Il pane ci unisca

«Rimani con noi». Ed entrò per rimanere con loro. Prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro… E tornarono a Gerusalemme, col calore di Gesù nel cuore.
Di Papa Francesco la gente racconta che ha mangiato coi cardinali, con qualche capo di stato, con qualche operaio argentino e la gente ripete con gioia: «E uno di noi!».
Siamo abituati a pensare che i discepoli riconobbero Gesù dallo “spezzare il pane” come gesto eucaristico e facciamo bene. Ma non riflettiamo abbastanza sul significato naturale e primario del mangiare insieme. Gesù ha nutrito i discepoli con la parola e li ha cambiati mangiando con loro. E subito sono ritornati per rimettersi con gli altri.
Come sta facendo il Papa, mangiando con noi… E ci unisce nella gioia.
Rimanere, restare insieme, è la parola chiave. Durante gli anni vissuti in Camerun insegnavo ai catechisti e poi mangiavo con loro. La Parola e il cibo ci univa.
Papa Francesco sta dicendoci che il pane deve unirci, tutti.
Abbiamo provato la gioia di spezzare il pane con un povero e mangiarlo insieme?
È la gioia di avere Gesù, risorto nel nostro cuore.
Cari amici e fratelli. Buona Pasqua!

Figlio di migranti, amico dei poveri

Papa Francesco è figlio di emigrati piemontesi. Anche Gesù è figlio di emigranti.
Si racconta nel libro di Ruth che ci fu una fame nel paese, e che un uomo di nome Elimelec lasciò Betlemme con la sposa Noemi per andare a vivere tra i moabiti. I suoi due figli sposarono due Moabite che rimasero presto vedove. Noemi, dopo la morte del marito e dei figli volle ritornare a Betlemme. Una nuora rimase nella sua terra e l’altra di nome Ruth disse a Noemi: «Non pregarmi che io ti lasci. Dove tu andrai, andrò anch’io. Il tuo popolo è il mio popolo e il tuo Dio è il mio Dio». Ruth divenne la spigolatrice di Betlemme e a Booz che le chiese di sposarla disse: «Come mai, io forestiera ho trovato grazie presso di te?». Booz le disse: «Conosco il bene che hai fatto a tua suocera lasciando tuo padre, tua madre, il tuo paese e il tuo popolo e venendo verso un popolo che non conoscevi». Nacque Obed e Noemi prese il bambino e se lo recò al seno e le fu balia. E la gente disse: «Un bambino è nato a Noemi». Obed generò Isai e Isai generò Davide antenato di Gesù. Storia di migranti, di sofferenze e di grande amore tra poveri. Questo amore tra poveri e per i poveri Gesù ce l’ha nel suo Dna. Lo stesso che c’è in Papa Francesco.
E chi di noi può dire che non è figlio/a di emigrati? E forse non è male chiedersi se abbiamo e se mettiamo in azione il Dna di amore per i poveri. Papa Francesco ce lo chiede.

Che cosa chiediamo al Papa?

Ieri i cardinali hanno cominciato a votare. Che cosa ci si attende dal nuovo Papa?
Alcuni missionari hanno espresso questi desideri: dialogo e coraggio per l’Africa.
Un Papa che ci riporti ad annunciare. Una teologia meno astratta e più capace di narrare.
Tessitore di un mondo di fraternità.
Evidenti sono le necessità di dialogo, coraggio, comunione, annuncio, teologia, fraternità.
Ormai credo che una buona parte di gente guardi il Papa come una persona che accoglie la voce di tutti e unifica e parla a nome di tutti. Ci sono gravi problemi che minacciano la nostra esistenza.
Il biologista americano Paul Ehrlich si domanda da oltre quarant’anni come evitare la degradazione e la fine del nostro mondo. Ormai molti studi vanno in quel senso. Purtroppo gli uomini delle grandi decisioni e i mass media fanno calare il silenzio su tale domanda per evitare il catastrofismo. Alla fine delle sue analisi scientifiche ecco come conclude: «L’incertezza è sui grandi cambiamenti della biosfera e della diminuzione delle risorse. Come reagiranno e come vivranno le società? Povertà brutale delle popolazioni? Perdita di controllo sul proprio territorio da parte degli stati ? Incapacità a provvedere ai bisogni di base della popolazione? Generalizzazione della violenza? O riduzione graduale e pacifica del consumo materiale, accompagnato da una più forte coesione sociale?».
I Papi ne hanno già parlato e certo il futuro Pontefice continuerà a far capire che solo con un mondo più unito si potranno trovare le soluzioni necessarie. Il Papa che unisca l’umanità.

Discepoli di Gesù in Algeria

Benedetto XVI ha detto che nell’Anno della fede possiamo vedere il volto di Gesù anche nel povero, nel debole, nel sofferente. La Chiesa in Algeria vive la sua fede nei vari modi della sua presenza e dei suoi servizi.
Ecco come considerava il suo vivere da cristiano in Algeria il vescovo di Orano, Pierre Claverie, ucciso durante gli anni del terrorismo islamista. Uno dei 19 martiri di questo Paese. «Essere cristiano significa essere presente non con una etichetta, o come facente parte di una ambasciata o in un ghetto, ma in una continua relazione quotidiana con ogni persona che vive in Algeria. Attento all’altro, rispettoso, con la passione e la simpatia dell’altro e della sua differenza culturale».
Il cardinale Etienne Duval, arcivescovo di Algeria che veniva chiamato anche lui Mohammed per la sua lotta contro la tortura, diceva : «Chiesa estatica: trovarsi ed esistere fuori di se stessa, scoprendo, discernendo le tracce di Dio nella storia e nella vita dell’altro. Riconoscere e valorizzare la dignità dell’altro. Non imporsi ma donarsi per servire il progetto dell’altro. Accettare la propria povertà come ospite, spogliato di quanto aveva e lasciarsi amare. Accogliere l’aiuto dell’altro, il consiglio, l’orientamento che nascono da una condivisione di vita e di vera comunione».

Dove è scritto il nostro nome?

L’amico algerino che aveva salvato tre operai stranieri a In Amenas, durante l’attacco dei terroristi, giorni fa riceve in Facebook la foto mandatagli da uno dei tre salvati. Sul braccio è tatuato il disegno di una mano che solleva un uomo e sopra un nome, quello del suo “salvatore”. Dopo l’attacco gli aveva detto: «Non ti dimenticherò mai».
Anch’io sento spesso il mio nome per strada. A volte non riconosco chi mi saluta. Ma, chiamato per nome, mi sento toccare il cuore.
Poi davanti al Gesù del mio tabernacolo leggo e medito: «Rallegratevi che i vostri nomi sono scritti nei cieli». (Lc 10, 20)
Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: «Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi la riceve». (Ap. 13, 16-17)
Dice il Signore: «Sulle palme delle mie mani ti ho disegnato» (Is 49,16). «È Lui che fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome» (Is 49,1).
«Dio tiene scritto il nostro nome sul palmo della sua mano,
è come dire che se Dio lassù, in paradiso, avesse un tavolo,
sopra quel tavolo egli conserva la fotografia di ciascuno di noi.
Dio non ci abbandona mai, non si dimentica mai di nessuno,
ci ricorda, ci pensa sempre». (Papa Albino Luciani)
Il nostro nome, la nostra vita, è nel cuore di Dio e di ogni persona che incontriamo.