In terra d’islam come Maria

Il mistero della Visitazione di Maria a Santa Elisabetta è il più vicino alla situazione del cristiano che vuol incontrare i musulmani e vivere tra loro.

Lo ritroviamo nella testimonianza di Jean-Pierre Flachaire, priore titolare del Monastero Notre Dame dell’Atlas (Marocco), così come alcuni scritti di Charles De Foucauld, di Christian de Chergé e di altri. Celebriamo così il centenario della morte di De Foucauld e il ventennio della morte dei monaci di Tibherine.

«Sulla montagna che sovrasta Tibherine – scrive père Flachaire – in un punto elevato, ben visibile da tutta la regione e che domina il monastero e i dintorni è posta la statua di Notre Dame dell’Atlas. Essa viene da Stateli, primo monastero trappista stabilito in Algeria tra il 1843 e il 1904. Si racconta che padre de Foucauld, che ha vissuto qualche tempo a Stateli, abbia pregato davanti a questa statua. I primi fratelli dell’Atlas hanno dunque collegato molto presto padre de Foucauld, la statua, il mistero della Visitazione che gli era caro e il loro motto.

Nell’omelia del 31 maggio 1993, Christian de Chergé, responsabile del monastero di Tibherine (Algeria) e ucciso nel 1996, precisa che i primi monaci dell’Atlas hanno fatto di questa festa la loro festa “quasi patronale”. Sappiamo infatti che si trattava già di un’intuizione di padre de Foucauld. L’eremita di Tamanrasset, dunque, è il primo ad aver capito che questo “mistero” è quello che dobbiamo vivere in terra d’islam.

Il motto dell’Atlas è “Un segno sulla montagna”. Sullo stemma del monastero, il segno è la croce, sulla cima delle montagne dell’Atlas. Ma nell’angolo sinistro dello stemma, più discreta, c’è la stella, stella che rappresenta Maria. «I nostri primi fratelli, invece di tenere per loro dentro il monastero la statua che proviene da Stateli, dopo meno di un anno dal loro arrivo a Tibherine, sono andati a metterla sopra una base di cemento alta quattro metri, in cima alla montagna. E Maria fu davvero per loro il “nuovo segno sulla montagna”. Non Maria da sola, ma Maria con Gesù. Non Gesù in braccio a Maria, ma Gesù nel grembo di Maria. La statua di Notre Dame dell’Atlas infatti – cosa rara – è una Vergine incinta con sulla cintura la testa di un angioletto. Maria che porta Gesù, Maria nella sua Visitazione, di fretta, verso “l’altro”».

I sette monaci sono stati rapiti l’indomani della festa dell’Annunciazione, il 26 marzo 1996 e i loro resti, le loro teste, sono stati ritrovati la vigilia della festa della Visitazione, il 30 maggio 1996. Sono rimasti nascosti durante tutta la vita, ma ancora di più durante gli ultimi 56 giorni, come nel grembo di una madre. Dopo, è la  testimonianza del dono della loro vita per amore che fu segno, il trasalire capace di svegliare una moltitudine di Magnificat, ovunque nel mondo e prima di tutto tra “gli altri” nell’Islam”.

De Foucauld è stato un esempio di vita mariana ardente. Il mistero di Maria a Nazareth e il mistero di Maria nella Visitazione diedero volto e contenuto alla sua configurazione e dinamica spirituale. Nella Visitazione di Maria egli trova il modello di chiunque voglia viaggiare in tutto il mondo per portarvi il buon profumo di Cristo: «Questa festa – dice – è anche la festa dei viaggiatori. Insegnaci, o  Madre, a viaggiare come viaggiavi tu, nell’oblìo assoluto delle cose materiali, con lo sguardo dell’anima incessantemente fisso sul solo Gesù, che portavi nel tuo seno contemplandoLo, adorandoLo, in continua ammirazione verso di Lui, passando in mezzo alle creature come in sogno, vedendo tutto ciò che non è Gesù come in una nebbia, mentre Lui brillava, scintillava, risplendeva nella tua anima come un sole, abbracciava il tuo cuore ed illuminava il tuo spirito… ».

