Il Pime dentro la Chiesa diocesana

Il 25 novembre 2016, Papa Francesco ai partecipanti alla 88a Assemblea generale dell’Unione Superiori Generali (USG) ha ribadito che «i religiosi si sentano appieno dentro la Chiesa diocesana ed è importante condividere la spiritualità dei fondatori con il clero diocesano come fonte di arricchimento spirituale per tutti».

È un dovere che ci viene ricordato e domandato avendo noi del Pime un fondatore come il Servo di Dio Angelo Ramazzotti che unì “missionarietà” e “diocesaneità”, e che trasmise anzitutto a noi del Pime questa caratteristica vitale per la Chiesa e che volle anche per i sacerdoti diocesani.

Nato il 3 agosto 1800 a Milano, avvocato nel 1823, ordinato sacerdote nel 1829 e Superiore degli Oblati di Rho, vescovo a Pavia il 30 giugno 1850, fondatore del Seminario per le Missioni Estere il 30 luglio 1850, Patriarca di Venezia nel 1858, organizza la prima spedizione delle Suore della carità (Suore di Maria Bambina) in Bengala e delle suore Figlie della Carità (Canossiane) a Hong Kong. Muore il 24 settembre 1861, tre giorni prima di poter ricevere la berretta cardinalizia dalle mani del Beato Pio IX.

Nella sua prima lettera pastorale alla Diocesi di Pavia, tra i tanti argomenti trattati, ecco la sua particolare attenzione agli operatori della carità e ai poveri: «O voi adunque che desiderate davvero che tanti orfani abbandonati trovino un padre, che tanti poveri genitori possano dire ogni giorno ai propri figli: Eccovi anche per oggi un po’ di pane; e voi principalmente, o poveri di Gesù Cristo, o cari poveri, che tanto potete sul cuore di Dio, pregate il Padre comune… che non lasci giammai venir meno tra noi lo spirito della cristiana Religione, alla quale sola dobbiamo grazie se trionfa tra noi la Beneficienza e la carità».

«Grande anima di sacerdote perfetto, di apostolo evangelico, di prelato insigne della Chiesa di Dio». Con queste parole il patriarca cardinale Angelo Roncalli (San Giovanni XXIII) definiva il Servo di Dio Angelo Ramazzotti, suo predecessore nella cattedra di San Marco a Venezia, delineando il profilo spirituale di un pastore profondamente radicato nel suo popolo e generosamente aperto al mondo.

Tutta la famiglia del Pime, missionari, parenti, associazione Padrini e Madrine, e amici “pimini” dichiarati e anonimi, tutti siamo invitati a cogliere questa nuova responsabilità missionaria.

Lutero oggi

Il cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Consiglio pontificale per la promozione dell’unità dei cristiani, ha presentato il “finale” del dialogo tra cattolici e protestanti come una “polifonia”, «una comunione delle differenze riconciliate» su «una base comune della Parole di Dio».

Si era tenuto un concerto il 16 novembre 2016 a Trento nel contesto di un incontro ecumenico per i 500 anni della Riforma. Organizzato dall’ufficio dell’ecumenismo della Conferenza episcopale italiana (Cei) in collaborazione con la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia ed era avvenuto nella Chiesa di Santa Maria Maggiore che all’epoca del Concilio di Trento era stata la sede delle discussioni Teologiche che poi hanno portato alla divisione delle Chiese.

Noi abbiamo fatto passi importanti, continua il cardinale seguendo la metafora musicale, anche se «la cacofonia del passato non può essere trasformata in una sinfonia armoniosa. La ricerca teologica e il dialogo ecumenico hanno segnato una “svolta nella comprensione della figura di Lutero». «Diabolizzato per secoli, Lutero è ora considerato come un “uomo religioso”, un “testimone” di Cristo che non voleva costruire una Chiesa riformata, ma voleva cominciare una riforma, un rinnovamento evangelico di tutta la Chiesa. Oggi parliamo di una nuova evangelizzazione».

Il cammino difficile dei cristiani può oggi diventare migliore col nuovo sguardo di “Ogni Altro”, che Dio può darci accogliendo divergenze e somiglianze.

 

Ricordando don Mario Bortoletto

La diocesi di Ebolowa (Camerun) ha aperto la causa di beatificazione di don Mario Bortoletto, fidei donum della diocesi di Treviso, poi associato al Pime.

Mi commuovo perché don Mario è come un fratello, avendo condiviso tanto cammino missionario con lui e con la sua famiglia. Ora lo vedo ancora più vicino a tanti amici fedeli al Vangelo e che daranno lode a Dio per i doni dati a lui e ai quali aveva corrisposto. Desidero che tanti amici possano unirsi a quanti l’hanno conosciuto per godere della gioia profonda che ci dà Dio col suo amore di santità.

Quel mattino del 9 marzo 2009 nacque questa “Cartolina a don Mario Bortoletto” dal deserto dell’Algeria dove ormai mi trovavo.

