Musulmani e copti e la visita di Papa Francesco a Milano

Il Papa ha detto: «Lo Spirito Santo è il Maestro della diversità. […] L’uniformità e il pluralismo non sono dello spirito buono: non vengono dallo Spirito Santo. La pluralità e l’unità invece vengono dallo Spirito Santo.Ci fa bene ricordare che siamo membri del Popolo di Dio! Milanesi, sì, Ambrosiani, certo, ma parte del grande Popolo di Dio. […] un popolo che non ha paura di abbracciare i confini, le frontiere; è un popolo che non ha paura di dare accoglienza a chi ne ha bisogno perché sa che lì è presente il suo Signore […].
Le sfide ci aiutano a far sì che la nostra fede non diventi ideologica. […] Le sfide ci salvano da un pensiero chiuso e definito e ci aprono a una comprensione più ampia del dato rivelato […]».

Le voci di musulmani e copti

Asfa MahmoudCasa della Cultura Islamica di Milano: «È la prima volta che ho potuto salutare personalmente il Papa ed è stato commovente. Il suo discorso, saggio ed equilibrato, per noi musulmani è importante. Il suo “no” al pluralismo e il “sì” alla pluralità rappresentano un’apertura al dialogo e anche alla collaborazione tra cristiani e musulmani».

Ahmed Abdel AzizMembro dei Giovani Musulmani d’Italia, responsabile politico del Caim: «L’incontro con una famiglia di musulmani residenti nel quartiere delle Case Bianche ha simboleggiato il riconoscimento di una parte della società: la comunità musulmana».

Yahya Sergio Yahe Pallavicinivice-presidente e imam della Co.Re.Is.: «Mi è piaciuto che tra i consacrati non ci fossero solo i cattolici, ma anche i rappresentanti di altre religioni tra cui i buddhisti, i musulmani e gli ortodossi».

Padre Shenuda Gergessacerdote copto, chiesa della Santa Vergine e Sant’Antonio Abate di Cinisello Balsamo: «Nella profondità semplice del linguaggio evangelico che sentiamo nelle parole di Papa Francesco troviamo un terreno comune in cui riconoscere e condividere i Frutti dello Spirito Santo, che come Sua Santità ha detto è il “grande Maestro dell’unità nelle differenze”».

Un nuovo vescovo per Ghardaïa

Mons. Claude Rault, ormai vescovo emerito della diocesi algerina di Ghardaïa, ben conosciuto  anche in Italia, comunica : «Da parecchi mesi eravamo in attesa e ora la notizia è giunta. Papa Francesco ha nominato padre John, il provinciale dei Padri Bianchi dell’Algeria e della Tunisia. Quando fui nominato vescovo nel dicembre 2004, padre John era a Ghardaïa  e mi accolse. Ora potrà dedicarsi presto al nuovo incarico. Che il Signore lo aiuti come ha aiutato me durante questi anni di servizio! Sarà fedele a questa “Grazia” e alla fiducia che gli è stata fatta. Conosce il Sahara, ama la sua popolazione, ama la nostra Chiesa diocesana. Ma vi confido pure che sono preso da un sentimento di tristezza per dovervi lasciare dopo un servizio di dodici anni che mi appassionava totalmente. Sento che il passaggio non sarà senza pena. I tre mesi trascorsi a Parigi durante la mia malattia mi hanno già fatto vivere “l’abbandono”, che ora posso vedere come benefico. In seguito… Dio vedrà! Ma vi assicuro che la gioia e la riconoscenza prevalgono. Posso pregare come il vecchio Simeone mentre accoglieva il Bambino Gesù nelle sue braccia: “Ora, Signore, puoi lasciare andare in pace il tuo servo”. Ringrazio quanti mi sono stati vicini in questa attesa, soprattutto quanti hanno collaborato con me e hanno continuato a lavorare durante la mia lontananza quando non ho potuto visitare la diocesi come volevo. Mi resterete vicini col cuore e con la preghiera come già molti mi hanno testimoniato. Vorrei ricordare anche gli amici musulmani, uomini e donne, che si sono sempre stretti vicini a me e coi quali abbiamo lavorato umanamente a immagine di ciò che Dio vuole per la nostra terra. Ovunque nella diocesi la vita continua. Restiamo fedeli nell’impegno della preghiera, dell’inculturazione e della manifestazione della carità di Dio. Continuiamo il cammino, seguendo Gesù che ci precede sempre presso l’altro, specialmente il più debole, il più piccolo, il più sprovveduto, il più lontano, il più ignorato. Che cosa mi resta? Solo il “grazie” a Dio per il dono del servizio con voi. Sono cosciente di non essere stato all’altezza di ciò che si attendeva da me. Chiedo perdono a chi ho ferito e offeso, forse senza saperlo, e vorrei partire a cuore leggero. Una nuova tappa per me, per voi e per padre John. Gesù è il cammino, seguiamo i suoi passi».

