Interiorità, cuore dell’incontro di Chiesa e con i credenti musulmani

Carissimi, riprendo a comunicarvi qualche momento della mia vita in Algeria, dopo l’arrivo e l’accoglienza del mio confratello Pietro Masolo. È il terzo “dono” PIME di Dio alla mia comunità di Touggourt-Hassi Messaud , dove è presenta anche padre Alberto Sambusiti. Ad Algeri, invece, vive padre Cerare Baldi, responsabile della Caritas. Ci siamo incontrati tutti insieme per la conclusione di un anno speciale di riflessione e di incontri come discepoli del Signore Gesù in Algeria, seguendo la lettura del cammino dei discepoli di Emmaus.
“Interiorità, cuore dell’incontro di Chiesa e con i credenti musulmani”. È la prima caratteristica della nostra presenza in questo Paese, messa in evidenza nei nostri incontri. Dopodiché ci sono le dimensioni della solidarietà, della conversione dello sguardo e dell’interculturalità.
Voglio proporvi alcune frasi del documento preparato dal Gruppo di studio (Grea) che ha raccolto e messo in sintesi le 500 testimonianze scritte da cristiani diversi: permanenti stranieri e algerini, studenti africani, tecnici di società straniere, prigionieri, emigranti…
«È nel profondo dell’Eucaristia che il quotidiano della nostra esistenza di Chiesa (preghiera, impegno, lavoro) trova tutto il suo senso e ci fa un umile Pane vivente per il nostro mondo. La presenza di Chiesa si vive quando esprimiamo il nostro essere lì nella preghiera dell’offerta della messa e nella preghiera comunitaria. È nell’interiorità della vita spirituale che la conversazione si vive con se-stessi, con Dio, con il mondo e con i credenti musulmani. Il deserto è il monastero, luogo di preghiera, di solitudine, della presenza a Dio e al mondo. Negli anni neri e nei momenti difficili, solo nella preghiera e nell’interiorità è apparso lo spazio di vita visibile nella notte. In quello spazio cogliamo una saggezza collettiva e andiamo all’essenziale della nostra vocazione contemplativa di preghiera, amicizia e gratuità.
Come movimento ulteriore, la preghiera ci mette in comunione-comunicazione-conversazione con i credenti musulmani e la Chiesa in Algeria si fa conversazione, come diceva il Beato Paolo VI:
“La Chiesa deve entrare in dialogo col mondo nel quale vive. Essa si fa Parola, messaggio, conversazione”. (ES § 67). Anche se abbiamo modi diversi di preghiera, è lì che viviamo in comunione con l’altro. Scopriamo che nella tradizione islamica la preghiera è lode, perdono, domanda, raccoglimento e altro… secondo gli avvenimenti della giornata. Alcuni scoprono la ricchezza spirituale dei musulmani nello scambio interiore e personale partendo dai diversi modi di meditare la Parola di Dio (Bibbia e Corano). In alcuni momenti nasce, nell’incontro, la gioia di pregare insieme. Momenti rari… ma pieni di speranza e di vita per ognuno».

 

Preghiamo per la pace

Sono tornato ad Algeri il giorno dell’assassinio di Hervé Gourdel e ho trovato un clima di profonda sofferenza. In questo momento di tristezza, indignazione e paura, cresce il bisogno di chiarire e di consolidare le relazioni tra le persone che vivono in Algeria. Non solo superare il senso di pericolo e di minaccia, ma ritrovare fiducia nella vera realtà del Paese. Ha ben detto il vescovo di Orano: «Si tratta di una specie di barbarie nella quale i musulmani non si riconoscono. Siamo coscienti che non si tratta di ostilità contro i cristiani».
Un giovane studente, mio amico, mi dice: «Sii prudente nei tuoi spostamenti e se è necessario telefonami subito». In realtà non trovo alcun allarmismo.
Al contrario, mi è arrivato tra le mani un opuscolo su padre Pierre Lafitte, che mi dice la profondità di relazioni vissute tra algerini musulmani e alcuni cristiani e che fa pensare che l’Algeria ha nella sua storia e nella sua vita un tesoro di unità e di rispetto delle differenze che è come un albero che non potrà dare che frutti meravigliosi.
Alla morte di Pierre Lafitte, prete francese, il direttore del giornale La liberté, Outoudert Abrous,
per alcuni mesi ospite del prete, scrive: «Venuto all’età di 25 anni per un servizio civile, è restato con noi 42 anni. Negli incontri con amici si parlava di Algeria e di Algeria che egli amava come si ama un primo amore».
E una giovane medico: «Non solo un uomo di cultura; era un uomo che ci amava» (N).
Un’altra: «La tua allieva vuol vivere la tua umanità in tutto il suo splendore». (A.N.)
E dopo la morte dei sette monaci di Tiberine, così parlò una mamma ai suoi figli: «Nostro compito è quello di continuare il cammino di pace, di amore di Dio e dell’uomo nelle sue differenze. Nostro compito è innaffiare i semi affidatici dai nostri fratelli monaci affinché i fiori crescano un po’ ovunque, belli nella loro varietà di colori e profumi. La Chiesa cristiana con la sua presenza tra noi continui a costruire con noi l’Algeria della libertà delle fedi e delle differenze, l’universale e l’umanità. Sarà un bel mazzo di fiori per noi e una grande opportunità per tutti e per tutte. Grazie alla chiesa di essere presente in mezzo a noi oggi. Grazie a ciascuno e a ciascuna».
In un terreno fecondato da relazioni di rispetto, accoglienza e apertura alle differenze, il terrorismo non può svilupparsi. Lavoriamo e preghiamo perché regni la pace.