Centenario della morte del Beato Charles de Foucauld

Il primo dicembre 2016 la Chiesa dell’Algeria celebrerà il centenario della morte del beato Charles de Foucauld. Il suo corpo riposa a El Menia.
I vescovi del Paese scrivono: «È dopo il suo ritorno alla fede, che visse un’esistenza segnata dall’imitazione di Gesù Cristo a Nazareth, dalla preghiera e dall’amore verso i poveri. Per vivere la sua vocazione chiese di andare verso i più lontani, prima a Beni Abbes, poi a Tamanrasset. Visse i suoi migliori anni con la passione di privilegiare la relazione fraterna con tutti, la preghiera e lo studio della lingua dei touareg. Il suo desiderio era di essere il “Fratello Universale” ad esempio di Gesù, aperto ad accogliere tutti, di ogni condizione sociale, religiosa e etnica. in questo segnò profondamente non solo la nostra Chiesa in Algeria ma anche tutta la Chiesa universale. Egli continua ad ispirare nel contesto in cui essa vive. Oggi una ventina di famiglie religiose vivono lo stesso spirito, alcune presenti in Algeria. È un vero santo per i nostri tempi. Papa Francesco oggi dice: “Charles de Foucauld capì che non si cresce nell’amore di Dio lasciando il servizio delle relazioni umane, perché è amando gli altri che si impara ad amare Dio. Inchinandosi verso il prossimo, ci si eleva fino a Dio. Sono i poveri che ci evangelizzano, facendoci crescere in umanità”».
Il mio apostolato deve essere quello della bontà.
In questo anno del centenario della morte del beato Charles de Foucauld, possiamo rileggere alcuni suoi testi:
«Il Buon Dio è migliore giudice di noi; noi siamo portati a mettere al primo posto le opere, i cui effetti sono visibili e tangibili; Dio dà il primo posto all’amore e poi al sacrificio ispirato dall’amore e all’obbedienza derivante dall’amore. Il mio apostolato deve essere quello della bontà».
«L’imitazione è figlia, sorella, madre dell’amore: imitiamo Gesù per amarlo di più!».
«La nostra vita si divide tra preghiera e lavoro, ma la prima ha sempre la precedenza sul secondo». «Pensa che devi morire martire, spogliato di tutto, steso per terra, nudo, irriconoscibile, coperto di sangue e ferite, violentemente e dolorosamente ucciso e desidera che questo avvenga subito». «Quando si vuole soffrire ed amare, si può molto, si può il massimo che si possa al mondo».
«Gesù non può stare in un luogo senza risplendere».
«Quanto è misero il nostro corpo che soffre nonostante la santa eucarestia e trova sollievo per un po’ di vigore fisico».
«Il migliore, il vero infinito, la vera pace, sono ai piedi del divin tabernacolo».
«Sono felice della felicità di colui che amo ed il pensiero della sua immutabile pace calma la mia anima».
«Ho un grande fondo di orgoglio. Non tengo conto a sufficienza della presenza di Dio».
«Silenzio di Nazareth, insegnaci a essere fermi nei buoni pensieri, intenti nella vita interiore».

La vicinanza di Dio

Nel dialogo con alcuni amici musulmani, vivo momenti molto belli di sorpresa e di conferma, di bisogno e di approfondimento. A volte, un piccolo gesto è accompagnato da una parola che mi apre a un senso più grande.
Giorni fa viene a trovarmi un amico cieco. Lo accompagno per mano ad entrare, facendo attenzione ai tre gradini dell’ingresso, e a sedersi sul divano vicino alla porta. Entrando dice «Bismillah, nel nome di Dio». E poi: «Sono venuto a trovarti, perché quando ci facciamo visita, Allah si fa più vicino».
Non sono sicuro di aver capito bene e interamente l’espressione dell’amico e spesso chiedo ad altri che mi aiutino a capire. Cerco anche nel Corano o negli Ahadith. Ibn taymiyya dice che rendere visita al Profeta sepolto a Medina è un’opera pia che procura la vicinanza (qurba) di Dio.
Non so se è giusto concludere che se compiamo opere buone facciamo Dio più vicino.
Amare è far vivere Dio
Nei dialoghi con amici di diversa religione, l’idea di Dio è la più frequente ed è espressa nei momenti quotidiani della vita vissuti con Dio. Come diceva Sant’Agostino: «Ritorna al tuo cuore e da lì al tuo Dio, perché il cammino non è lungo dal tuo cuore a Dio. Tutte le difficoltà vengono perché sei uscito da te: ti sei esiliato dal tuo proprio cuore, ritorna al tuo cuore».
È meraviglioso sentire questa comunione di cuore a cuore con Dio, essere una sola esistenza, interdipendenti, solidali.
Nel libro di Jean-Marie Ploux, Dieu n’est pas ce que vous croyez (“Dio non è quello che voi credete”) trovo queste riflessioni: «La parola di Dio ha bisogno dell’umanità. Maria dona il suo corpo perché la Parola nasca in Gesù. Questo è stato vero, a un altro titolo, anche quando Dio ha avuto bisogno di tutta l’umanità, di tutti i profeti, di tutti coloro che hanno accolto la Parola di Dio nel loro cuore e che vivono di Essa. Senza un “sì” degli uomini, non c’è parola di Dio tra loro.
Helly Hettisun, giovane donna ebrea, assassinata a Auschwitz ha lasciato scritto: “Mi appare sempre più chiara una cosa: non sei tu Dio che puoi aiutarci, ma noi possiamo aiutarti e facendo ciò aiutare noi stessi. È tutto quello che noi possiamo salvare in questa epoca ed è la sola cosa che vale, un po’ di te in noi, mio Dio».
Molta gente ha aiutato “Dio negli altri” e a renderlo visibile ai nostri occhi, perché si erano chiusi.
Un giovane disse un giorno che amare è far vivere Dio… Dio non agisce come un mago, ma si fa sentire vivo e ci accompagna perché noi siamo più umani in tutto ciò che viviamo.