Padre Antonio Bonolo

Nato il 30/09/1911 a Santa Cristina di Quinto di Treviso, iniziò la formazione nell’Istituto nel 1923 e fu ammesso al Giuramento nel 1933. Fu ordinato Presbitero e partì per il Bengala (Dinajpur) nel 1934. Moriva 11/09/1991 a Dinajpur (Bangladesh) e riposa nel cimitero di Dinajpur (Bangladesh).

Le ferrovie del nord Bengala e le Vie del Signore: 1887 Saidpur

Scrive padre Luigi Pinos. La diocesi di Dinajpur in Bangladesh corrisponde all’ area comunemente chiamata Nord-Bengala e comprende i distretti di Dinajpur, Rangpur, Bogra, Rajshahi e Pabna.

La presenza della Chiesa cattolica risale a circa cento anni fa. Con la costruzione della ferrovia Calcutta – Saliguri, completata nel 1883, fu stabilito un alloggio per il Cappellano a Saidpur ed una bella chiesa fu inaugurata nel 1893, la più vecchia chiesa nel Nord Bengala. La prima Messa di cui abbiamo traccia è stata celebrata il 21-11-1887 in occasione di un matrimonio.

Il primo Cappellano (precedentemente era lo stesso vescovo di Krishnagar, F. Pozzi, PIME a prendersi cura della cappella) fu Padre F. Rocca, PIME che era solito venire in visita dalla sua residenza di Pakuria (Kustia) e soltanto nel 1906 ebbe la possibilità di stabilirsi permanentemente nel nuovo rettorato di Saidpur. Alla fine dello stesso anno fu affiancato da Padre O. Pedrotti, PIME che spese a Saidpur ben 45 anni della sua vita missionaria e non tornò mai in Italia. Con la presenza di Padre Pedrotti si raggiunse il numero di 800 cristiani, dispersi in dieci stazioni ferroviarie, da Lalmonirhat a Amnura, da Paksey a Siliguri.

Saidpur fu considerata come una Parrocchia a tutti gli effetti, anche se la Chiesa ed il rettorato erano costruiti sul territorio appartenente alle Ferrovie e la congregazione era essenzialmente costituita da Inglesi di passaggio o da Anglo-Indiani.

Dopo l’Indipendenza del paese, nel 1947, Saidpur vide un lungo periodo di declino. Quasi tutti i fedeli erano andati via, alcuni in Inghilterra, altri in India ed inoltre Padre Pedrotti morì nel 1951. Senza considerare i brevi periodi dei padri Castelli, Bigoni, Cerea, Sozzi (che restò per 10 anni), e Pesce il rettorato restò a lungo senza un pastore.Il gregge sopravvisse con circa cento Bengalesi e le sorelle di Maria Bambina, che aprirono un convento a Saidpur appena qualche mese dopo la morte di Padre Pedrotti.

Il 1980 può essere considerato come quello della rinascita di Saidpur: Padre A. Bonolo, PIME, era pronto per ragioni di età a ritirarsi definitivamente in Italia, ma cambiò idea e decise di fare un tentativo missionario nell’ ormai semiabbandonata Saidpur. Arrivò in tempo per ricevere il primo gruppo di convertiti (i primi in 90 anni!!) provenienti dai dintorni della città. Egli ha inoltre battezzato 109 Khotryos e molti altri si stanno avvicinando al battesimo. Ma nel 1983, anno di pubblicazione di questo studio, Padre Bonolo è dovuto tornare in Italia per cure e il sottoscritto, Luigi Pinos, ha preso il suo posto.

In questo piccolo lavoro potremo vedere quanto frequentemente le vie del Signore hanno attraversato le ferrovie del Nord Bengala o addirittura hanno seguito i suoi binari.

 

Padre Giuseppe Venzo

Nato nel 1935 a Castelnuovo Valsugana (Trento), iniziò la formazione nell’Istituto nel 1956. Fu ammesso al Giuramento nel 1959 e ordinato Presbitero nel 1960. Servì l’Istituto in Italia dal 1960 al 1965. Partì per il Giappone nel 1965, con una breve parentesi in Italia nel 1974-1975. Passò al Brasile Sud nel 1993. Moriva il 15.04.2014 a Ibiporã (Brasile).  È sepolto nel cimitero di Ibiporã (Brasile).

Umiltà paziente

Ogni volta che ripensavo a P. Venzo, dopo la sua partenza per il Brasile, mi veniva in mente il suo paese natio di Castelnuovo Valsugana, anche se io non ci sono mai stato, e mi sembrava di vedere P. Giuseppe in mezzo alla sua gente, circondato dalla stima e dall’affetto di tutti: perché era un uomo semplice e amabile, di natura gioviale, al quale potevi andare sempre. Era il contrario di ciò che in giapponese è descritto dall’espressione “shiki-i ga takai” (di difficile accesso).  Questo dico perché forse più che in altri paesi, in Giappone siamo portati invece a notare e giudicare le differenze come difetti, secondo il proverbio giapponese che dice che bisogna schiacciare giù un chiodo che spunta fuori. Perché P. Venzo era estremamente originale, ed era difficile impacchettarlo. Ma la gente gli voleva bene, specialmente i bambini, perché vedevano il suo cuore. E per noi la sua partenza fu una grande perdita.

