Santa Messa alla Madonna delle Caneve

Oggi 21 luglio 2018, ho avuto la gioia di celebrare a Sotto il Monte nella cappellina della Madonna delle Caneve, tanto amata da Papa Giovanni. Prima di entrare, anch’io ho guardato la Madonna dalla finestra alla quale mamma Marina aveva sollevato il piccolo Angelo, dicendogli che lo consacrava a lei. Il luogo è meraviglioso, in collina, nascosto tra gli alberi, al fresco e al profumo di una natura amata e rispettata. La cappellina era piena di fedeli. Mi faceva da chierichetto un pro-pronipote, cioè figlio di un pro-nipote del Papa, aiutato da don Angelo che vive a Sotto il Monte, prete in pensione molto impegnato. Era commovente vedere l’attenzione amorevole dell’anziano sacerdote mentre  aiutava  il bambino, fiero del suo servizio all’altare.

Dopo la Messa sono stato invitato a bere il caffè nella cucina della casetta attigua alla cappella. In una stanza, mi sembra di tre metri per cinque, mi sono trovato con una ventina di persone grandi e piccole, maschi e femmine, nipoti e pronipoti e adesso anche pro-pronipoti di Papa Roncalli, che si ritrovano liberamente nella casetta di nonna Pina, regina senza stellette, come avveniva un tempo nella casa di Marina, mamma di Angelo. Mentre bevevo il caffè, mi divertivo a guardarli. Si spostavano tranquillamente a parlarsi e a risolvere i loro impegni giornalieri. Cercavo di  ritrovare in loro qualche tratto del volto di Papa Giovanni.

Ora, scrivendo, mi sembra di rivivere un sogno… Prima la celebrazione della Santa Messa in quel luogo e vicino a un pro-pronipote alto una spanna e insieme all’anziano sacerdote, come nei tempi passati. Poi quella famiglia, difficile a contarla, che respira pacatezza, riposante anche per chi ha la gioia di osservarla.  Non mancheranno le difficoltà, certo, ma famiglie così, col cuore pacato e aperto, restano sempre l’ideale migliore.

Vorrei anche augurare a tanti la fortuna di arrivare in quel luogo e di ricevere il dono che Dio fa ai pellegrini, cioè di lasciare casa e impegni quotidiani per salire un po’ tra i boschi, concedersi un’ora di riposo spirituale, ritrovare la serenità della preghiera, pace del cuore, e risentire la carezza di un uomo che tanto ha amato Dio e l’umanità.

L’arcivescovo Delpini e la “baraka”

Bellissimo il senso della benedizione dell’arcivescovo Mario Delpini. Nella lettera pastorale per l’anno 2018-2019, ai cristiani impegnati in politica, nelle amministrazioni e nella società, l’arcivescovo dice: «La proposta cristiana si offre come una benedizione, come l’indicazione di una possibilità di vita buona che ci convince e che si comunica come invito, che si confronta e contribuisce a definire nel concreto percorsi praticabili, persuasivi con l’intenzione di dare volto a una città dove sia desiderabile vivere». «La dottrina sociale della Chiesa, il magistero della Chiesa sulla vita e sulla morte, sull’amore e il matrimonio, non sono una sistematica alternativa ai desideri degli uomini e delle donne, ma – evidenzia – sono una benedizione».

Di solito si dice “benedizione” l’invocazione della grazia e del favore di una o più divinità su qualcuno o qualcosa. Per estensione, è un’invocazione di bene per qualcuno o qualcosa. Qui l’arcivescovo estende il senso della benedizione come segno, mezzo dell’amore, del dono, dell’azione di Dio attraverso la vita, l’azione e l’insegnamento della Chiesa e la pratica dei cristiani.

Mi è piaciuto sentire la parola benedizione pronunciata in quel testo e mi ha ricordato quello che mi disse una signora araba, i primi giorni del mio vivere in Algeria, quando gli raccontavo che venivo dal Camerun dopo tanti anni di vita missionaria per restare coi musulmani in Algeria: «Ma’za:lt elbara.ka!», ovvero «La benedizione non è finita!». Sentivo la gioia di essere accolto e riconosciuto dentro una mentalità di fede. Nel mondo arabo la baraka è intesa come una misteriosa forza sacra e benefica che emana da persone ritenute sante, oppure da oggetti o luoghi, o insegnamenti considerati sacri, e arreca grazie d’ordine materiale a coloro che tocchino quelle persone o cose, o anche indirettamente vengano con esse a contatto. La mia presenza in Algeria era considerata una benedizione da tanti amici musulmani.

Penso che l’arcivescovo continuerà a dire e a spiegare il suo pensiero sulla benedizione-baraka, dono di Dio, della dottrina della Chiesa e di quanti l’ascoltano e «vivono percorsi praticabili, persuasivi con l’intenzione di dare volto a una città dove sia desiderabile vivere». La baraka che pioverà sulla “città dalle genti” di Milano sarà che «nessuno si sentirà straniero o non supportato. Si avrà la benedizione di imparare ed ascoltare lingue difficili… quelle dei cittadini del futuro che ci aiuteranno ad allargare i nostri orizzonti e il nostro pensiero».

