La parola ben detta non muore

Un proverbio arabo dice: «La parola ben detta non muore». La parola non è solo rumore, soffio, grido. È espressione di vita, soprattutto quando esce dal profondo del cuore. La parola entra in profondità e resta viva. Se poi la parola del cristiano è parola di Gesù, allora essa è seme di vita nuova.

Nell’intervista “Sul distacco e la gioia”, che don Adriano Cevolotto ha rilasciato alla giornalista Alessandra Cecchin per dire come lasciava la diocesi di Treviso diventando vescovo di Piacenza e Bobbio, ha volato col pensiero sui suoi 37 anni di sacerdozio e ha detto: «Mi piacerebbe riuscire a convincere che ci si può fidare del Signore. Dovremmo suscitare desideri belli, grandi, come fece con me padre Vittorio, del Pime, che venne a parlarci dell’Amazzonia. Sarei partito il giorno dopo, anche se avevo 10 anni! Poi invece che nel seminario del Pime, sono entrato in quello diocesano. E direi anche ai genitori e agli educatori di sostenere i giovani nella fatica di raggiungere queste mete importanti».

Giovane segretario di mons. Magnani, passò con lui dalla missione del Pime di Guidiguis (Nord Camerun) per andare in Ciad a visitare i fidei donum trevigiani.

Ora, nello stemma episcopale, don Adriano ha voluto scrivere il motto “Prendi il largo” e disegnare una colomba e il simbolo del Sacro Cuore secondo l’autografo del santo Charles de Foucauld, forse per mantenere vivo il primo grande desiderio di partire a dieci anni e poi di continuare a incontrare ed evangelizzare, sempre missionario.

“Prendi il largo”. Era l’alba del terzo millennio e suonò alta l’esortazione di Giovanni Paolo II, che invitava la Chiesa ad aprire nuovi cantieri di evangelizzazione e di impegno. «Sappiate ascoltare lo Spirito che vi interpella e rispondergli con generosità, accogliendo le sfide dell’ora attuale…  “Duc in altum”, “Prendi il largo” (Lc 5,4) così esortò Gesù i discepoli».

Prendendo il largo, don Adriano segue quanto gli dice lo Spirito della missione. Aiutiamolo con la preghiera e auguriamogli di mantenere sempre vivo il primo desiderio nel suo nuovo cantiere.

Siamo tutti fidei donum

Anche l’Italia è Paese di missione. Negli anni Cinquanta, l’Africa si apriva al cristianesimo e aveva bisogno di missionari. Papa Pio XII con l’enciclica “Fidei Donum” del 1957 si dirigeva ai suoi confratelli vescovi, invitandoli a prendere «in spirito di viva carità la vostra parte di questa sollecitudine di tutte le Chiese che pesa sulle Nostre spalle». Nascono così i “gemellaggi” tra diocesi occidentali e diocesi africane. Treviso per trent’anni manda preti e laici in Camerun. Poi Vicenza, Como, Saluzzo, Cuneo, Padova…

Altra novità interessante: i vescovi del triveneto prendono la decisione di mandare in Asia i presbiteri che si rendono disponibili. Poi pagine missionarie scritte da laici, fidei donum pure loro, che ricevono il crocifisso da soli, a coppie o con i loro figli. E poi, recentemente, quella del vescovo di Milano Mario Delpini che invia 11 fidei donum e ne accoglie otto. Invia e accoglie. Accoglie cioè i preti inviati da diocesi africane alla diocesi di Milano, dove si dedicheranno agli studi o al servizio pastorale.

In questi giorni ho ricevuto la lettera di un presbitero tupuri del Nord del Camerun che avevo conosciuto quand’era un ragazzo mentre era col padre catechista nel centro che dirigevo. Mi dice che ha raggiunto una parrocchia in Francia come fidei donum. Tutta la Chiesa sta vivendo lo spirito ecclesiale universale dei suoi sacerdoti e dei suoi laici.

Il 21 dicembre 2019, Papa Francesco ha detto alla Curia romana: «In Europa e in gran parte in Occidente, non siamo più in un regime di cristianità». È una affermazione molto forte che suscita anch’essa un senso di smarrimento. Purtroppo non di sorpresa perché è evidente constatare il calo di presenze nelle chiese… «e spesso la fede viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata».