Racconterò del mio primo incontro con P. Venzo in Giappone. Era la mia prima estate ed ero andato a visitare i confratelli nella “Missione” di Saga: P. Giuseppe era parroco a Taku. Fu molto lieto quando gli telefonai che desideravo andarlo a trovare, e subito mi disse che lui non era bravo in cucina e che mi avrebbe portato al ristorante. E così fu. Era un ristorantino di paese, tipico del Giappone di una volta, con poco spazio, ma accogliente. Probabilmente un luogo dove P. Venzo era ben conosciuto. Ci fu dato un tavolo doppio, con quattro posti a sedere. E mentre ci raccontavamo le nostre cose, notavo che venivano servite quattro porzioni. Chiesi allora: “P. Venzo, attendiamo altri ospiti?” Al che, sorridendo: “Ma no! Siamo solo noi.” E poi la spiegazione: “Io ordino sempre doppia porzione perché qui in Giappone le porzioni sono sempre troppo piccole per noi! …”. Questo mi disse molto di P. Giuseppe, della sua originalità ma anche della sua attenzione. Ci eravamo conosciuti brevemente prima del suo arrivo in Giappone, ai Campi Estivi (a Velo d’Astico per essere precisi), dove lo ricordo nell’atto di declamare poesie e versi classici davanti ai ragazzi …, perché era anche un uomo di cultura. So che durante i suoi anni in Giappone collaborò con l’Editore Shobo per la pubblicazione del Dizionario di Giapponese-Italiano di H.Takahashi (1981). Ma nel contesto del Giappone, la sua personalità e il suo estro originale non sempre aiutarono il suo fervore missionario, per il quale eccelleva. Credo che lui abbia sofferto molto di questo stato di cose, e che questo forse è stata la causa della sua crisi, tanto che rientrò in Italia. Ma fu presto ridestinato alla missione, questa volta in Brasile, perché la missione era tutta la sua vita. Qui continuò a interessarsi del Giappone, che rimarrà la missione del suo cuore, dedicandosi anche ai cosiddetti “oriundi giapponesi” (NIKKEI), al qual fine si teneva aggiornato con materiale che gli veniva spedito regolarmente dal Giappone.

Tutta la sua vita amò il Giappone e i giapponesi. È stato per me un esempio di missionario umile, paziente, pio, … e fedele, e il ricordo di lui mi rasserena nelle difficoltà. P. Bianchin

 

 

Padre Giacomo Girardi

Nato il 31/07/1930 a Ormelle (Treviso), iniziò la formazione nell’Istituto nel 1942 e fu ammesso al Giuramento nel 1955. Fu ordinato Presbitero nel 1956, partì per Hong Kong nel 1966. Dal 1973 servì l’Istituto in Italia a Milano. Memorabile la sua iniziativa del 23 aprile 1977 quando Madre Teresa parlò allo Stadio di “San Siro”, strapieno di giovani, alla presenza di tutti i Vescovi della Lombardia, sul tema della vita. Era una delle grandi Manifestazioni organizzate da Padre Giacomo Girardi, allora “Direttore” del “Centro Missionario Pime”. Dopo una breve esperienza nelle Filippine nel 1995 moriva a Rancio di Lecco il 24/02/1998.

Nel 1973 era tornato da Hong Kong a Milano, deciso di comunicare a tutti la sua passione missionaria. Aveva ideato le grandi veglie missionarie, con decine di migliaia di persone che pregando e cantando attraversavano il centro della città, in anni in cui Milano era solcata da schiere di giovani urlanti che spaccavano tutto, e da poliziotti in tenuta da guerriglia urbana che lanciavano lacrimogeni.

Al Centro del Pime aveva moltiplicato gli incontri pubblici su ogni tema che infiammasse le città. Aveva reso il dibattito ecumenico un argomento di confronto per tutti: e portava a quelle serate centinaia di persone. Conosceva il valore della testimonianza e della comunicazione. Sapeva quanto contano i mass media e ripeteva: “Non bisogna averne paura”. Incoraggiava i suoi amici più giovani che volevano fare i giornalisti. Parlava instancabile dai microfoni delle radio private che sorgevano come funghi in quegli anni. Amava Radio Supermilano, “i miei amici”, dove trovava sempre spazio per raccontare le sue avventurose storie di missione e un microfono dove presentare le sue battaglie per la libertà.

Aveva organizzato campagne contro la fame nel mondo (nel 1963 era stato tra i fondatori di Mani Tese), per i profughi dal Vietnam e dalla Cambogia, per il Libano, in aiuto al grande missionario laico dell’Amazzonia, l’industriale Marcello Candia, che aveva venduto le sue industrie ed era andato con i missionari del Pime stil Rio della Amazzonia per costruire, con i suoi soldi, un ospedale per i poveri (oggi è in corso la sua Causa di Canonizzazione). A padre Giacomo non interessavano le chiacchiere, quanto “le opere e la preghiera”. E così non aveva timidezza a parlare con i grandi del giornalismo, come non esitava a percorrere centinaia di chilometri per partecipare a una serata di preghiera, “perché siamo operai nella vigna del Signore”.

Aveva invitato Madre Teresa di Calcutta ed Helder Camara, il vescovo brasiliano in odore di dissidenza, a testimoniare allo stadio di Milano per la vita: ed era diventato amico della piccola suora albanese. Le aveva mostrato orgoglioso il Centro missionario di Milano, e “qui c’è anche la sede di Comunione e Liberazione”. “Liberazione da cosa?” aveva chiesto Madre Teresa. “Dal peccato”. “Allora va bene”, aveva commentato la suora.

“Ricordatevelo” diceva padre Giacomo ai suoi amici “questa è la sola liberazione che conta”, e si faceva serio. Morendo, forse padre Giacomo avrà ripensato a un pomeriggio pieno di sole, quando, sul lato del Duomo di Milano che guarda le finestre della Curia, il cardinal Martirii aveva scoperto una statua di Mazzucconi, da poco beatificato. Sorrideva quel giorno padre Giacomo, e non c’erano cortei nemici, ma solo la voce del cardinale e canti del coro e gloria tra il popolo dei santi che abita la cattedrale: “Li vedi, diceva, siamo stirpe dei santi, sono i nostri concittadini”. Ora li guarda negli occhi.

