Abbandonarsi a Dio

Il mio vescovo, mons. Calude Rault, vescovo di Laghouat-Gardaia, scrive: «In Algeria non ci è concesso rivelare Cristo attraverso la predicazione. È un serio limite, ma forse anche una felice provocazione. Il nostro mondo soffre di una tale inflazione della parola! Gridare il Vangelo per tutta la vita, per riprendere un’espressione cara a Charles de Foucauld, ecco la nostra vocazione oggi in Algeria. Essere presenti a mani nude. Vivere con tutti nel nome della gratuità dell’Amore di Gesù. Il domani non ci appartiene».
      
Primato di Dio
 
Mi aiutano molto le riflessioni sul vissuto dei primi confratelli del Pime partiti per l’Oceania. Dopo le difficoltà incontrate  ci si domandava in Italia, se fosse stata una vera cocciutaggine andare nella Melanesia. I Maristi non ci avevano nascosto le difficoltà. Ma i nostri dicevano: «Que le cœur saigne quand on voit la misère de ces peuples» («Che il cuore sanguini quando si vede la sofferenza di questi popoli»). Taglioretti, uno dei testimoni degli inizi del Pime, scrisse: «Ubbidirono, non scelsero! Partirono a questi patti: sacrificar tutto a Dio!».
Giovanni Mazzucconi, il primo martire diceva: «Signore per voi solo voglio vivere, per voi morire».  Di lui hanno scritto: «È un innamorato di Dio perché al culmine dello sviluppo spirituale non troviamo più il giovane entusiasta, che si disperde in una molteplicità di ideali, ma l’adulto nello spirito, che pur non rinnegando nessuno di tali ideali, ne ha intuito uno sublime, tale da relativizzare tutti gli altri: Dio».  Mons. Marinoni, primo direttore dell’Istituto per più di quarant’anni, ripeté anche prima di morire: «Il missionario è l’uomo della fede».
Per me, oggi, la presenza in Algeria è anzitutto un’occasione per risentire ancora più forte la presenza di Dio.

Preghiera del Beato Charles De Foucauld

Padre, mi abbandono a Te, fa’ di me ciò che ti piace. Qualsiasi cosa tu faccia di me, ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto, purché la tua volontà si compia in me, e in tutte le tue creature: non desidero nient’altro, mio Dio. Rimetto l’anima mia nelle tua mani, te la dono, mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore, perché ti amo. E per me un’esigenza di amore, il donarmi a Te, l’affidarmi alle tue mani, senza misura, con infinita fiducia: perché Tu sei mio Padre.

Debolezza

La Chiesa vive un momento di debolezza. Ci sentiamo tutti coinvolti e ne portiamo il peso. La parola si fa più sottovoce, la forza della verità più discreta, il silenzio medicina. Nel cuore cresce il lamento, la preghiera. Ma l’animo si fa più forte, la voglia di migliorare c’è ancora. L’appartenenza è più convinta, diventa fierezza anche se meno visibile. Nella Pasqua recente, un mio fratello mi dice che ha notato una partecipazione di cristiani più intensa.
Christian Chessel, giovane Padre Bianco ucciso a Tizi Ouzu assieme a tre confratelli, scriveva: «La debolezza non è in sé una virtù, ma l’espressione di una realtà fondamentale del nostro essere che deve essere ripresa, rimessa al suo posto, animata dalla fede, dalla speranza e dalla carità per lasciarci conformare alla debolezza di Cristo. Questa debolezza ben compresa diventa il linguaggio migliore per esprimere l’amore discreto di Dio agli uomini, amore pieno di discernimento, discreto come quello di chi ha voluto condividere la nostra situazione umana. Diventa un invito a creare delle relazioni di non-potenza con gli altri. Accettata la mia debolezza, capisco quella degli altri e a condividerla come ha fatto Gesù».
Mons. Henri Tessier, arcivescovo emerito di Algeri, spiega: «Ritornando allo spirito del dialogo rimesso in valore dal Concilio, lo vediamo anzitutto come rispetto del cammino dell’altro e dono di Dio fatto alla Chiesa. E la Chiesa diventa segno di questo dono e serva di questo dono per la vita degli altri, al di là delle frontiere. La Chiesa accoglie il dono e ne fa oggetto di ringraziamento come ha fatto Gesù davanti alla fede del Centurione e della donna siro-fenicia.
La debolezza ci ha portati ad essere ancora più fedeli alla nostra missione. Sono loro, i musulmani, che si fanno più vicini quando viviamo deboli in mezzo a loro e vengono a visitarci e chiederci di condividere gioie e pene».

