I  monaci di Tibherine, martiri o santi per amore?

Oggi Papa Francesco ha istituito, con il motu proprio “Maiorem hac dilectionem“, una nuova “fattispecie dell’iter di beatificazione e di canonizzazione” (art. 1) volta a riconoscere l’esistenza de «l’eroica offerta della vita, suggerita e sostenuta dalla carità». Questo ci aiuta a riconoscere meglio quali siano i tratti del cambiamento d’epoca che stiamo vivendo.

Il “punto focale” di questa nuova via per la santità, infatti, è quello dell’offerta della vita “propter caritatem” (a motivo della carità): una fattispecie che permette di riconoscere una speciale configurazione a Cristo – e un corrispondente dono dello Spirito che la sostiene e la rende possibile – in situazioni nelle quali da parte dell’uccisore o del persecutore non vi è nemmeno l’intenzione di agire in odium fidei, ma semplicemente una tale mancanza di umanità, che arriva a sfigurare completamente in lui l’immagine di Dio. E davanti a questa situazione – di cui tanti tragici esempi abbiamo davanti agli occhi – la testimonianza dell’offerta della vita per amore è innanzitutto la via per dimostrare che la fede in Cristo ridona all’uomo tutta la sua dignità, capace di dire una parola nuova anche a chi è ormai divenuto insensibile alla stessa percezione della presenza di Dio.

Frère Christian, il priore, e i suoi confratelli, monaci di Tibherine, Luc, Christophe, Michel, Bruno, Célestin e Paul caddero «vittime del terrorismo che sembrava voler coinvolgere tutti gli stranieri che vivevano in Algeria», come scrisse nel suo testamento – un testo di pregnanza cristiana paragonabile a quella che emerge dagli Acta Martyrum dei primi secoli. I sette monaci furono gli ultimi di 18 religiosi e religiose vittime di una violenza cieca; dopo di loro cadde ancora il vescovo di Orano, il domenicano padre Pierre Claverie, assassinato assieme al suo giovane autista musulmano al ritorno da una celebrazione in memoria dei sette monaci dell’Atlas.

Eppure, ciascuna di queste vittime, così come ognuno dei pochi, umili, ma fieri cristiani rimasti in Algeria, a cominciare dall’arcivescovo emerito di Algeri, monsignor Henri Teissier, ha fatto proprio con la sua vita quanto scriveva ancora frère Christian nel testamento: «Sarebbe un prezzo troppo caro, per quella che, forse, chiameranno la “grazia del martirio” il doverla a un algerino, chiunque egli sia, soprattutto se dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l’Islam. So il disprezzo con il quale si è arrivati a circondare gli algerini globalmente presi. So anche le caricature dell’Islam che un certo islamismo incoraggia. È troppo facile mettersi a posto la coscienza identificando questa via religiosa con gli integralismi dei suoi estremisti. L’Algeria e l’Islam, per me, sono un’altra cosa: sono un corpo e un’anima».

Il documento del Papa invita a meditare sul senso del martirio, oggi.  Pensando ai martiri di Tibherine: il cristiano segue le orme di Gesù. Il martirio dei monaci è fedeltà a un popolo come quello di Gesù per l’umanità. Nell’ultima cena Gesù fece dono della vita, dono che visse poi sulla croce. Anche nei monaci ci fu offerta della vita e il sacrificio. Christian diceva: «Non sarà l’Emir Sayat a prendermi la vita, perché l’ho già donata».

Christian spinge il suo amore per il suo popolo fino a non volere che qualcuno sia responsabile della sua morte. Diceva: «Non voglio chiedere una tale morte. Voglio crederlo, professarlo. Non voglio e non sarei contento se questo popolo che amo potesse esser accusato del mio martirio».

Restare a Tibherine fu solo per fedeltà a quello in cui i monaci credevano, non una provocazione. Nel martirio ciò che è più importante non è la morte violenta, ma il dono della vita. Non è necessario un assassino, ma che ci sia un testimone di amore. E questa è la vocazione di ogni uomo, non solo del cristiano.

 

 

 

 

Al Azhar presenta un progetto di legge contro la propaganda estremista

Il primo luglio 2017 l’Osservatore Romano pubblica:  «Nessuna violenza in nome del Corano. È quanto ribadisce il testo di una proposta di legge, tesa appunto a contrastare le violenze e le propagande settarie compiute in nome della religione islamica, che in questi giorni gli studiosi dell’università di Al Azhar, principale centro teologico-accademico dell’islam sunnita, hanno sottoposto agli uffici della presidenza della Repubblica egiziana. Lo ha riferito lo stesso Ahmed Al-Tayyib, grande imam di Al Azhar, specificando che il progetto di legge punta nella sostanza a riaffermare la totale incompatibilità tra la violenza giustificata con argomenti religiosi e la legge islamica.