 

 

Padre Angelo Caeran

Nato il 07/02/1913 a Montebelluna (Treviso), iniziò la formazione nell’Istituto nel 1927. Fu ammesso al Giuramento e ordinato Presbitero nel 1938. Partì per la Cina (Kaifeng) nel 1939. Espulso nel 1951, servì l’Istituto in Italia nel seminario dell’Immacolata di Treviso. Moriva il 14/10/1986 a Treviso e riposa nel cimitero del PIME di Villa Grugana.

Come sacerdote e come missionario, P. Angelo, forte della sua fede, amante dell’Eucarestia di cui si nutriva e dedito sempre agli altri, grazie al suo spirito e alla sua vita missionaria, ha sorriso di fronte alla morte e sarà andato incontro al suo salvatore con gioia.

Tutte le volte che era di ritorno dalla città, fermava il motore della sua macchina a 300 metri da casa e faceva così, a motore spento, quell’ultimo tratto di strada, non badando a chi era con lui in macchina o a chi, dietro di lui, non gradisse un tale rallentamento. Quello strano modo di procedere, alla fin fine, rivelava la sua passione per il risparmio, la sua calma interiore, il dominio di sé e la soddisfazione di avere compiuto un servizio alla sua comunità.

Nel 1938, era giunto nella sua missione di Kaifeng, in Cina, nel 1939. Dopo lo studio della lingua, che durò due anni, fu assegnato come aiutante in vari distretti missionari, sempre contento di essere il secondo. Nel 1951 ritornò in Italia.

Dopo un anno, passato a Genova, dai superiori venne destinato alla casa di Treviso. Nei primi due anni fu insegnante e animatore; ma quasi subito, forse intuendo la sua duplice vocazione alla cura degli infermi e all’economia, i superiori gli diedero l’incarico di cappellano al S. Camillo ed economo del seminario.

Costante nel lavoro, P. Angelo era anche un grande uomo di preghiera. Mai rifiutò un impegno di ministero, accettando sempre per sé gli oneri più gravosi di confessione e di predicazione; in questo campo fu sempre il primo nel servizio alle parrocchie e alla diocesi. Al S. Camillo fu sempre fedele alla celebrazione della Messa, alle confessioni, alla catechesi e alle varie funzioni vespertine; in casa era sempre il primo alle preghiere del mezzogiorno e al rosario della sera. Era molto occupato come cappellano e come economo, ma egli si sentiva anzitutto sacerdote, per cui mai si sentiva di rubare qualche minuto al tempo della preghiera.

Come economo, P. Angelo ci insegnò sempre a vivere nella povertà, senza sperperi, completamente abbandonati alla Provvidenza. Credere nella provvidenza era una grande cosa per P. Angelo; alla provvidenza egli ci credeva seriamente. Ma sapendo che la provvidenza, quasi sempre, si serve di uomini, non stava con le mani in mano, ma credeva all’ “aiutati che il ciel ti aiuta”. Le risorse per questa povera casa erano sempre magre; ma egli, sempre memore degli esempi dei PP. Pagani, Bonaldo, Filippin, Brotto, si dava da fare per avere aiuti, tanto che la casa andò sempre avanti senza troppi debiti.

Infine, P. Angelo riponeva tutta la sua gioia nel servire gli ammalati. Nella clinica di S. Camillo di Treviso si sentiva veramente a suo agio e dimostrava grande gioia trattando con tutti: dottori, personale paramedico e suore.

 

Padre Amelio Crotti

Nato il 08/12/1913 a Monastier (Treviso), entrò nell’Istituto nel 1925. Fu ammesso al Giuramento e ordinato Presbitero nel 1936. Partì per la Cina (Kaifeng) nel 1937. Espulso nel 1951, rimase a Hong Kong. Servì l’Istituto in Italia dal 1954 e poi a Taiwan (1993-1994). Moriva il 06/09/2004 a Rancio di Lecco e riposa nel cimitero di Lessona (Biella).

Rimase in Cina fino al 1951 quando fu espulso, insieme all’arcivescovo di Kaifeng Mons. Gaetano Pollio, suo compagno di prigionia e torture. Passò a Hong Kong dove si dedicò all’assistenza dei profughi cinesi. Nel 1954 rientrò in Italia. Sua occupazione principale fu l’animazione missionaria. A lui si deve la costruzione del Centro Missionario di Via Mosè Bianchi; come direttore diede impulso alle varie attività in particolare alle riviste missionarie del PIME. Dal 1968 al 1973 ebbe l’incarico di segretario della Pontificia Unione missionaria del Clero.

Ecco come descrive brevemente la sua prigionia (intervista a “Il Resegone”, 6 ottobre 2000).

“Fummo chiusi in una piccolissima cella, costretti a stare seduti per terra senza appoggiarci alle pareti. Se qualcuno avesse osato farlo, per punizione sarebbe dovuto stare in piedi con le braccia alzate per un ‘ora. Per dormire c’erano sul pavimento assi di legno intorno ai quali scorrazzavano topi di tutte le dimensioni. Il poco cibo che ci davano, lo dividevamo fraternamente con loro, così ci lasciavano un po’ tranquilli.