Nel mistero della Visitazione frère Charles scopre un contenuto di vita, che irradia di significato anche le nostre Comunioni Eucaristiche: «Questa festa benedetta della Visitazione –  scrive – è anche la festa di noi tutti privilegiati, favoriti, fortunati che possiamo comunicarci: è la festa di Maria che porta Gesù con sé, come noi dopo la Santa Comunione. O Madre diletta, tu che portasti Gesù così bene, insegnaci a portarlo dentro di noi quando ci siamo comunicati, sia quando l’abbiamo ricevuto che sempre. Egli è dentro di noi come era dentro di Te col suo corpo; sempre è dentro di noi come lo fu anche dentro di Te con la sua essenza divina… Insegnaci a portarlo col tuo stesso amore, col tuo raccoglimento, con la tua contemplazione, con la tua adorazione continua, onorandolo con quella corona di tutte le virtù con la quale tu Gli fai come un letto di fiori nell’anima tua…».

Christian scrive: «Negli ultimi tempi mi convinco che l’episodio della Visitazione è il vero luogo teologico-biblico della missione nel rispetto dell’ “altro” che lo Spirito ha già investito. Mi piace la frase di Sullivan (in Matinales) che riassume tutto ciò: Gesù è ciò che accade quando Dio parla senza ostacoli nel cuore di un uomo. Cioè: quando Dio è libero di parlare e di agire senza ostacoli nella rettitudine di un uomo, quest’uomo parla ed agisce come Gesù: c’era da aspettarselo! Prova ad essere “senza ostacoli”, vedrai che non smetterai di stupirti…di eucaristizzarti…(hum!è poco eufonico!)».

Vent’anni prima di donare la vita per colui che gliela prendeva, Christian aveva già le idee chiare, forse anche definitive, su ciò che deve essere la presenza della Chiesa in terra d’islam.

Per la professione semplice di frère Philippe, il 31 maggio 1989 esprime: «Ecco Maria, giovane professa (il cui sì è ancora fresco!). Si lancia per  strada verso la montagna per fare il noviziato della maternità universale… Maria col voto di portare Cristo in sé, fuori di casa, come noi. E di servire umilmente perché lo Spirito faccia trasalire il figlio di Dio ancora in gestazione in “ogni altro”. Hai già conosciuto questa cosa – dice Christian a Philippe -: basta esserci, essere lì con tutta la fiducia, perché “l’altro” si apra un po’ di più. E avverti che l’islam può rivelarsi, nel suo legame con Cristo che vorresti portargli, a condizione che tu gli offra, grazie ad una Visitazione permanente, un cuore disponibile all’impossibile che ci viene da Dio».

In Marocco, il mistero della Visitazione è contemplato allo stesso modo da tempo. Albert Peyriguère – l’eremita di El Kbab – uno dei primi discepoli di padre de Foucauld, ne parla spesso nei suoi scritti.

Charles-André Poissonier, francescano, eremita a Tazert, ha chiamato il suo eremo,eremo della Visitazione.

Padre Abd-el-Jalil, marocchino divenuto cristiano, poi francescano, professore all’Institut Catholique di Parigi per trent’anni e amico di Paolo VI, ha scritto pure lui: «Uno sforzo eroico di testimonianza viva da parte dei cristiani che “operano la verità nella carità” è oggi  più necessario che mai. Il mistero mariano da viver accanto ai musulmani è per eccellenza quello della Visitazione».

E per finire, Padre Voillaume, soltanto qualche settimana prima di morire: «Portare Cristo in sé, per portarlo al mondo islamico».

Se l’Atlas in Algeria è un “segno” che permane, lo stesso segno resta da portare ancora ovunque nel mondo, fino al ritorno definitivo di Cristo. Nell’attesa, Maria e noi con lei, dobbiamo continuare a visitare “l’altro” perché possano esplodere nuovi Magnificat, perché insieme con “l’Altro” possiamo “scavare il nostro pozzo” e trovarvi “l’acqua di Dio”.

