Quando è giorno

Diceva un saggio africano: «Passerai dalla notte al giorno, non quando nella penombra riuscirai a distinguere un cane da una pecora o un tipo di palma da un altro tipo di palma, ma quando in ogni persona che incontrerai, vedrai un fratello. Allora non è più notte… è giorno!».
«La notte è tanto brutta», diceva ogni mattina mio padre, venendo dal carcere dove prestava servizio.
La notte è solitudine, minaccia, paura. Il mondo è buio.
Il giorno è sole… colore, calore, luce, vita, gioia…
È bello al mattino, andando a celebrare la messa, poter incontrare quelli che escono da casa per andare al lavoro e salutarci col saluto più bello: «Salam aleikum!» («La pace sia con te»).
E mettiamo sempre la mano sul cuore. Perché è lì che ci si sente uniti.
È bello parlare col poliziotto dei suoi bambini, vederlo sorridere e sentire che è contento di te;
incontrare il marito abbandonato e dargli un po’ del tuo tempo; parlare con l’imam della moschea e dirci che ci si sente vicini nella preghiera; ascoltare il medico che ti dice: «Sento nel cuore un invito a cercare, a trovare…»; vedere la gioia del tecnico straniero che dopo la messa in una base petrolifera, nel deserto, decide di cambiare, di amare meglio sua moglie…
Cose semplici, che allargano il cuore. Allora ogni giorno è un giorno nuovo.
Il breviario mi offre questa preghiera: «Al mattino di questo nuovo giorno, tu Gesù, stella del mattino, risveglia in me il senso della bontà del tuo operato. Luce che si alza sul mondo, mostraci le tue volontà. Figlio amato dal Padre, ispiraci l’amore filiale e fraterno. Sorgente gorgogliante di vita, feconda il lavoro di questa giornata. Amico dei poveri e dei piccoli, rendici attenti alla loro domanda».

C’è chi parte ancora…

Ricevo le destinazioni delle partenze di quest’anno 2012. Il mio istituto, il Pime, continua a mandare missionari in tutto il mondo. Tra di loro, assieme agli italiani, ci sono giovani brasiliani, indiani, bengalesi. C’è ancora qualcuno che sa buttarsi e lasciare tutto.
Uno di loro mi scrive: «Con gioia ho appreso la notizia, in questi giorni, della destinazione per il Messico. Sono grato al Signore, per il dono della vocazione missionaria, e al Pime, che ci invia nella Chiesa a incontrare i popoli, testimoniando il Vangelo. Sento di far parte di una storia che affonda le sue radici molto lontano e di una famiglia di apostoli che ci ha preceduto, da cui lasciarsi provocare.
Buon cammino di missione, laggiù in Algeria. Ti ricordo nella preghiera»
Anch’io, Francesco, ti accompagno in preghiera con le parole di un inno francese:
«Chi si metterà in strada verso gli spazi immensi?
Chi prenderà Gesù come maestro e amico?
L’umile servo occupa il posto migliore!
Servire Dio fa l’uomo libero come lui».

Che cosa pensare dell’islam?

Dopo la cartolina “Khalti Colette”, L. mi scrive: “Non è un commento, ma una richiesta, il rapporto con l’ Islam che lei vive. E il suo parere su l’islam nei piani di Dio. Grazie una preghiera. L.”     Provo a rispondere.
Esco dalle piccole sorelle verso l’una del pomeriggio di un venerdì e camminando al centro di un quartiere, mi sento immerso dentro il frastuono di vari altoparlanti. I muezzin delle moschee del quartiere annunciano e invitano alla preghiera. È veramente impressionante. Il quartiere si è fermato. Le strade sono piene di uomini, tutti vestiti di bianco. Mi sento l’unico… quasi un intruso… una mosca bianca. E mi chiedo: «Che cosa faccio qui; come mi vedono?».
La cosa che mi fa pensare è questo senso di Dio, della preghiera, di una società così compatta.
Poi ti sorgono anche alcune domande: «È proprio preghiera? È una pratica solo formale?
E poi la vita, il lavoro…».
Ma quando accosti personalmente le persone, anche giovani, vedi un mondo con mille situazioni diverse, alcune veramente belle, sincere, altre meno. La stessa cosa la si può dire del mondo cristiano.
Il cardinale Carlo Maria Martini si domandava: «Che cosa pensare dell’islam in quanto cristiani? Perché Dio ha permesso che l’islam, unica fra le grandi religioni del mondo, sorgesse sei secoli dopo l’evento cristiani? Che senso può avere nel piano divino il sorgere di una religione in un certo modo così vicina al cristianesimo come mai nessun’altra religione storica e insieme così combattiva, così capace di conquista, tanto che alcuni temono che essa possa, con la forza della sua testimonianza, fare molti proseliti in Europa infiacchita e senza valori?».
A queste domande, diceva ancora il cardinale, ha già risposto il Concilio Vaticano II: «La Chiesa guarda con stima anche i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini… Se nel corso dei secoli non pochi dissensi e inimicizie sono sorti tra cristiani e musulmani, il Sacrosanto Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e ad esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e a promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e al libertà…». (Nostra aetate, n 3.)
E il card. Martini aggiungeva che l’islam è «una fede che avendo grandi valori religiosi e morali ha certamente aiutato centinaia di milioni di uomini a rendere a Dio un culto onesto e sincero ed a praticare la giustizia… In un mondo occidentale che perde il senso dei valori assoluti e non riesce più in particolare ad agganciarli ad un Dio Signore di tutto, la testimonianza del primato di Dio su ogni cosa e sulla sua esigenza di giustizia, ci fa comprendere i valori storici che l’islam ha portato con sé e che può ancora testimoniare nella nostra società”. (Noi e l’Islam, Centro Ambrosiano, Milano 1990, pp. 24-25).
A me che vivo in questo mondo musulmano giunge continuamente un invito e una speranza. L’uomo non può vivere senza Dio e l’uomo non può vivere solo. Come le campane e i campanili hanno per secoli ricordato ai cristiani come dare un senso spirituale a tanti momenti, così per i fratelli musulmani il pensiero di Dio, padre buono, sarà un aiuto a trovare anche il senso della giustizia e della fraternità universale.