Faceva un caldo terribile e l’acqua per lavarci era ridotta al minimo. In quel carcere c’erano ottocento persone, noi eravamo gli unici europei. Ma il peggio veniva di notte. Ogni paio di ore di sonno ci svegliavano per portarci in una sala gremita di militari, il cosiddetto Tribunale del Popolo. Elencavano i nostri crimini che consistevano, secondo loro, nell’aver parlato contro il partito comunista cinese, esercitato spionaggio a favore degli Stati Uniti… Ci interrogavano sulle sciocchezze più assurde per due o tre ore di seguito e questo tutte le notti per sei mesi esatti”.

Con i quattro missionari è giudicata anche Giuseppina Li, una giovane appartenente alla Legione di Maria.

L’8 ottobre 1951 i quattro missionari, dopo un lungo viaggio in treno durato tre giorni, attraversano il ponte di Lowu fra la Cina comunista e la colonia inglese di Hong Kong: subito ricoverati in ospedale, ma liberi! Quando leggono l’atto di condanna, conservato nell’archivio PIME a Roma in cinese, i missionari si accorgono che sono condannati solo per motivi religiosi, per essersi opposti al ‘movimento per la Triplice Autonoma della Chiesa’, mentre i motivi politici non sono nemmeno citati.

Appena arriva ad Hong Kong, dopo qualche settimana in ospedale, Crotti sceglie di restare in quel lembo di Cina libera per assistere i profughi dalla Cina aiutando i missionari del PIME, ai quali era affidata quella diocesi.

Il Centro Missionario Mons. Ramazzotti a Milano (1954-1968)

Padre Crotti giunge a Milano in Italia il 22 aprile 1954 e diventa direttore della stampa e propaganda del PIME nell’ ottobre 1954: cioè superiore di un gruppo di giovani preti che erano in quel settore di attività missionaria in attesa di partire per le missioni (i PP. Angelo Lazzarotto, Domenico Colombo, Mauro Mezzadonna). Crotti, con alcuni missionari espulsi dalla Cina, è stato l’iniziatore e costruttore del “Centro Missionario Mons. Angelo Ramazzotti” in Via Mosè Bianchi a Milano, che voleva “inserire nelle strutture dell’Istituto la stampa e la propaganda, in modo che non siano un qualcosa di separato dalla vita dei missionari in patria e in missione”, e dare all’Istituto uno strumento adeguato a promuovere le vocazioni missionarie e la conoscenza delle missioni.

  1. Crotti non solo era entusiasta di quel che faceva, ma anche geniale nelle iniziative. Quelle varate nel suo periodo (1955-1968) sono state numerose e di successo: la nascita del giornale murale (Venga il tuo regno, 1956); la pubblicazione della collana di libri mensili missionari “Oltremare”, che dura dieci anni con 8-10 volumi l’anno in abbonamento (1956-1966) dei “Quaderni di Le Missioni Cattoliche” (22 volumetti di attualità) , la Collana Le Missioni Cattoliche (volumi di studio), le edizioni per le varie case del mensile “Missionari del PIME”; il graduale rinnovamento di “Le Missioni Cattoliche” nel 1956 e 1959.

Ricordando padre Crotti vanno pure ricordati i suoi contributi per la nascita della EMI (Editrice Missionaria Italiana), nel 1956, in collaborazione con gli altri istituti missionari, di G.M.G. (Gruppi Missionari Giovanili, 1957), di “Mani Tese” per la campagna contro la fame nel mondo (1963), e la creazione dell’associazione “Madrine e Padrini del Seminario teologico”. Fu un grande fautore della produzione di mostre e film missionari, delle “giornate missionarie parrocchiali” e delle “esposizioni missionarie di cineserie” a Milano e, durante l’estate nei luoghi di villeggiatura.

Il PIME, che era molto limitato al ristretto orizzonte ambrosiano, diventa così un istituto nazionale, con amici sparsi in ogni parte d’Italia. Basti dire che, più tardi, “Propaganda missionaria”, diventata con P. Mauro Mezzadonna “Missionari del PIME” nel 1959, passerà da 25.000 copie a circa 50.000 in dieci anni, con una dozzina di edizioni per le case dove risiedevano i missionari. Ricordiamo pure “Le Missioni Cattoliche”, con P. Domenico Colombo e P. Piero Gheddo, che passa da 1.300 copie nel 1956 a 8.000 nel 1968, quando cambia titolo e diventa “Mondo e Missione” come organo della Pontificia Unione Missionaria del Clero.

Negli ultimi anni padre Crotti non dimenticherà la missione fisica e lavorerà ancora come missionario in Camerun ed a Taiwan.

Padre Amadio Bortolotto

Nato a Torreselle, frazione di Piombino Dese (provincia di Padova e diocesi di Treviso), il 12/02/1933. Entrato nel seminario del Pime nel 1945 a Treviso. Nel 1956 emette il Giuramento e il 28 giugno 1957 viene ordinato presbitero. Nel 1959 è destinato in Amazonas – Parintins, Brasile. Moriva il 25/10/2020 a Rancio di Lecco e riposa nel cimitero di Torreselle.

Padre Amadio nasce a Torreselle, frazione di Piombino Dese (provincia di Padova e diocesi di Treviso), il 12 febbraio 1933. Entrato nel seminario dell’Istituto nel 1945 a Treviso, compie gli studi di medie e ginnasio a Treviso, e il liceo a Monza. Il 28 giugno 1956 emette il giuramento perpetuo e il 28 giugno 1957 viene ordinato presbitero a Milano, dal card. G. B. Montini. Dopo un breve servizio nei seminari di Monza e Vigarolo, nel 1959 viene destinato in Amazonas – Parintins, prestando servizio a Maués (1960-66) e Barreirinha (1966-71). l primi anni sono stati dedicati alla salute e all’istruzione della popolazione – ricordava -. “Dove andavamo cercavamo di aprire ambulatori e istituire scuole. Abbiamo capito con l’esperienza che donare beni materiali a profusione non era il giusto approccio; bisognava fare in modo che i locali contribuissero in prima persona, anche con quel poco che avevano. Era quella la via giusta per la conquista della dignità e dell’autonomia dell’intera comunità».