Fedeltà di testimoni

Don Bruno Maggioni scrive: «Il martire colpisce e affascina per la libertà della sua morte, piena di significato; il martire muore per una ragione, non semplicemente perché ogni uomo è destinato a morire».
Mons. Tessier vede nel martirio dei 19 religiosi/e uccisi nel periodo ’93/’96 un martirio di fedeltà a un popolo musulmano e non solamente un martirio in odium fidei. Mentre tanti cristiani algerini nei momenti difficili avevano lasciato l’Algeria, i membri di varie congregazioni hanno voluto restare.
Dopo il Vaticano II hanno rinunciato alla gioia di scegliere un lavoro missionario in regioni dove, grazie a Dio, la Chiesa cresce abbondantemente. Hanno creduto alla parola della Chiesa che li aveva mandati a cercare dei fratelli e delle sorelle da amare tra i credenti dell’islam. Hanno creduto che anche lì il Regno di Dio è presente e si sviluppa. Hanno creduto che anche nell’islam lo Spirito di Dio agisce e produce i frutti del regno. Hanno creduto alla fedeltà di musulmani in cammino verso la riconciliazione e la fraternità umana.
Quelli che sono stati uccisi erano rimasti vicini ai liceali del quartiere povero della Casbah di Algeri, alla popolazione della Kabilia, alle piccole comunità, ai contadini e ai più poveri…
Anche chi non è stato ucciso ha vissuto la stessa fedeltà di testimone.
Questa fedeltà l’aveva già vissuta l’algerino sant’Agostino. All’arrivo dei Vandali in Algeria, uno dei tanti vescovi allora presenti, Quotvuldeus, chiese ad Agostino di mettere in salvo il suo clero perché potesse essere ancora utile altrove.
Agostino rispose : «Il buon pastore dà la sua vita per le sue pecore. Nel pericolo non parte… parte solo se il gregge decide la fuga».
Questa fedeltà, la Chiesa la vive come vocazione ed è la stessa che Dio vive con l’umanità: fedeltà tra il bisogno profondo di ogni uomo di vivere con Dio e con gli altri simili e quello che Dio vive in se e che continua ad alimentare nel cuore dell’uomo.
Negli incontri che vivo ogni giorno qui a Touggourt, mi convinco sempre di più del bisogno innato, in ogni persona, di fraternità e della mia responsabilità di testimone.
Una mattina, prendendo il caffè, ho sommato gli anni di presenza in Algeria delle quattro Piccole Sorelle di Touggourt : 192 ! Due di loro hanno la nazionalità algerina e tutte vogliono camminare ancora…
Di loro, mons. Marangon, noto biblista trevigiano che le ha seguite nel loro cammino spirituale in varie parti del mondo, scrisse, in occasione dei settant’anni in Algeria e a Touggourt: «Sono debitore di tanta luce per l’eredità evangelica che si vive presso di voi… Voi assicurate al “Vangelo di Nazareth” il valore di segno. Prego il Signore… perché abbiate il coraggio (eroico) di essere fedeli alla gratuità del “segno di Nazareth…Vi ringrazio pure di un’altra nota tipica della vostra identità vocazionale: quella di pregare e di offrire ogni giorno la vostra giornata al Signore “per i fratelli (anzitutto) dell’islam (e poi anche) del mondo intero!”».

Speranza in nuova Chiesa

Il Papa nel suo messaggio pasquale ha detto «L’umanità sta vivendo una crisi profonda. Anche ai nostri giorni l’umanità ha bisogno della salvezza del Vangelo – afferma – per uscire da una crisi che è profonda e come tale richiede cambiamenti profondi, a partire dalle coscienze». C’è bisogno, ha spiegato, «di un “esodo”, non di aggiustamenti superficiali, ma di una conversione spirituale e morale».
È la Chiesa che sta vivendo la sua crescita e lo sviluppo delle sue note: Una, santa, cattolica, apostolica. Bisogno di purezza, di santità, di cattolicità aperta. Sta rinascendo e sarà nuova, più bella. Anche in Algeria.
Vorrei ridire il pensiero del vescovo emerito di Algeri, Mons. Henri Tessier, che ha vissuto la sua vita credendo nella venuta del Regno di Dio e nel lavoro dello Spirito Santo anche in Algeria. Scrive: «Quando comunichiamo insieme negli stessi valori, noi prepariamo l’avvenire della Chiesa. L’avvenire della Chiesa sarà un dono di Dio. Tale avvenire non è il frutto di tattiche per cercare protettori per la Chiesa. Ciò può permettere di attraversare qualche difficoltà, ma non costruisce l’avvenire. Questo nasce quando i nostri amici ci riconoscono interessati insieme con loro su dei valori che fanno crescere l’uomo e la comunità umana. Per i credenti questi valori sono accolti come dono di Dio». Un’amica algerina della Chiesa a Orano dice: «La presenza dei cristiani, il loro sacrificio, il dono di sé, la loro opera sono un conforto per chi a volte è scoraggiato. Con questo esempio vivente di Dio, noi riprendiamo fiducia. La Chiesa in Algeria ci da l’occasione di imparare a lottare perché l’umanità cresca nella giustizia, nella verità, nella libertà, nella solidarietà e la fraternità».
Il vescovo continua: «Così si forma una Chiesa nuova non di soli cristiani ma anche di non cristiani che vivono coi cristiani la propria fedeltà a Dio e alla propria coscienza. Noi crediamo alla nostra responsabilità nella nascita d’un avvenire per la Chiesa».

Preghiera nel breviario
Signore! Conduci noi tutti sui tuoi sentieri. Apri al tuo popolo la via della salvezza, metti in noi il desiderio di somigliarti. Insegnaci a riconoscerti negli altri, facci attenti alla loro sofferenza. Aiutaci a fare la tua volontà e donaci un cuore che ti cerca. Da’ ai tuoi fratelli di formare un corpo solo e dimentica i nostri errori contro l’unità.