 

Il “grazie” a Sotto il Monte

Papa Francesco dice spesso: “Grazie”. «Sembra facile pronunciare questa parola – sostiene il Pontefice – ma sappiamo che non è così… Però è importante! La insegniamo ai bambini, ma poi la dimentichiamo! La gratitudine è un sentimento importante! Un’anziana, una volta, mi diceva a Buenos Aires: “La gratitudine è un fiore che cresce in terra nobile”. È necessaria la nobiltà dell’anima perché cresca questo fiore. Ricordate il Vangelo di Luca? Gesù guarisce dieci malati di lebbra e poi solo uno torna indietro a dire grazie a Gesù. E il Signore dice: «E gli altri nove dove sono?». Questo vale anche per noi: sappiamo ringraziare? Quante volte diciamo “grazie” a chi ci aiuta, a chi ci è vicino, a chi ci accompagna nella vita? Spesso diamo tutto per scontato! E questo avviene anche con Dio. È facile andare dal Signore a chiedere qualcosa, ma tornare a ringraziarlo è un dovere. Per questo nel brano di Luca notiamo il riferimento ai nove che non sono tornati».

I pellegrini alla Casa Natale di Papa Giovanni ringraziano e rinnovano la loro fede

Salendo le scale verso la Chiesa del seminario, prendendo la rampa a destra (o l’ascensore che è vicino alla portineria) si arriva di fronte alle porte della sala delle grazie. Tante foto documentano guarigioni  e pericoli scampati attribuiti all’intercessione di Papa Giovanni. Gli ex voto sono numerosi, particolarmente quelli nella stanza dove sono appesi centinaia di fiocchi rosa e azzurri che testimoniano la predilezione di Papa Giovanni per i bambini, accresciuta in cielo. Sposi che non potevano avere figli, ne hanno avuti in seguito a preghiere e voti al Papa della Bontà, parti difficili che si svolgono senza problemi ecc. Osservando tutti quegli ex voto, molte persone si domandano profondamente: «Chi sono? Da dove vengo? Dove vado? La vita sulla terra, la vita dopo la morte, l’aldilà, la vita nell’aldilà…». I messaggi e le testimonianze di guarigioni e di doni ricevuti dicono che il Cielo ci prende dolcemente per mano e ci conduce alla riscoperta dell’Amore grande del Padre per noi. Messaggi d’amore e riflessione. Le preghiere dettate dal Cielo, la preghiera al Padre, la preghiera alla Vergine Maria, la preghiera a Gesù, a Papa Giovanni, la preghiera all’Angelo Custode, ogni preghiera è preghiera di un’anima impegnata nel suo percorso di vita sulla terra. Camminare nella Casa Natale di Papa Giovanni è un percorso di crescita spirituale sulla strada dell’Amore.

 La fede col ringraziamento è vera fede.

Riflettiamo sulla nostra fede. La fede non è semplicemente un atto di buona volontà che si dimostra con atti religiosi esteriori magari vissuti controvoglia e magari motivati dalla paura del castigo o dall’aspettativa del premio finale. La fede è riconoscersi guariti da Dio, raggiunti dal suo amore, anche se non ci siamo meritati nulla. La fede è rispondere a Dio con la ricerca di una relazione sempre più stretta con Gesù, sentendo il desiderio di conoscerlo in quel che fa e dice. La fede è far prevalere in noi un sentimento di gratitudine che scaccia via paure e risentimenti, calcoli e giudizi. La fede è sentire che abbiamo sempre da dire grazie a Gesù, perché non ci meritiamo nulla, ma da lui abbiamo tutto gratuitamente. Ecco qui il senso della nostra preghiera: rendere grazie a Gesù di quello che siamo e di quello che abbiamo. E il grazie vero non è tale se non accompagnato dal sorriso e dalla pace del cuore. Fede è rendere grazie… E rendendo grazie ci impegniamo nell’amore.

 

Africa vicina

Anni 1960. A Treviso non vedevo per strada nessun “moro”. Così definivamo allora un africano. Vedevo l’ Africa nei giornalini missionari: bambini con pancioni come palloni o con costole in evidenza all’ombra di un albero, qualche capra attorno e, sotto una palma, il missionario con barba lunga e casco coloniale che battezzava un negretto. In alcuni negozi trovavi accanto al cassiere un salvadanaio col negretto che al cadere del soldino si inchinava per dirti grazie. Mi si scusi il tono scherzoso di raccontare un rapporto con l’Africa che invece contiene realtà più serie e importanti.