Nella comunità del Pime dell’Amazonas padre Bortolotto è stato a più riprese superiore regionale. E al termine di uno di questi mandati era stato destinato a una nuova partenza, questa volta per la regione dell’Amapà, dove ha trascorso altri vent’anni di missione. «Fare il parroco mi ha fatto comprendere che la missione non è solo “roba” da preti e suore – spiegava -. Tutti noi, uomini e donne di buona volontà, siamo chiamati a svolgere una missione precisa per il Regno di Dio, che sia l’operaio, la dottoressa, lo studente… Basta fare il nostro compito bene per essere felici e rendere felici gli altri. Siamo tutti perle preziose».

Nel 1971-72 partecipa a Roma al Capitolo Generale di aggiornamento, rimanendo in Italia (Cervignano e Gorizia) per animazione missionaria fino al 1975. Ritornato in Brasile, dopo essere stato di nuovo parroco a Barreirinha, è eletto Superiore Regionale della Regione Amazonas (per due mandati) e Supplente Responsabile degli Indios. Nell’Assemblea Generale del 1983 viene eletto Assistente generale. Ritornato in Brasile, per quasi 20 anni è in Amapà (parroco a Santana), e poi per altri 10 anni circa in Amazonas, dove dà vita ad un centro di irradiazione cristiana nella diocesi di Parintins e viene nuovamente eletto Superiore della Circoscrizione (2012). Come Superiore, partecipa all’Assemblea pan-brasiliana (gennaio 2016) che sancisce la riunificazione delle tre regioni nell’unica Circoscrizione Brasile.

Nel marzo 2019, dopo più di 60 anni di vita missionaria, quasi sempre in Brasile, rientra in Italia, assegnato alla Comunità di Rancio di Lecco. Tante, e scritte rigorosamente a mano, le sue “riflessioni personali” che lascia al nostro archivio: “A Dio la mia riconoscenza. A chi mi porse il suo aiuto e continuerà a porgermelo, la mia preghiera”. Così scriveva sulla immagine ricordo dell’ordinazione presbiterale.

 

Padre Pierluigi Siviero

Nato il 12/12/1963 a Contarina (Chioggia), iniziò la formazione nell’Istituto nel 1986. Fu ammesso al Giuramento nel 1988 e ordinato Presbitero nello stesso anno. Servì l’Istituto in Italia dal 1988 al 1993. Nel 1993 partì per la Thailandia. Servì nuovamente l’Istituto in Italia dal 2014 al 2018. Moriva il 16/12/2019 a Ban Thoet Thai (Thailandia) e riposa nel cimitero parrocchiale di Ngao (Thailandia).

Si è spento all’improvviso a Ban Thoet Thai, sui monti della Thailandia, dove era tornato proprio quest’anno. Il suo cuore ha ceduto pochi giorni dopo il suo cinquantaseiesimo compleanno. Inizia con il dolore per la morte di padre Pierluigi Siviero la novena di Natale 2019 dei missionari del Pime.

Con lui se ne va un missionario che ha svolto per tanti anni il suo ministero in uno dei luoghi più nascosti del mondo di oggi: la frontiera dei villaggi tribali del nord della Thailandia, nelle piccole comunità cristiane locali e tra i ragazzi degli ostelli, una delle poche opportunità che queste comunità poverissime hanno per poter studiare.

Padre Pierluigi era nato a Contarina – provincia di Rovigo e diocesi di Chioggia – il 12 dicembre 1963. Era entrato nel seminario diocesano all’età di 11 anni, ma concluso il quarto anno di teologia aveva scelto la missione ad gentes passando al Seminario del Pime. «Sono giunto a fare questa richiesta – scriveva in quell’occasione – perché ho raggiunto la certezza della coscienza che Dio mi ha fatto un grande dono: quello di dedicare tutta la mia vita al servizio del Suo Vangelo, nel servizio alla sua Chiesa. Mi rendo conto della mia piccolezza, ma Dio mi rassicura dicendo ‘Ti basti la mia Grazia!’. Ed è proprio con la fiducia nella sua Grazia che compio il passo di essere Sacerdote per trasmettere a chi non conosce Dio, la gioia e la felicità di scoprirsi Suoi figli».

Ordinato sacerdote nel 1988 nei primi anni aveva svolto il suo minìstero come animatore missionario nella Comunità del Pime di Trentola-Ducenta (Caserta). Nel 1993 era poi arrivata la partenza per la Thailandia, dove – dopo un primo periodo di ambientamento – aveva svolto per sedici anni il suo ministero nella missione di Ngao. Anni scanditi – appunto – dalla visita alle piccole comunità cristiane nei villaggi e dalla cura dell’ostello, con i suoi 80 ragazzi delle scuole medie e superiori.

Non era uomo di grandi proclami padre Pierluigi. Ma aveva un’idea ben chiara della missione. In una lettera inviata qualche anno fa in occasione della Pasqua scriveva: «I ragazzi che abbiamo nei vari ostelli, cosa possono capire e come aiutarli a capire di più ed a gustare la ricca liturgia? Per non dimenticare i villaggi ed i molti cristiani lì presenti, come fare e quali segni scegliere, oltre al rinnovo delle promesse battesimali, per aiutarli a vivere meglio la Pasqua? Questi e molti altri pensieri mi ritornano molto spesso alla mente…, ma poi mi accorgo che forse mi sono dimenticato della cosa più importante e che il cercare di programmare ed il pensare tutte le varie cose per aiutare gli altri, rischiano di diventare una distrazione ed un ostacolo più che un aiuto».