Charles De Foucauld testimone attuale

24Charles De Foucauld (1858-1916), ucciso il primo dicembre del 1916 a Tamanrasset (Algeria) e beatificato il 13 novembre 2005 da Benedetto XVI, è stato testimone del Vangelo tra i tuareg del Sahara per imitare la vita nascosta di Gesù di Nazareth. Fino all’ultimo sperava che qualcuno si unisse a lui, ma nessuno lo raggiunse. Dopo la morte, la sua testimonianza cristiana e il suo carisma sono stati un giardino fecondo in cui sono fiorite dieci congregazioni e otto associazioni di vita spirituale. Alcune hanno delle presenze in Algeria.

Padre Giovanni Rizzi, nel suo libro Il ritorno di Elia (Il pozzo di Giacobbe, 2011), dice: «De Foucauld trovò nella fedeltà alla sua specifica vocazione, nel suo amore a Cristo e per i tuareg del Sahara la ragione del suo vivere e della sua speranza, una speranza ormai purificata dalle illusioni, dalle ideologie e anche dai progetti pastorali. Previde e assistette anche nel fallimento delle sue iniziative, ma avvertì che la fecondità della sua vita era nelle mani di Qualcuno, che le dava un senso a lui ancora ignoto. La sua morte è un fallimento solo per coloro che non conoscono la vita come risposta a una vocazione specifica da parte del Signore Gesù».

Il card. Kasper attualizza Charles De Foucauld per la Chiesa d’oggi e scrive: «De Foucauld mi sembra interessante come modello per realizzare la missione del cristiano e della Chiesa non solo nel deserto di Tamanrasset ma anche nel mondo moderno: la missione tramite la semplice presenza cristiana, nella preghiera con Dio e nell’amicizia con gli uomini. Egli portava Gesù tra “coloro che non lo cercavano”. La situazione dei tuareg dell’Algeria è simile a quella dei nostri contemporanei nella realtà umana, ovvero alla nostra stessa situazione, anche se esteriormente la differenza è eclatante; da loro si tratta di povertà materiale, da noi di povertà spirituale. Il deserto è certo diverso. Ma il punto comune consiste nel fatto che né loro, né noi siamo veramente “a casa” in nessun luogo; siamo in cammino, siamo nomadi. Charles è una figura luminosa, e può essere anche un valido contrappeso di fronte al pericolo di un imborghesimento e di una noiosa banalizzazione della Chiesa».

A Beni Abbes nel deserto e a Tamanrasset sui monti dell’Hoggart, lo senti ancora vivo e lo vedi a dialogare, a scrivere e a pregare, totalmente immerso nel mistero divino e umano del Signore. È là che maturò la sua esperienza di adoratore di Dio, di fratello universale.

Solo come fratelli il Cielo ci accoglierà

Il cardinale Pietro Parolin ha espresso il desiderio di Papa Francesco di coinvolgere anche i musulmani nel Giubileo della Misericordia: «Il Papa vuole che il Giubileo serva alle persone per incontrarsi, comprendersi e superare l’odio. Dopo gli attentati, questa finalità esce rafforzata. Riceviamo la misericordia di Dio per adottare questo atteggiamento verso gli altri. La misericordia è anche il più bel nome di Dio per i musulmani, che possono essere coinvolti in questo Anno santo, come l’ha voluto il Papa».

Sharazade Houshmand, teologa musulmana, accoglie senza esitazione la proposta: «Certo che è possibile, proprio sulla base del fatto che il nome per eccellenza del Dio del Corano è Misericordia. Anche nell’islam ci sono dei momenti in cui si dice che le porte del Cielo si aprono maggiormente. E ciò avviene, per esempio, negli ultimi giorni e nelle ultime notti di Ramadan. Dopo il digiuno, dopo la preghiera, dopo le notti passate nella richiesta di perdono a Dio, si dice che le porte del Cielo sono ancora più aperte e chiunque può essere perdonato. In questa ottica religiosa, si può benissimo accogliere la proposta dei nostri fratelli cristiani».

Sono parole che scendono in un contesto difficilissimo per il mondo islamico, dopo molti attentati che portano la firma del grido Allah akbar!.

