Natale e anno nuovo in Camerun

In questi giorni di Natale e vicino all’anno nuovo, qui a Yaoundé (Camerun), due passioni mantengono attiva la mia persona: il pensiero e l’affetto. Sono  il ricordo vivo di Ambam, missione del gemellaggio di Treviso-Ambam- Pime, e il senso di famiglia del Pime all’interno del seminario di Yaoundé.

Rivivere in Africa dopo 50 anni dal primo arrivo (dicembre 1968) e sentire ancora la gioia  della gente quando  mi accoglieva, è constatare che l’esistenza è pienezza di relazioni, di gioia, di comunione profonda con tanti, con tutti. Mi sono anche impegnato a mettere insieme nel libro, La catéchèse du père Mario Bortoletto contestualisée et animée dans la culture ntumu, quanto è ancora vivo nella  memoria della gente che ha conosciuto don Mario Bortoletto, fidei donum di Treviso, missionario ad Ambam e a Ma’an, e ho aggiunto quanto ho vissuto anch’io, accanto a lui. Donerò il libro ai preti camerunesi nei quali don Mario aveva seminato i primi semi di fede, di amore a Dio e di chiamata al sacerdozio. Vivremo un bell’incontro il 7 gennaio a Ma’an accanto a don Mario, lì sepolto. Ricorderemo anche  padre Giovani Belotti del Pime, i preti, i catechisti, e i cristiani camerunesi che sono già in Paradiso.

Sul senso di famiglia del Pime nel seminario, vivo qualcosa in modo profondo e particolare. Mi si offre la possibilità di condividere la vita con 22 studenti africani di quattro nazionalità. Studenti  chiamati a essere missionari come me. I responsabili del seminario sono missionari, un tempo miei studenti. Ogni tanto, dentro e fuori dal seminario, mi sento dire: «Mio padre era catechista dove tu insegnavi». Oppure: «La tal suora (una delle prime di una nuova congregazione del Nord del Camerun) ha mandato i saluti a te, suo “papà”».

Insomma, mentre insegno “Storia” e “Spiritualità”, mi sento anche uno di famiglia di seminaristi e persone consacrate. Parte di questi studenti hanno sentito la chiamata dentro rapporti vissuti con i missionari. E ricordando questi missionari, sento che erano persone di dedizione e amore per la loro gente. La vita in missione è piena di rapporti vivi, affettuosi , familiari. Così sono nate alcune vocazioni. Qui a Yaoundé conosciamo quattro mamme che hanno un loro figlio con noi. Incontrandole sentiamo quanto amano i loro figli e come si sentano felici di condividere con loro la stessa passione per la missione. E il pensiero mi corre anche a Monza, dove arriveranno i nostri giovani e dove troveranno, assieme ai superiori, anche i “padrini” e le “madrine” e tanti fedeli delle parrocchie che vivono un senso di paternità e maternità nei loro incontri. So che il seminario è tanto amato e vive dentro rapporti di fiducia, stima e affetto da parte di superiori, formatori, amici e benefattori. In questo modo, il seminario, la formazione e l’insegnamento diventano condivisione di vita, di passione missionaria, nella famiglia missionaria, dove i giovani si sentono amati, accompagnati e incoraggiati a donarsi e a partire…

Cari amici, questa mattina ho visto le fondamenta del nuovo seminario assieme a padre Giuseppe Parietti, direttore spirituale, e a padre Graziano Michielan, rettore. Augurandovi l’anno nuovo benedetto dal Signore, vi invito a starci vicini nel nostro servizio con la preghiera.

 

 

Benedizione della prima pietra del seminario del Pime a Yaoundé

Padre Graziano Michielan, rettore del seminario filosofico “Angelo Ramazzotti” del Pime a Yaoundé, ha benedetto e posto la prima pietra del nuovo seminario lo scorso 7 dicembre. Erano presenti alcuni nostri vicini e rappresentanti dei seminari della zona che occupano ormai tutta la collina di Nkol Bisson, che potremmo chiamare “Piccola Roma”, perché molte congregazioni maschili e femminili di tutto il mondo hanno trovato nel Camerun un Paese accogliente e rispettoso delle differenze religiose. Oggi, il Paese soffre ancora di alcune situazioni e di dolorose divisioni. Speriamo e preghiamo…

Ho presentato il significato della celebrazione: «Se il Signore non benedice la casa, invano lavorano i muratori». Posiamo la prima pietra di un seminario alla lode e gloria di Dio.

Nelle letture appena fatte (Is. 30…), Dio ci ha mostrato i segni messianici del suo Regno tra noi e che saranno realizzate dal Servo Sofferente (Is 52…, 53…). Il Vangelo ( Mt 9…,10…) ci mostra Gesù, il realizzatore dei segni messianici.

Il nostro seminario è sulla stessa strada, dentro lo stesso Spirito. Esso prepara i servi e i compagni del missionario Gesù, annunciato dai profeti come il Servo Sofferente.

