proverbi che avevo trovato nella cultura dei tupuri del Camerun e del Ciad, presso i quali ho vissuto tanti anni.

Mi hanno voluto tanto bene e continuo ad amarli, soprattutto quando li vedo qui, stranieri come me.

«Se trovi gente che danza o che cammina la testa in giù, danza e cammina come loro».

Quando sei straniero devi rispettare le leggi che trovi e comportarti come chi ti accoglie senza opporti.

«La terra straniera si affonda con te durante la stagione secca».

In realtà, durante la stagione secca non c’è pericolo di affondare. Ma se sei straniero puoi trovare delle cose che non conosci e che ti rendono difficile la vita. Fa attenzione e usa tanto rispetto. Non essere come un bambino che non sa. Si può anche accusarti di cose che non hai fatto.

«Il verme parassita approfitta dello straniero».

Una persona, ospite, mangia meglio quando uno straniero arriva, perché il padrone di casa normalmente uccide un animale per onorare il nuovo arrivato.

«Lo straniero non beve l’acqua del sacrificio».

Lo straniero non partecipa delle cose più importanti della famiglia in cui è ospite. È certamente ben accolto, ma la familiarità e la condivisione arrivano fino ad un certo punto, oltre il quale lo straniero non va.

«Lo straniero beve l’acqua sotto il naso dell’ippopotamo».

Con questo simpatico proverbio si vuole dire cosa succede a uno straniero che giungendo in una terra a lui sconosciuta non vede dove stanno i pericoli e le insidie. Infatti, bere nei pressi del naso dell’ippopotamo è pericolosissimo, perché non lo si vede mentre resta sott’acqua. È un invito a chiedere consiglio a chi è del posto, anche sulle cose più semplici, per non trovarsi in difficoltà.

«L’ospite (straniero) non supera mai il padrone di casa».

Che sia ben chiaro:chi è del posto resta comunque colui che decide!

«Lo straniero è come l’acqua dell’inondazione: passerà presto!».

Non preoccuparti. Lo straniero se ne andrà. Oppure si integra.

Ma questo proverbio la dice lunga sulle innumerevoli presenze straniere che ci sono state in Africa: progetti di tutti i tipi, grandi inizi, grandi promesse, grande spiegamento di mezzi… Tutto puntualmente già concluso. Questo, quando non si tiene conto della cultura africana.

Tutti dobbiamo vigilare e fare tesoro di questa semplice sapienza che riguarda lo straniero. 

E non dimenticare mai quanto preghiamo nel salmo 146, 9: «Il signore protegge lo straniero!».

 

Il grido delle pietre

Varie volte ho incontrato ad Algeri Jean-François Debargue durante le pause delle sue presenze tra i saharawi, che sono da trenta cinque anni in esilio nel deserto algerino. Ha deciso di essere la loro voce con un libro che mi ha dato e che ho appena letto durante le dieci ore del viaggio che mi ha ricondotto a Touggourt. Ecco un suo grido:

 

«Per averle viste e versate,

chi potrà impedirmi di pensare

che le lacrime degli uomini

hanno rese salate le acque dei pozzi?

Per averle sentite… gridate,

chi potrà vietarmi di immaginare

che le grida degli esiliati

sono nel canto del vento?

Dopo essere stati filtrati e assottigliati,

chi potrà smentire

che le sabbie delle dune e la polvere delle piste

siano le vite setacciate dei nomadi erranti?».

 

«Chi sono? Per i marocchini, il saharawi è un marocchino che si ignora. Per i francesi, il saharawi è qualcuno che potrebbe aver un rapporto col Sahara? Per gli spagnoli, il saharawi permette di avere una buona coscienza in cambio di una “indennità umanitaria”.

Per il Programma alimentare mondiale un saharawi è ogni mese: 8 kg di farina, 1 kg di zucchero, 1 litro d’olio, 1 kg di cipolle, 1 kg di patate, 1 kg di proteine di cereali, 2 kg di miglio, 2 uova, 1,5 kg di riso, 500 gr di carote, 500 gr di mele e a volte ogni tre mesi: 1 o 2 kg di lenticchie, 500 gr di datteri, 500 gr di pasta.

Per le statistiche un saharawi è da 35 anni un quarto di popolo nei campi dei rifugiati, un quarto nei territori occupati (dal Marocco), un quarto nei territori liberati e un quarto seminato in diaspora.

Per Dio, un saharawi è un seme caduto e dimenticato, del deserto, in attesa e nella promessa di germinare».