Il progetto di legge, approvato dagli studiosi di Al Azhar e successivamente presentato ai collaboratori del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, punta dunque a ridurre le manifestazioni di odio e di intolleranza promosse da gruppi estremisti e a riproporre il principio di cittadinanza come base di una convivenza pacifica tra connazionali appartenenti a diverse componenti religiose. Un tentativo di arginare soprattutto quelle ondate terroristiche che ormai ciclicamente investono e tendono a destabilizzare l’Egitto colpendo con particolare virulenza i fedeli della Chiesa copta, la più folta comunità cristiana del Medio oriente.
Il testo, riferisce l’agenzia Fides, evita di entrare nel dettaglio delle singole pene da infliggere a chi si rende responsabile di istigazione all’odio religioso e dei crimini a esso collegati, che andranno dunque specificate dall’organo legislativo. Tuttavia, numerosi osservatori ritengono come l’iniziativa abbia il palese obiettivo di esprimere una netta presa di distanze di Al Azhar nei confronti di teorie e propagande che in seno alla variegata comunità islamica giustificano l’odio e la violenza citando il Corano e facendo uso di argomenti a sfondo religioso».

 

 

Finito l’Isis, finirà anche il jihadismo?

Il cardinale Angelo Scola Arcivescovo di Milano, ha fatto un intervento su I segnali contradittori dell’islam contemporaneo al Comitato scientifico della Fondazione Oasis di cui è Presidente. Dall’articolo nel Corriere della sera di domenica 2 luglio, colgo alcune frasi.

«Il fenomeno del jihadismo non scomparirà neppure nel momento in cui venisse meno la sua dimensione territoriale in Siria e Iraq. Non va dimenticato che vi sono altre aree di crisi, come la Libia, in cui le formazioni jihadiste “persistono e si estendono”, per citare un loro slogan… Vorrei, a questo proposito, concentrarmi su due fenomeni: da un lato la crescente istituzionalizzazione dell’islam, per poter definire chi parla per i musulmani; dall’altro un inedito dibattito su che cos’è l’islam, stimolato anch’esso dalle efferate azioni dei gruppi jihadisti… Questo dibattito propone, a mio avviso, il tema della libertà… Sono contento di constatare che sempre più numerosi autori musulmani, di fede o di cultura, interloquiscono con Fondazione Oasis, certi che il metodo adottato – una volta l’ho riassunto nella formula “parlare con i musulmani, non sui musulmani” – sia l’unico in grado di leggere veramente la complessa situazione dell’Islam contemporaneo, decifrando i contraddittori segnali che esso lancia… Nel mio ultimo libro, Postcristianesimo, ho cercato di proporre alcune riflessioni, che stanno sotto il duplice segno del malessere e della speranza. Un malessere che, per singolare coincidenza con quanto sta avvenendo nel mondo islamico, è legato in larga misura proprio alla libertà, o meglio a una concezione ridotta della libertà, intesa come assenza di vincoli, strutturalmente opposta a un’autorità vissuta sempre come oppressiva… In ogni caso sono convinto che l’orrendo jihadismo, nella sua versione europea, resti più il tragico sintomo di una grave prova che un reale progetto alternativo. Esso sembra a me una forma di antimodernità…È anzi evidente che esiste un ampio lavoro di studio da fare per comprendere le radici culturali di questo fenomeno. Ma occorre liberarsi dall’illusione che, sconfitto il jihadismo, le società europee si libererebbero delle loro contraddizioni per entrare finalmente nella “fine della storia”. No, sconfitto il jihadismo, le società europee si ritroveranno con i loro problemi. O, per dirla in un altro modo, solo risolvendo i problemi generati da un liberismo soffocante le società europee saranno in grado di sconfiggere il jihadismo. Proprio per questo mi pare centrale ricercare una vera e propria alleanza con quanti, nel mondo musulmano, mettono oggi a tema la questione della libertà, senza rinunciare a declinarla in modo non relativistico e quindi mantenendola ancorata a un riferimento veritativo. È questa la vera alleanza che, anche come Oasis, dobbiamo cercare: non un’alleanza contro, ma per qualcosa, un’alleanza che passa attraverso i confini, che unisce e non divide. Papa Francesco, durante la sua visita a Milano, ha suonato  la “sveglia” e rinnovato il grande insegnamento del suo viaggio in Egitto, in particolare laddove ha affermato che “l’unico estremismo ammesso per i credenti è quello della carità”».