Il seminario è un luogo di studi, ma non solo. È un luogo di vita comunitaria e fraterna, vita di lavoro manuale, di preghiera, di condivisione con le persone che si incontrano negli altri seminari, per strada, nel servizio all’ospedale, in prigione, nelle parrocchie e nelle famiglie.

Il seminario avrà un cuore, la cappella. Meglio ancora, il Cenacolo con un altare, dove Gesù dirà: «Amatevi come io vi ho amati». Sullo stesso altare, Gesù si donerà ogni giorno con Maria, orante con noi. Sullo stesso altare, i seminaristi e i formatori continueranno a donarsi. E a donarsi per tutta la vita, con Gesù.

Padre Graziano ha concluso ringraziando quanti continuano ad amare il seminario presente in Camerun e ha anche invitato a pregare per i benefattori.

 

 

La guerra continua nelle zone anglofone del Camerun

Aperto il 30 settembre 2019, il grande dialogo nazionale si è concluso il 4 ottobre con la proposta di uno statuto speciale per le regioni anglofone. Essa, tuttavia, resta da definire in alcuni particolari malgrado le numerose critiche. Giunto in Camerun, il 14 novembre, trovo un clima di profonda attesa e sofferenza. Le carceri sono state svuotate di numerose persone implicate negli ultimi mesi. Ma si attendono nuove importanti decisioni.

Da tempo il cardinale Christian Tumi, arcivescovo emerito di Douala, si è dato da fare per una conferenza nazionale sulla situazione delle regioni anglofone che soffrono da anni e in cui, oggi ancora, si parla di «uccisioni quotidiane», come leggiamo in una recente intervista al cardinale, fatta da Jeune Afrique. Ciò che non è più sopportabile è l’imperante centralismo dello Stato concentrato nella capitale e l’iniqua diseguaglianza e l’ingiusta ripartizione dei diritti tra Nord e Sud del Paese. Il governo ritarda il vero dialogo, perché vi fanno parte persone che non vogliono cambiare la situazione. Il cardinale è accusato di tenere relazioni con secessionisti, mentre è favorevole al federalismo. Da un po’ è anche attaccato dai secessionisti per il suo spirito conciliante. È accusato anche di volere una dichiarazione di indipendenza, ma il suo obiettivo è il ritorno alla pace senza la quale, dice, «non possiamo fare il nostro lavoro di missionari».

Così il cardinale: «Quando le manifestazioni iniziarono nell’ottobre 2016, giunto nel mio villaggio a Kikaikelaki, a 300 km da Bamenda, presi conoscenza della nuova situazione già nel canto Ambazoniano che tutti cantavano e dell’ampiezza del fenomeno, della gravità. Il presidente Paul Bya avrebbe dovuto intervenire subito, la sofferenza avrebbe potuto essere evitata. Gli Amba Boys avevano già decretato la chiusura delle scuole. I servizi di sicurezza del Paese non sapevano niente. Quando i secessionisti volevano prendere le città di Buea e Bamenda, l’esercito è entrato in azione e ci sono stati molti morti. E la guerra è cominciata. Ho visto per terra dei corpi. La gente non poteva dare sepoltura perché l’esercito la prendeva per dei secessionisti. Oggi gli scontri e i morti continuano. La diocesi di Kumbo indica 78 villaggi incendiati, ora dall’esercito, ora dagli Amba Boys. Ho incontrato il prefetto di Kumbo che mi ha rimproverato di essermi recato sul posto: ” Potrebbe ricevere un proiettile vagante. Che cosa direi a Yaoundé (capitale…) se venisse ferito?”. Ho risposto che da quando sono vescovo, ho sempre vissuto lì le mie vacanze. Solo quest’anno non vi sono andato , perché la gente non sa più dove rifugiarsi».

Sulle promesse del presidente della Repubblica circa la promozione del bilinguismo, la creazione di un comitato di disarmo, la smobilitazione e reintegrazione dei secessionisti e lo smascheramento di gruppi ambigui, il cardinale non vede in atto iniziative concrete e pensa che quando arriveranno sarà ormai tardi. «Che il presidente si muova e vada a vedere!».

«Sette mesi fa ho chiesto di incontrarlo. All’invito di presentarmi, giunto alla presidenza, ho trovato  il direttore di gabinetto civile. L’ho ascoltato e gli ho detto di riferire che mi aspettavo di essere ricevuto meglio. Circa i rapporti tra Chiesa e Stato, un giorno un ministro mi disse: “Noi abbiamo paura di voi e voi avete paura di noi”. All’inizio della crisi, tre vescovi sono stati portati in giudizio e poi l’affare è finito lì. La patata era troppo bollente. La Chiesa del Camerun non è divisa sui punti dottrinali, ma divergiamo sulle questioni sociopolitiche».