«Come posso aiutare gli altri a vivere bene la Santa Pasqua e ad arricchirsi della grazia di Dio – continuava – se prima non cerco di preparare me stesso e vivere bene questo grande mistero? Come posso dare agli altri quello che non ho? Questo non vuol dire non pensare o non cercare di aiutare gli altri, anzi è proprio il contrario. Più cerco di vivere io in profondità questo mistero e più sarò in grado di aiutare gli altri a viverlo. Mi ritornano sempre alla mente le parole di San Paolo VI – credo – che ci ricordava come il mondo non ha bisogno di insegnanti o di maestri ma di testimoni e se ha bisogno di maestri è perché questi sono anche testimoni».

Nel 2014 era stato richiamato in Italia per un servizio all’istituto: era stato destinato di nuovo proprio alla casa di Ducenta, dove aveva mosso i primi passi come missionario del Pime: per quattro anni ne era stato il rettore oltre a collaborare con le attività dell’animazione missionaria. All’inizio di quest’anno, infine, era rientrato in Thailandia dove da maggio svolgeva l’incarico di coadiutore parrocchiale nell’Holy Trinity Church a Ban Thoet Thai, un’altra zona di prima evangelizzazione sempre nella diocesi di Chiang Rai, nel nord della Thailandia. E proprio qui padre Pierluigi è stato stroncato dall’infarto. I funerali si svolgeranno giovedì mattina alle 10 ora locale nella cattedrale di Chiang Rai. Dopo le esequie le spoglie verranno portate anche nella parrocchia di Ngao per l’omaggio della comunità che ha più a lungo servito.

 

Padre Dametto Luigi

PADRE DAMETTO LUIGI  –  Nato il 30/08/1910 ad Altivole (Treviso), iniziò la formazione nell’Istituto nel 1935. Nel 1961 fu ammesso al Giuramento, ordinato Presbitero e partente per la Birmania (Taungngu e Taunggyi) nel 1937. Dopo un servizio in Italia dal 1947 al 1953, ritorna in missione. Espulso dalla Birmania nel 1966, servì l’Istituto in Italia. Moriva il 16/06/1967 a Treviso e riposa nel cimitero del PIME di Villa Grugana, Lecco.

Apostolo dei catechisti

  1. Dametto era nato ad Altivole presso Treviso il 30 agosto del 1910.

Entrò nel P.I.M.E. nel 1935, dopo aver fatto il secondo anno di Teologia nel Seminario diocesano di Treviso. Il 4 aprile 1937 veniva ordinato sacerdote ed il 2 luglio  dello stesso anno partiva per la Missione di Toungoo  in  Birmania. Erano tempi aurei   quelli   per la Missione: liberta di  apostolato, sviluppo delle opere, scuole, disponibilità  di personale.

  1. Dametto, dopo i primi tempi di entusiasmo e di studio comincio a provare le gioie del lavoro apostolico a Musho (o Mosso), ma aveva da poco iniziato il suo lavoro quando dovette bruscamente interromperlo. Era scoppiata la guerra mondiale. lnternato  prima a Toungoo con altre due dozzine di Padri giovani, venne poi tra­ sferito con pericoloso viaggio dal­ la capitale birmana Rangoon al­ l’India. Qui egli rimase per sei lunghi anni in un campo di con­ centramento assieme ad altre centinaia di missionari italiani. Per vincere la monotonia di quegli anni, egli si diede ad una vita di preghiera e di studio. I confratelli e gli altri religiosi che ebbero a conoscerlo in quel triste luogo, anche dopo anni dicevano di lui: ” Ah, Padre Dametto, quel buono e santo uomo… ‘”

Nel  1947  ebbe  termine  l’internamento  ed  egli poté  tornare  in  Birmania.   Fu   destinato   a   Jado,   la residenza  più  devastata  dalla  guerra. La  sua  casa  era  stile  ” gurca ,, (i  guerrieri    indiani):    pavimento di  terra   battuta ,  pareti   di   sacchi vecchi.  Doveva   poi  imparare  qui una     lingua nuova : il  Gheku­ Padaung.  Costrui  la  residenza ,  cosa   non   facile.   Per   trasportare   il materiale   da costruzione,  la  carovana  di muli  doveva  fare sei gior­ni  di  cammino  tra  Jado  e  Thandaung   ( 180   km.)   atraverso   disagiate  mulattiere.  E  lui  dietro   coi mulattieri, che erano poi i suoi orfanelli.  La   sua   salute   era   insufficiente  alla  troppo  buona  volontà. Così  il 5 novembre  1947 fu rimpatriato  e  per  anni  svolse   l’incarico di   direttore   spirituale   nel   nostro Seminario   Missionario   di   Treviso.

Il  Vescovo  di  Toungoo Mons. Lanfranconi   da venti   anni  progettava   di  poter fondare una Congregazione di Fratelli Cooperatori birmani e la riapertura  del  Catechistato.  Giudicò i tempi maturi e scelse come uomo adatto al difficile compito proprio il P. Dametto, il quale, benché non ben ristabilito in salute, riparti il 30 giugno 1953 per la Birmania.

Come sede delle due nuove istituzioni fu scelta Mosso: c’erano alcune case in legno, fatiscenti per gli  anni,  edificate  a  suo   tempo dai Padri Cambiaso e Borsano. Erano   in disuso.