A Bari, incontro a porte chiuse ed ecumenismo di popolo

Vittoria Prisciandaro nella rivista “Credere” dell’8 luglio 2018, presentando l’incontro ecumenico di Papa Francesco coi Patriarchi e i capi religiosi cristiani, ricorda che nel 1054 si tenne a Bari un concilio per tentare di riannodare il dialogo tra latini e greci. San Nicola, quindi, patrono di Bari, ha alimentato la vocazione ecumenica nella Chiesa da tanto tempo e continua ancora oggi.  Il  21 maggio 1917 la reliquia è andata in pellegrinaggio a Mosca. È stato un evento di popolo senza precedenti: due milioni e mezzo di pellegrini. Il Patriarca Kiril ha dichiarato: «Davvero Bari è il centro che unisce Oriente e Occidente». Ora Papa Francesco, presente a Bari, vive anche un momento a porte chiuse. Quale dialogo? Quale tema privato? Forse si deve pensare che l’ecumenismo procede col proprio ritmo, col suo metodo, coi suoi segreti. Come quando Papa Francesco incontrò il Patriarca Kiril a Cuba. Ma sappiamo che mentre il Papa incontra a porte chiuse, fuori il popolo accompagna l’evento invocando il Principe della Pace. L’ecumenismo è cammino di Chiesa.

Mimmo Muolo, in “Avvenire” dell’8 giugno trae dai discorsi del Papa la volontà della Chiesa di farsi voce di chi non ce l’ha, contro l’indifferenza di chi non vede le lacrime del Medio Oriente e invita i membri delle Chiese a unirsi, a mettersi insieme, a pregare, ad agire e chiede che la solidarietà possa essere approfondita. L’unione dei cristiani è il più grande dono da ottenere e da realizzare per la pace e la vita del mondo. C’è da aspettarsi di risentire quanto affermava e scriveva con coraggio negli anni Quaranta, l’apostolo dell’ecumenismo, padre Paolo Manna, del Pime, nel suo libro: I Fratelli separati e noi: «L’unione sarà fatta quando i fratelli, ora divisi, si saranno riconosciuti e nei loro cuori avvamperà di nuovo l’amore».

Paolo VI e Athenagora vivevano l’ecumenismo dell’amore. Suor Maddalena, Piccola Sorella di Gesù, incontra a Tre Fontane il Patriarca Athenagora e questi le chiede: «Come sta mio fratello Paolo VI?».  Poi Athenagora racconta: «Siamo caduti (sic), le braccia dell’uno nelle braccia dell’altro, l’anima dell’uno nell’anima dell’altro. Ci hanno chiesto. “Quante volte?” Risposi: “Quando due fratelli si incontrano dopo nove secoli, gli abbracci non si contano!”. E in che lingua parlavate? Risposi: “Dopo nove secoli, è il cuore che parla… ed è inesprimibile!”».

Ora Papa Francesco parla dell’ecumenismo della sofferenza, del sangue: «Come il sangue dei martiri è stato seme di forza e di fertilità per la Chiesa, così la condivisione delle sofferenze quotidiane può divenire strumento efficace di unità».

 

 

 

 

Preghiere per i ragazzini thailandesi intrappolati in una grotta

Mentre tutto il mondo segue col fiato sospeso l’evolversi della situazione dei 12 ragazzini rimasti intrappolati nelle grotte di Tham Luang, gli sforzi fisici dei soccorritori sono accompagnati da una nuova ondata di spiritualità.

«Diversi rappresentanti della minoranza tribale lisu  – si legge sull’Agenzia AsiaNews – si sono recati presso l’entrata delle cavità sotterranee; hanno cantato e sacrificato polli e maiali in un’offerta al fiume e agli spiriti della foresta, implorando il ritorno sicuro dei ragazzi. “Stiamo chiedendo perdono per le cose che abbiamo fatto male, chiedendo loro (gli spiriti) di rilasciare i bambini”, ha dichiarato Anucha Poorirucha, 44 anni, capo villaggio della vicina provincia di Pai.

Più tardi, un eremita – conosciuto in tailandese come “reusee” – è stato visto in piedi immobile e silenzioso su una strada vicina, mentre i fedeli delle diverse religioni della nazione continuano a convergere presso le grotte. Riti d’offerta sono stati eseguiti nelle case, scuole e nei templi di tutto il Paese. Il Patriarca supremo, capo del clero buddista, ha invitato la Thailandia ad unirsi in preghiera per la salvezza della squadra. Cantando brani del Vangelo, diversi cristiani sono giunti a Tham Luang. Ai musulmani di tutta la nazione è stato chiesto di dedicare le preghiere del venerdì ai ragazzi dispersi».