Consolidate le vostre relazioni con i musulmani. È il desiderio di Papa Francesco, espresso ai vescovi dell’Africa del Nord riuniti a Roma per la Conferenza episcopale. Il mio vescovo Claude Rault ci dice su quale certezza egli basa il suo impegno di relazioni: «Siamo una vasta famiglia umana amata da Dio. Tutti, fratelli e sorelle impastati della stessa umanità. Gesù è il nostro fratello maggiore, è il punto di riferimento. Ci ha tracciato il cammino di una fraternità senza frontiere e ci invita a seguirlo. In ogni persona c’è una fiamma d’umanità comune anche quando è indebolita dalle forze del male: violenza, voglia di potere a tutti i costi, ricerca di ricchezza, odio dell’altro diverso. Questa fiamma c’è, anche se debole può essere sempre ravvivata. È la preghiera che mi fa raggiungere i miei fratelli e le mie sorelle in profondità, a cominciare dalle persone vicine nel lavoro, nei doveri sociali e nella vita quotidiana fino all’infinito.
Consolidare le relazioni è il modo visibile e concreto d’incarnare tale fraternità: relazioni abituali, familiari… ma anche piccoli gesti, colti come un dono: il poliziotto di frontiera che mettendo il timbro sul passaporto, al mio ritorno da Roma, mi dice: “Che Dio vi benedica, padre”; l’anziano che non conosco e mi dice: “Come stai padre?” e alla mia risposta: “El hamdou li Llah!”, mi risponde a sua volta: “El hamdou li Llah!”, come dire Alleluia!
È necessario parlare, informare… anche all’interno della Chiesa. Sta crescendo una sfiducia nei confronti dell’islam e dei musulmani influenzata dai media e dal comportamento di minoranze islamiste estremiste. È vero, non si può misconoscere che alcuni cristiani sono perseguitati perché cristiani. Ma anche molti musulmani cadono sotto le bombe di altri musulmani! Dio fa la differenza? Alcuni musulmani sono spesso i primi ad essere colpiti dalla grande divisione che il mondo dell’Islam sta attraversando.
Infine, c’è in me una intima convinzione nella mia fede nel mistero pasquale: misteriosamente, le grandi sofferenze del mondo sono una energia accumulata, in riserva per la costruzione di un mondo più fraterno».
Mons. Sabbah, Patriarca latino di Gerusalemme ha detto: «Nel vuoto di ogni speranza, facciamo sentire oggi il nostro grido di speranza. Crediamo in un Dio buono e giusto. Crediamo che la sua bontà finirà per trionfare sul male dell’odio e della morte che regnano ancora sulla nostra terra. E finiremo per vedere “una terra nuova” e “un uomo nuovo”, capace di mettersi in piedi col suo spirito fino all’amore di tutti i suoi fratelli e sorelle che abitano questa terra».
Archivio mensile:Ottobre 2013
Auguri per la festa El Adha
Condivo con voi gli auguri del mio vescovo per la festa dell’Aïd el Kébir.
A tutti i musulmani e musulmane, a tutti gli amici della Chiesa Cattolica del Sud dell’Algeria.
Cari amici,
La festa è sempre occasione per manifestarvi i nostri legami di fraternità nel nostro antenato Abramo. Più particolarmente questa festa ci ricorda la sua fedeltà a Dio. Quando l’Altissimo gli ha chiesto di sacrificare suo figlio, non si è sottratto, ma grazie alla sua sottomissione, è stato benedetto. Ed è un montone che è stato sacrificato al posto del suo figlio beneamato.
In realtà Dio è il creatore e il protettore de tutta la nostra vita. È lui che ha creato gli esseri umani e non vuole che il loro sangue sia versato perché la vita e la morte gli appartengono.
In questi tempi dolorosi di conflitti, soprattutto nel Medio Oriente, le nostre lacrime si uniscono quando il sangue innocente di cristiani e di musulmani è versato dalla violenza dovunque venga. Quelli che compiono questi atti o li sostengono agiscono contro Dio e contro l’umanità. Spesso credono di onorare Dio e lo tradiscono. Più che mai ci sentiamo figli e figlie di Abramo. In nome della nostra fraternità, adoratori dello stesso Dio Creatore e Protettore della Vita continuiamo a vivere la buona battaglia della dignità di ogni vita umana, ma con le armi pacifiche del dialogo, della preghiera e della misericordia.
Che l’Altissimo vi benedica, che benedica le vostre famiglie e la nostra grande famiglia umana.
Claude Rault, vescovo de Laghouat-Ghardaïa.
a nome della comunità cattolica del Sud dell’Algeria
Felici gli occhi che vedono
Un mattino m’incammino verso le Piccole Sorelle per celebrare l’Eucaristia. Sento sotto i portici un fracasso. Lontano cento metri, un uomo batte con un bastone saracinesche, porte e muri e grida frasi incomprensibili. Ho paura ad avvicinarmi. Passo dall’altra parte della strada. Mi vede e mi viene incontro. Allora gli vado incontro anch’io col sorriso più angelico che posso fare e gli tendo la mano. S’avvicina, ci guardiamo, mi dà la mano e pone la guancia sulla mia spalla destra come si fa tra amici. Poi continua la sua strada. Lo guardo ancora: si siede sul marciapiede e piange. Durante l’Eucaristia parlo a Gesù di lui.