Ormai i saharawi non hanno più voce, non hanno più forza di gridare. Questo “Grido delle pietre” (il titolo del libro), l’amico Jean-François me lo ha affidato anche per voi.

Lettera a un amico musulmano

Mio fratello musulmano. L’altro giorno mi hai chiesto perché non mi facevo musulmano. Sorpreso, non ti ho risposto subito. Poi mi son detto e ti dico: “Perché tu non ti converti al cristianesimo?”

In realtà queste domande non ci fanno avanzare nelle nostre relazioni. Il più importante è di credere che Dio è con ciascuno di noi. Tu sei mio fratello. Non sono diverso da te. Solamente, io credo in Dio tramite Gesù. Tu, tramite il Corano. Noi viviamo insieme, crediamo nell’unico Dio. Dobbiamo rispettarci e conoscerci di più e creare un clima di tolleranza e di fiducia. Per noi cristiani, il primo comandamento è di amare Dio più di tutto e di amare il prossimo come se stessi. E per voi musulmani, qual è la prima esigenza? Non aver paura di avvicinarti a me. Frequentarmi non è un peccato, anche se la società insiste a farti pensare che l’Islam à l’unica via di accesso al Paradiso.

Ricordati che un giorno mi hai chiesto di bruciare una candela secondo le tue intenzioni. L’ho fatto con la mia convinzione e l’ho presentata a Gesù e ho chiesto a Maria che tu sia esaudito. Il mio desiderio più vivo è che possiamo trovarci in uno scambio che ci arricchisca della fede dell’altro.  Questo scambio ci porterebbe a una migliore conoscenza di Dio e amplierebbe la nostra preghiera. Ti abbraccio, fratello.

(Dal bollettino diocesano di Costantine)

Charles de Foucauld parla e prega ancora

In una stanza di Beni Abbes (Algeria) che conserva ancora la sua valigia-cappella, uno dei tabernacoli da lui fatti, la grata confessionale inserita in una porta, il dizionario Tuareg da lui composto e i disegni che faceva nei suoi viaggi, si possono vedere foto e scritte che riportano il suo cammino verso Tamanrasset, dove fu ucciso nel 1916. Vi invito a leggere:

L’islam ha prodotto in me un grande cambiamento. La vista di questa fede di queste anime che vivono nella continua presenza di Dio mi ha fatto intravedere qualche cosa di più grande, di più vero che le occupazioni mondane.

Voglio abituare tutti gli abitanti cristiani, musulmani, ebrei, idolatri a guardarmi come un fratello universale. Cominciano a chiamare la casa “la fraternità” (la Khaua in arabo) e questo mi è dolce.

Bisogna passare per il deserto, e restarvi, per ricevere la grazia di Dio. E’ là che ci si svuota che si caccia da se tutto ciò che non è Dio.

Tutti gli uomini sono dei figli di Dio. E dunque impossibile voler amare Dio senza amare gli uomini. Più si ama Dio e più si ama gli uomini. L’amore di Dio è tutta la mia vita, sarà tutta la mia vita, lo spero.

Ecco ciò che sono venuto a fare: lavorare per stabilire la fraternità sulla terra. Fare che regni questo amore, questa fraternità che il cuore di Gesù vi ha portato dal cielo.

Faccio fatica a staccare questa vista meravigliosa di cui la bellezza e l’impressione di infinito avvicinano tanto al creatore. Nello stesso tempo la sua solitudine e il suo aspetto selvaggio mostrano quanto si è soli con lui.

Dalla stanza si passa alla cappella da lui voluta. Questa unità tra vita e Eucaristia ci fa capire De Foucauld. Scrive il teologo Pierangelo Sequeri: “Quello di De Foucauld appare un mondo sin troppo affollato di relazioni: e fitto di incessante conversazione con il suo “popolo adottivo”.

Impressionante è piuttosto, se si vuole, il fatto che questa continua relazione e conversazione sia perfettamente sovrapposta con una totale relazione/conversazione- apparentemente altrettanto fitta e ininterrotta- con il suo Signore. Il suo Signore è lì perché lui ce l’ha portato. E Gesù-fratello si concede a questa abitazione: cosa della quale de Foucauld non finisce di stupirsi e di commuoversi.

(…) Il mistero della viva presenza del Signore trae la sua inconfondibile evidenza di prossimità semplicemente dal fatto che è povero, semplice, ‘piccolo’, ‘nascosto’, e ridotto all’essenziale tutto il resto”. (Pierangelo Sequeri Charles de Foucauld , Il Vangelo viene da Nazareth, VeP)