«Il Giubileo deve essere aperto a musulmani perché saranno gli stessi musulmani a proteggere i loro fratelli cristiani». E a proposito di Allah akbar la teologa precisa: «Non significa che Dio è grande. Significa che Dio è sempre più grande di ogni visione e ogni comprensione. Significa che nessuno può afferrare Dio, ma siamo tutti in cammino e uno accanto all’altro e solo con la misericordia reciproca possiamo avvicinarci di più a Dio».

Preghiamo per poter chiamarci “fratelli” come ormai cominciano a dire anche alcuni musulmani. Solo come fratelli il Cielo ci accoglierà.

Le lettere di fratel Charles a donne consacrate

In quest’anno, in cui si celebra il centenario della morte del beato Charles de Foucauld, siamo invitati a rileggere i suoi scritti che ci fanno entrare nei suoi pensieri profondi, nella sua passione di amore e di imitazione di Gesù per essere anche noi sua immagine, lasciarlo vivere in noi e continuare così la sua vita. Nel corso della sua vita, il beato Charles ha scritto migliaia di lettere a laici sacerdoti e religiosi. Alcune di esse sono state indirizzate a donne consacrate: monache, religiose e laiche.

Le Discepole del Vangelo hanno pubblicato il libro Lettere a donne consacrate: madri, sorelle, figlie (Glossa Edizioni, 2015) che contiene una scelta di lettere rivolte a religiose e laiche. Nella presentazione del libro, il vescovo del deserto della diocesi di Ghardaia (Algeria) scrive: «Il lavoro è stato fatto in uno spirito di collaborazione comunitaria che è esso stesso un bell’esempio di collaborazione di donne impegnate nella vita comune alla sequela di Gesù. La corrispondenza di Charles de Foucauld è, in effetti, abbondante, varia e suscettibile di ispirare numerose forme di impegno, sia che si tratti della vita contemplativa o apostolica, sia che si tratti di una semplice esistenza laica vissuta nel cuore del mondo. (….) Queste lettere ci mettono davanti all’essenziale della vita cristiana: far splendere l’Amore con il quale Gesù ci ama».

Leggiamo un passo della lettera scritta a suor Saint-Jean du Sacré Coeur: «Per essere interamente distaccata da voi stessa per dimenticarvi totalmente di voi e per agire in tutto per la più grande gloria di Dio, il mezzo migliore, mi sembra, è di prendere l’abitudine di chiedervi, in ogni cosa, ciò che Gesù penserebbe, direbbe, o farebbe al vostro posto e di pensare, dire, fare, ciò che Egli farebbe».

Così il vescovo del deserto ringrazia le Discepole del Vangelo: «Grazie per questo lavoro comunitario perché ci danno l’occasione per fortificare in noi l’essere interiore affinché sia nel cuore di questo mondo, sull’esempio del “Fratello Universale”, l’espressione dell’Amore di Dio per ogni persona».

L’integrazione possibile

Nella rivista Coscienza (1-2016) trovo un articolo scritto da Maria Adele Valperga Roggero che desidero riproporre agli amici per imparare ad accogliere e a valorizzare le diversità.

«L’esperienza (del Meic di Torino) di questi anni con le amiche e gli amici musulmani ci dice che possiamo abbattere i muri di ostilità e di giudizio stereotipato verso chi appare diverso. È possibile far sì che la comunità cristiana non si occupi di immigrati solo in termini caritativi, ma sviluppi un autentico atteggiamento di dialogo alla pari con chi vive la fede chiamando Dio in modo diverso, così da condividere l’urgenza di annunciare valori spirituali e autenticamente umani in un mondo appiattito su successo, danaro e beni materiali. Dobbiamo allora continuare a far emergere sempre di più l’islam mite che la gran parte delle famiglie vive, smascherando l’aggressività violenta di ideologie che si dichiarano rappresentanti dell’Islam autentico e accompagnando la nascita di un islam europeo in grado di distinguere tra fede e tradizioni culturali dei Paesi di origine, di far propri e di educare le nuove generazioni ai valori più autentici che sono alla base della cultura europea: la laicità dello stato e delle sue leggi, la libertà di coscienza e di religione, il rispetto dei diritti dell’uomo, la parità fra uomo e donna. È un compito gravoso, con molte difficoltà, ma il dialogo e la collaborazione paziente e rispettosa restano la via maestra da percorrere con fiducia».