Allora anche la Chiesa italiana ha bisogno di fidei donum non solo perché i preti italiani scarseggiano, ma perché la presenza di fidei donum attivi, provenienti dalle giovani Chiese può educare, risvegliare e rianimare la fede degli italiani. Oggi il filippino card, Tagle, prefetto della congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, preparando la giornata missionaria mondiale scrive: «La missione è un movimento continuo, in ogni direzione. Da tempo vediamo arrivare anche in Europa, e in Italia, preti e suore da Africa e Asia. Questo scambio è normale, arricchente. Non c’è più chi manda e chi riceve. Così la parola missione va accostata al termine “evangelizzazione”, più ampio, a 360 gradi. Comprendiamo in questo senso che ogni persona ha qualcosa da donare nella fede: la propria umanità il proprio amore. Nessuno è così povero da non avere nulla da dare, nessuno è così ricco da non aver bisogno di ricevere. L’amore che ci insegna Gesù è di tutti e per tutti». Nella fede ogni persona è fidei donum.

Perché questo sia capito bene e bene organizzato, forse sarà necessaria una nuova fidei fonum. La lunga esperienza dell’attività missionaria svolta dai sacerdoti italiani all’estero (detti fidei donum) ha suggerito alla Conferenza episcopale italiana un aggiornamento delle Convenzioni che regolano i rapporti tra le diocesi interessate allo scambio dei presbiteri missionari. È stata istituita una nuova Convenzione relativa ai sacerdoti che dalla diocesi di incardinazione sono inviati a svolgere il servizio pastorale in altra diocesi italiana che presenti una particolare carenza di presbiteri. Per la generalità delle nuove Convenzioni è prevista una minore durata del servizio pastorale, sia all’estero sia in Italia, che non può durare più di nove anni. Questa innovazione intende favorire un maggiore ricambio dei missionari fuori diocesi, le cui esperienze tornano a vantaggio della diocesi di provenienza.

In particolare ai sacerdoti stranieri viene ora richiesta la conoscenza della lingua italiana, certificata da un ente abilitato, necessaria per una regolare celebrazione dei sacramenti e per un più efficace inserimento nella comunità parrocchiale.

Di nuovo a Treviso

«I giovani ci hanno chiesto in mille modi di camminare al loro fianco: né dietro di loro né davanti a loro, ma al loro fianco! Né sopra di loro, ma al loro fianco! Né sotto di loro, ma allo stesso loro livello!». Questa frase di Papa Francesco è il mio nuovo programma di vita a 85 anni in una comunità di giovani missionari, qui nella nuova sede del Pime accanto alla chiesa votiva di Maria Ausiliatrice.

Il rettore, padre Ferdinand, ivoriano, e altri padri di varie nazionalità sono i miei compagni. Celebrando una sera a fianco di padre Ferdinand nella chiesa votiva, ho ripercorso il cammino iniziato a Treviso nel 1922 dalla comunità veneta del Pime. Dalla canonica di San Martino, in via Zermanese, a Montebelluna, a piazza Rinaldi a Preganziol, sino a Vallio per poi tornare qui in via Venier. Mi sono soffermato sul momento del gemellaggio tra la diocesi di Treviso, il Pime e la diocesi di Sangmelima nel Sud del Camerun realizzato nel 1966.

Poi dopo la Messa mi si è accesa una luce: i giovani missionari africani del Pime che vivranno l’annuncio evangelico qui a Treviso sono in qualche modo frutti del gemellaggio. Padre Ferdinand ricorda e nomina don Mario Beltrame, fidei donum trevigiano prima ad Ambam (Camerun) poi in Costa d’Avorio. Presto avremo altri preti africani avviati al sacerdozio da qualcuno dei nostri padri o dai fidei donum come padre Rino Porcellato, padre Carlo Scapin, don Angelo Santinon, don Davide Giabardo, don Alessandro dal Ben, don Mario Bortoletto, padre Giovanni Malvestio, i padri Graziano e Antonio Michielan e così via. Oggi il Signore dà a tutti noi e alla diocesi di Treviso la gioia di cogliere e di gustare i frutti di quel gemellaggio. Il gusto è quello della comunione della Chiesa.

La gente di Treviso non è sorpresa della novità di una comunità del Pime formata da missionari di varie nazionalità. Aveva incominciato ad accogliere il mondo quando, durante il Concilio, mons. Mistrorigo aveva fatto arrivare un aereo pieno di vescovi africani e poi aveva mandato preti e laici in Africa.

Avete dunque capito la mia gioia di ritrovarmi qui dopo tanti anni vissuti in Camerun e in Algeria, pronto a camminare a fianco di una comunità e di una Chiesa nuova e aperta. Non mancheranno le difficoltà, ma il Signore continuerà ad accompagnarci con la sua benevolenza.