  1. Dametto  si mise  ancora  una volta all’opera: prima dovette puntellare,  riparare,  tappare  i  buchi, adattare gli ambienti e infine iniziare le nuove costruzioni con  le sue mani. Dodici anni di lavoro: scavare la roccia per le  fondamenta, la sabbia per i blocchi di cemento; trasporto  a spalla o col carro a buoi. Un  lavoro  estenuante! Contrattempi, contraddizioni, pessimismo di alcuni sulla nuova istituzione, lavoratori e  alunni  <figli del bosco…) che scappavano, cemento che non arrivava…  Sempre paziente, umile… L’acqua doveva essere trasportata con  recipienti di bambù da  più  di un  Km. di distanza… Gli insegnanti  alle volte defezionavano per posti più retribuiti… II camion non arrivava con le provviste del riso… Sempre pazienza!…

A  furia   di  pazienza   costruì   in muratura:   la   ” casa   madre ,,    per i ” Fratelli Catechisti di  S.  Giuseppe ‘” la  scuola  dei  Catechisti laici, la casa  delle  suore,  la  casa dei  Padri,  serbatoi   sufficienti   per un anno d’acqua, la strada carrozzabile. Riparo inoltre la chiesa e scrisse libri in lingua  indigena  per gli   studi   di   questa   gente.

La sua attività provvidenziale per i Catechisti (religiosi e laici) prosperava pienamente, dopo tante fatiche fisiche e morali, ma ecco che nel ’66 il Governo birmano nega anche a lui il permesso di rimanere in Birmania. Rimase al lavoro sino all’ultimo minuto consentito. Quale pena  abbandonare tutto e tutti al loro destino cosi incerto!… Era il 16 luglio 1966.

Tornando in Italia, egli passò per la Terrasanta, ove rimase 20 giorni presso il fratello, Fra Martino.

Il 7 agosto ’66 arrivava in Italia. A metà settembre si ritirò nel nostro Seminario di Treviso, ma comincio a non sentirsi bene, e qui concluse   presto   la sua dolorosa via. Questa volta per il Cielo, a rivedere  i Vescovi  buoni  di  cui  fu  conforto,  i  confratelli morti o uccisi, a pregare  per  quelli  vivi  e per  i loro  cristiani  e per i catechisti,  oggi più  che mai  preziosi.

 

 

Lo Spirito della missione di don Paolo Chiavacci

Crespano 20 agosto 2022, gioia di un ricordo storico con don Giovanni Scavezzon, primo direttore del “Centro incontri con la natura” fondato da don Paolo Chiavacci. Avevo conosciuto don Paolo nel seminario di Treviso, ma non sapevo del suo Spirito missionario. Don Giovanni mi mette in mano il libretto stampato dal Pime nel 1946, Ut omnes unum sint, il problema missionario tra i Chierici, scritto da don Paolo con tanto di imprimatur di monsignor Costante Chimenton e il nulla osta di monsignor Gioacchino Scattolon. Don Giovanni mi dà anche un bel calendario 2022 dove vedo il centro, com’era nel 1972. Mi dice che la prima incaricata di gestirlo era stata Maria Bianchin, sorella del missionario del Pime, padre Mirko Bianchin. Don Paolo e padre Mirko assistevano gli sfollati dei bombardamenti alle Caserme di Dosson fino al 1949 e in quella amicizia – penso – hanno alimentato lo Spirito del servizio e della missione.

Il libretto porta anche in copertina questa intestazione: Don Paolo Chiavacci, Gruppo missionario dei Chierici del seminario di Treviso. Bastano questi elementi per rivelare come era vissuto lo Spirito missionario nel seminario e nella diocesi di Treviso, da dove partirono tanti missionari per tutto il mondo.   

Il libretto di 71 pagine è un piccolo corso missionario, forse un testo di Esercizi Spirituali.  

Leggo a pag. 22/23: È un dovere di giustizia.

Molteplice. Assoluto anche se non sempre precisato o precisabile. Evidente anche se non sempre praticamente determinato. Per noi più che per ogni altro.

Creature: dobbiamo glorificare il Creatore: ma come? A tutti portando la sua voce, il suo Verbo, a tutti cantando le sue lodi, rendendo tutti partecipi dei frutti della Redenzione e dell’amore, «affinché – come vuole lo Spirito Santo – il Padre sia glorificato nel Figlio».

Uomini: abbiamo il dovere sociale di cooperare a che tutta l’umana società, non tanto nel suo insieme, quanto nei singoli individui che la compongono, si orienti al suo vero e unico fine.

Cristiani: dobbiamo essere riconoscenti a Dio che ci ha elargita la fede: «Per la fede che ci ha donato cooperiamo a dar la fede ad altre anime».

Cattolici: dobbiamo vivere e sentire con la Chiesa nell’universalità dei suoi interessi ovunque estesi. Val di più – io penso – un missionario nel centro dell’Africa che una nuova chiesa, non necessaria, al mio Paese.

Sudditi devoti della Cattedra romana: a noi fu rivolto il comando del Papa: «È il sacerdozio cui spetta per primo diffondere in mezzo ai fedeli la conoscenza del problema missionario e accendere nei cuori l’amore». Ma se noi siamo nel buio e siamo freddi, come potremmo illuminare e riscaldare?

Figli della Chiesa: mentre il nostro fratello missionario generosamente tutto si dona per la vita e la gloria della tenerissima Madre comune, come potremo rimanercene noi inoperosi nelle comodità, quasi parassiti di tanta abnegazione?

Ministri di verità: noi pure riceveremo la missione: «Andate, ammaestrate tutte le genti». Tutte.