Questo momento mi è rimasto impresso e mi sono domandato che cosa potesse significare per la mia vita qui a Touggourt, dove incontro tante persone. Alcune mi chiedono un aiuto scolastico, altre si confidano e raccontano la loro vita. Mi vedono come una persona con la quale vivere momenti di dialogo e relazione amichevole. Molti hanno vissuto coi Padri Bianchi, con le Suore Bianche e con le Piccole Sorelle tanti momenti di vita insieme, di lavoro, di scuola, di divertimento, di formazione. Le Piccole Sorelle hanno accolto nella loro casa parecchie partorienti. Molti abitanti di Touggourt mi dicono con gioia che sono nati nelle loro mani e si considerano loro figli. Ora tutte queste persone mi vedono e mi accolgono col clima di famiglia, che si è creato in tanti anni di presenza e di servizio da quanti mi hanno preceduto.
L’incontro con quell’uomo che urlava, lo sento come un’immagine-simbolo di tanti momenti vissuti da Gesù nei suoi incontri con la gente e vissuti poi da tanti discepoli di Gesù durante i secoli e in tutto il mondo. Gesù incontra il cieco nato, Francesco incontra il lebbroso…
L’amore vissuto unisce, lenisce, rimette in cammino.
Quante ore passo ad ascoltare e a farmi sentire vicino…
Alla base di questo modo di vivere a contatto con persone di culture, religioni, lingue diverse e bisognose d’aiuto e di calore umano, c’è un principio di fede che permette di vedere, di sentire in un modo nuovo. È la contemplazione di cui parla Gesù: «Felici gli occhi che vedono». «Vedono ciò che molti profeti e giusti hanno desiderato di vedere». È vedere Gesù vivente, attivo, presente e che ti tende la mano e ti abbraccia.
Questa contemplazione è stata la prima attività della Chiesa: la preghiera. Cioè vedere e sentire con Dio tutto ciò che arriva nelle nostre vite di ogni giorno. Trovare Dio in ogni creatura, in ogni fratello.
«Il primo frutto della contemplazione – dice il biblista trevigiano don Antonio Marangon – è di suscitare la speranza e la fiducia nei confronti della razza umana e della nostra vita quotidiana».
Monigo, comunità aperta
Louis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, dice che durante il Conclave il cardinale Bergoglio aveva fatto un appello per una Chiesa più missionaria concentrata sulla “periferia” piuttosto che su se stessa. Questo è stato condiviso da molti cardinali.
Una Chiesa che riesca a portare calore, ad accendere il cuore. Noi preghiamo perché il Signore riscaldi il nostro cuore e ci sostenga nell’affascinante missione di portarlo al mondo. Una Chiesa che ha una profonda simpatia per l’uomo, che accoglie la donna e l’uomo di oggi, che cammina con loro condividendo il loro percorso di vita, che cerca di manifestare ed esprimere il volto di un Dio che ama l’uomo appassionatamente.
Oggi Papa Francesco vive e insegna: «Voglio che la chiesa esca per le strade verso le periferie del mondo. Le parrocchie, le istituzioni sono fatte per uscire fuori».
Durante le mie vacanze in Italia, ho avito numerose occasioni di raccontare la mia vita coi musulmani in Algeria e ho trovato interesse e apertura. Dopo un incontro con un bel numero di amici, il parroco di Monigo, don Giuseppe Mazzoccato ha scritto: «I problemi di rapporto con i musulmani rimangono; tuttavia rimangono anche queste oasi di convivenza nella simpatia reciproca le quali, oltre ad essere segni di speranza per il futuro, attestano la possibilità di una convivenza non solo pacifica, ma reciprocamente arricchente. Il buon cristiano si accredita (anche) per la sua capacità di accoglienza e di relazione. Il primo tra voi sia colui che serve, dice il Vangelo, ed uno dei servizi a cui oggi siamo richiesti è di far incontrare la gente, rompendo quei muri di indifferenza che hanno creato tanta solitudine e talvolta anche litigi e querele. Il lievito di cui parla il Vangelo mi sembra sia oggi ogni azione capace di far incontrare le persone, a partire dal posto in cui abita, testimoniando il valore dell’incontro, prima di ogni appartenenza e pratica religiosa».
Quasi ogni giorno ho celebrato l’Eucaristia nella bella chiesa di Monigo accanto agli amici che portavano all’altare la loro vita, le loro attenzioni a tante persone disabili, la loro apertura missionaria e io portavo all’altare anche l’umile e nascosto servizio di quanti nelle loro case vivevano accanto ai loro ammalati. Anche quelli sono le “periferie del mondo” di Papa Francesco.