«Caro don Mario, questa mattina sei andato in Paradiso. Sei stato il mio maestro durante le camminate nella foresta del Sud del Camerun per raggiungere i villaggi lontani. I primi tempi provavo invidia vedendoti l’idolo della gente, poi l’ho superata, sentendomi anch’io tanto amato. Penso che sei stato il più amato dei (e dai) missionari e ora tanto pianto, soprattutto dai tuoi ragazzi, diventati preti.  Non sapevi dire di no, soprattutto quando anche i più piccoli gruppi dei nuovi cristiani, ti chiedevano una cappella per poter pregare insieme. Quante ne hai costruite? Ora passi il tempo a visitarle, e a far sentire il tuo affetto. Non so se mi hai ascoltato quando ti ho chiesto di scrivere, racconti, proverbi, riti, perché eri come uno di loro e ne sapevi ormai più di loro. Ricordi quando ci hanno presentato gli spaghetti dentro una bottiglia di Pedro?

Continua Mario ad incontrare, a camminare, a stare insieme ai tuoi amici africani, col tuo tono da ragazzo allegro e scherzoso. Ci deve essere festa in Cielo, con tanto melamba (vino di canna da zucchero) e danze che non finiscono mai. E quando giocheremo a carte, ricordati che gli assi sono quattro e non di più. Ciao, sempre uniti anche nella preghiera. Arrivederci!».

 

Vivere da migranti

Sempre di più il discorso sullo straniero occupa le nostre conversazioni e preoccupazioni. Non è sempre facile, rispettoso o pacifico. Il fenomeno dell’emigrazione non è nuovo. Anche gli africani conoscono l’emigrazione all’interno dei loro Paesi.

Nel 1974 mi trovavo a Touloum (Nord Camerun ) in un momento di carestia. La gente non aveva niente da mangiare a causa della siccità dell’anno precedente. Qualche famiglia “vendeva” (meglio: affidava per sempre ai ricchi foulbé) il bambino o la bambina per un sacco di miglio. Vedevo i camion pieni di gente che si spostava verso sud (Ngaoundéré) in cerca di terre migliori. E lungo la strada di 300 chilometri, qualche mese dopo, vedevi nascere villaggi nuovi a destra e a sinistra.

Mi sono venuti in mente alcuni proverbi che avevo trovato nella cultura dei tupuri e dei guiziga del Camerun e del Ciad presso i quali ho vissuto tanti anni. Essi mostrano com’è la vita di un migrante.

Se trovi gente che danza o cammina a testa in giù, danza e cammina come loro.
Devi adattarti. Quando sei straniero devi rispettare le leggi che trovi e comportarti come chi ti accoglie senza opporti.

La terra straniera si affonda con te durante la stagione secca.
In realtà, durante la stagione secca non c’è pericolo di affondare. Ma se sei straniero puoi trovare delle cose che non conosci e che ti rendono difficile la vita. Fa attenzione e usa tanto rispetto. Non essere come un bambino che non sa. Si può anche accusarti di cose che non hai fatto.

Il verme parassita approfitta dello straniero.
I membri di famiglia dicono che mangiano meglio quando un ospite arriva, perché il padrone di casa normalmente uccide un animale per onorare il nuovo arrivato.

Lo straniero non beve l’acqua del sacrificio.
Lo straniero non partecipa dei momenti più importanti della famiglia in cui è ospite. È certamente ben accolto, ma la familiarità e la condivisione arrivano fino ad un certo punto, oltre il quale lo straniero non va.

Lo straniero beve l’acqua sotto il naso dell’ippopotamo.
Con questo simpatico proverbio si vuole dire cosa succede a uno straniero che, giungendo in una terra a lui sconosciuta, non vede dove stanno i pericoli e le insidie. Infatti, bere in acqua è pericolosissimo, perché non si vede l’ippopotamo mentre resta sott’acqua. È un invito a chiedere consiglio a chi è del posto, anche sulle cose più semplici, per non trovarsi in difficoltà.

L’ospite (straniero) non supera mai il padrone di casa.
Che sia ben chiaro: chi è del posto resta comunque colui che decide!

Lo straniero è come l’acqua dell’inondazione: passerà presto!
Non preoccuparti. Lo straniero se ne andrà. Oppure si integra.

Proverbi guiziga

Lo straniero è la rugiada.
La goccia di rugiada se ne va all’apparire del sole. Lo straniero non è venuto per restare. Ricco o povero che tu sia, pazienta un po’ e vedrai che l’ospite se ne andrà.

Il cane non solleva la coda in terra straniera.
In terra straniera non puoi gioire, parlare, difenderti come vorresti.

Il gallo non canta in terra straniera.
Quante volte uno deve tacere, accettare, mandar giù trattamenti difficili.

La gallina nuova non può andare d’accordo con la gallina vecchia.
La gelosia regna dappertutto e ognuno cerca di difendere il suo dominio.

La zanzara dice che non punge l’uomo morto.
Si ride sul musulmano che non mangia la carne di animale ucciso da un non musulmano.

Chi è ben educato non muore di fame.
Chi tratta bene gli altri sarà sempre trattato bene. In alcuni paesi chi lasciava la sua terra e arrivava in una nuova, perdeva anche i diritti di umanità. Si poteva fare di lui quello che si voleva. Non solo batterlo o derubarlo, ma anche ucciderlo.

Oggi siamo consapevoli della dignità e della cultura di ogni popolo, e possiamo e dobbiamo anche vigilare e fare tesoro della sapienza di ogni straniero. E non dimenticare quello che diciamo, pregando, nel salmo 146, 9: «Il Signore protegge lo straniero!».