Leggendo, mi rivedo don Paolo, lo risento, deciso concreto appassionato. Dal seminario di Treviso, con un tale clima missionario, era già partito il Ven. Bernardo Sartori. In quegli anni ’46 e seguenti, ricordo che ero in seminario con don Angelo Santinon, i ‘prefetti’ don Luigi Cecchin, don Merlo. Poi si aggiunsero don Mario Bortoletto e altri ancora. Tutti partiti, accompagnati sempre da don Antonio Marangon e seguiti e sostenuti dalla diocesi di Treviso missionaria.

 

Padre Ermanno Battisti

Nato nel 1937 a San Giovanni Valle Aurina (Bolzano-Bressanone), iniziò la formazione nell’Istituto nel 1953. Fu ammesso al Giuramento nel 1961 e ordinato Presbitero nel 1962. Servì l’Istituto in Italia dal 1962 al 1969. Partì per la Guinea Portoghese nel 1969. Rientrò in Italia nel 2010. Moriva il 03.01.2015 a Roma.  È sepolto nel cimitero PIME di Villa Grugana.

A un anno e mezzo dalla morte, la memoria di padre Ermanno Battisti, missionario del Pime che ha operato per 33 anni in Guinea Bissau, non si è affievolita. Anzi: tanti ex giovani che hanno beneficiato delle sue iniziative e che appartengono alla diaspora guineana in Italia si raduneranno a Verona il 9 luglio prossimo per ricordare solennemente- con un’iniziativa culturale di un certo respiro – questa figura di missionario.

«In Africa ogni anziano che muore è una biblioteca che brucia – spiegano i promotori del meeting del 9 luglio – Da qui la domanda: come evitare che la morte di un nostro anziano, di un personaggio che consideriamo un’icona della storia dei nostri popoli, delle nostre nazioni, si trasformi in una “biblioteca che brucia”? Come trasformare la sua dipartita in una celebrazione del trionfo della vita sulla morte?». Ecco l’idea di un evento a ricordo di padre Battisti, che radunasse tante persone che, in forme diverse, sono state da lui aiutate nello studio, nel lavoro, nella conquista di un’autonomia. Quando padre Battisti morì si verificò un’ondata di messaggi di condoglianze. «È stato un autentico missionario che annunziava Cristo con la vita e la parola», Padre Gheddo.

Originario dell’alto Alto Adige,  padre Ermanno, ordinato sacerdote nel 1962 e redattore di “Italia Missionaria” fino al 1968, è stato missionario dal 1969 al 2010, quando, malandato in salute, è tornato in Italia come direttore-redattore di “Infor- Pime”, il bollettino interno dei missionari.

In “Un elefantino miracoloso”, padre Ermanno ha raccontato facendo emergere che il protagonista della “missione alle genti” è lo Spirito Santo: il missionario, anche quando realizza numerose e grandi opere è solo un piccolo e debole strumento di una forza soprannaturale.

Perché quel titolo curioso? L’elefantino è una statuetta in legno palissandro, che padre Ermanno (aveva imparato a lavorare il legno da bambino), scolpì all’inizio della sua missione in Africa, quando ancora imparava il criolo, la lingua nazionale col portoghese. A Bissau era incaricato di seguire i ragazzi e i giovani delle scuole cattoliche e vedeva che, finite le elementari e alcuni anche le medie, non trovavano lavoro. Mentre studiava l’arte e l’artigianato locali e, con naturale senso artistico, si convinceva che nell’arte tradizionale sta il tesoro nascosto da mettere in luce per produrre lavoro e ricchezza. Raduna i suoi giovani, prende un tronchetto di palissandro e con uno scalpello e un martello scolpisce in pochi giorni un elefantino non ancora lavorato, ma sufficiente per entusiasmare i suoi alunni. Si accorge che i suoi giovani avevano abilità manuale e immaginazione mai immaginate. «Mi hanno scolpito elefantini e altre statuette più belli dei miei e abbiamo incominciato a venderli con un banchetto per la strada. Con loro somma felicità, hanno incominciato a guadagnare qualcosa col loro lavoro! Appena si è diffusa la voce di questa nuova attività lavorativa, venivano da tutte le parti con un loro piccolo dono (una gallina, uova, banane, zucche) per diventare miei alunni». Così è nato il “Centro artistico nazionale” che prepara scultori, pittori, artigiani che col legno, la paglia, le foglie di palma e altro materiale locale, l’hanno affermato come un’opera di valore nazionale, premiata e visitata dai politici, che acquistano una parte dei suoi prodotti da offrire come dono ai personaggi stranieri in visita alla Guinea Bissau.

Da quel piccolo e insignificante oggetto sono nate in seguito, con l’aiuto generoso di molti amici e benefattori italiani, le molte opere del missionario altoatesino: le borse di studio per mandare giovani nelle Università portoghesi o italiane, la parrocchia di Cristo Redentore a Bissau, con tutte le strutture esterne ed interne (porte, finestre, banchi, altare, sedie, candelieri, Crocifissi, Via Crucis, battistero, ecc.) scolpite in legno secondo l’arte locale delle varie etnie guineane; l’ospedale pediatrico Bòr, unico del genere in Guinea (con 60 letti); la “Casa di accoglienza Bambaran” per bambini abbandonati e studenti; la chiesa parrocchiale e le strutture della nuova parrocchia di Bòr, quartiere periferico di Bissau; la scuola di Bòr, “Ermondade” (fraternità) che arriva fino al Liceo.

Accanto a tante opere realizzate, anche un sogno rimasto nel cassetto, «Ricostruire quella casa per farne un museo diocesano, perché conservare le memorie del passato fa parte sostanziale di ogni cultura e mi sembra importante anche per la nostra Chiesa, perché dall’esperienza del passato possono venire idee nuove, e anche migliori, per il futuro».