L’annuncio nel 1964 dell’arrivo a Treviso di un aereo carico di vescovi africani che venivano dal Concilio (Roma) per visitare le parrocchie della diocesi aveva messo in moto tutti, da chi si preparava ad accoglierne uno a chi cercava a tutti costi di poterli vedere e toccare. Si, toccare, come qualcuno diceva, io credo per scherzo, perché qualche domestica era preoccupata che non lasciassero nere le lenzuola. A parte l’aspetto esotico del momento, quell’avvenimento segnò una svolta della sensibilità missionaria della Chiesa trevigiana. I giovani della Lega Missionaria Studenti erano pieni di entusiasmo e di voglia di interessare la popolazione sulle situazioni e i problemi di cui erano carichi quei vescovi africani. Nacquero le mostre sulla lebbra e sulla fame nel mondo in piazza della borsa e nacque il gemellaggio di Treviso-Ambam-Pime. Cioè assunzione di una missione in Camerun in stretta col­laborazione di una diocesi con un istituto esclusivamente missionario.  Iniziativa di cui il Concilio aveva riaffermato la piena attualità e validità nella Chie­sa.

Anni 1971-2006. Vita missionaria nella foresta di Ambam del Sud Camerun e nella savana di Yagoua e Maroua del Nord.

Anni 2006-2016. Vita di presenza e di dialogo coi musulmani del deserto di Touggourt dell’Algeria e incontri di preghiera coi tecnici del petrolio e del gas a Hassi Messaud. Non solo visione dell’Africa dai giornali, ma vita di fraternità con gli africani cristiani, animisti e musulmani.

Anni 2017-….  Dopo la vita dentro la foresta, in savana e nel deserto, ora sono a Sotto il Monte presso la casa natale del santo Papa Giovanni ad accogliere i pellegrini di ogni lingua cultura religione, meravigliati che un tale uomo sia uscito da un piccolo e ignorato paese e sia diventato un esempio di fede e di bontà e  così sensibile alle  situazioni di tutta l’umanità.

L’ex seminario che Papa Giovanni aveva voluto accanto alla sua Casa natale, un tempo casa di formazione di missionari, ora ospita una settantina di migranti di vari paesi dell’Africa centrale. Appena arrivai dopo il mio rientro in Italia dall’Algeria, ho cercato di interessarmi dei migranti. La prima volta che sono entrato nella sala dove passano gran parte del loro tempo, ne vidi parecchi incollati, orecchi, dita, occhi, bocca, a telefonini di ogni genere.  Sentivo nella grande confusione le loro conversazioni, ognuno nella propria lingua o dialetto. Altri seguivano, sempre coi loro smartphone,  la visione di ogni genere di film accompagnati da musiche africane. Pochi erano usciti nel paese a cercare qualche bevanda o qualche cibo in ristoranti vicini.

15 giorni fa, la prima volta che mi hanno visto arrivare restavano indifferenti. Forse mi vedevano come un controllore o un intruso fuori dell’ordinario. Chiesi ad alcuni che capivano il mio francese o inglese se desideravano essere aiutati a leggere o a scrivere o a parlare. Dopo un po’ arrivò uno con il suo libro. Il ghiaccio era sciolto. Ora, quando vado, due o tre o sei di loro si avvicinano coi libri. Non è solo incontro di scuola, ma inizio di dialogo. Prendono il coraggio di parlare, raccontare, domandare e mi vedono come un “nonno” che si avvicina con semplicità e gioia. Meraviglioso il sorriso quando incominciano a dire le lettere dell’alfabeto italiano o a pronunciare la parola che indica un disegno. Ormai mi aspettano ogni giorno e stiamo diventando amici. Dopo quanto hanno patito, lasciando il loro Paese e prima di essere accolti in un centro, ora gioiscono nel sentirsi capiti e di trovare un po’ di calore umano. Ma restano preoccupati perché non hanno ancora i documenti per restare e non trovano  un lavoro.

Vario e meraviglioso  il cammino che sto facendo nella mia vita. Cercavo l’Africa. Ora gli africani li ritrovo a casa e vedo l’occasione di far con loro quanto facevo quando ero nel loro ambiente africano. Questo cammino dove ci porterà?  Nessuno lo sa, ma sono convinto che c’è qualcuno che pensa a noi. L’Africa non ci è più lontana e l’Italia avrà volti nuovi. L’importante è che si viva rispettandoci e che si resti aperti a un futuro migliore.