Arrivederci, don Gianantonio, in Paradiso coi nostri amici del Nord Camerun

Rapito da Boko Haram con don Gianpaolo Marta e una suora canadese, e poi liberato, era rientrato in Italia e ritornato al servizio di una parrocchia. Con don Gianantonio Allevi, prete fidei donum della diocesi di Vicenza, ho vissuto una lunga e profonda amicizia  in Camerun, in Italia e dall’Algeria. Mentre era parroco in diocesi a Vicenza dopo i suoi primi anni vissuti in Camerun, mi confidò che sentiva ancora il desiderio di ritornarvi. Sapendomi in Algeria,  mi scrisse: «Grazie sempre delle tue “meditazioni”….anche perché sono spesso imbevute di spirito foucauldiano. Dal 14 al 19 novembre noi qui (a Rimini) faremo l’Assemblea nazionale delle fraternità sacerdotali Jesus Caritas, sarebbe bello che mi scrivessi due righe “dall’Algeria” per noi che simpatizziamo per fratel Charles e per tutti quelli che come te imparano “necessariamente” a vivere il suo stile….ma comprendiamo appunto anche noi  sempre di più che la Nuova evangelizzazione passerà con l’intuizione di fratel Charles: l’icona di Nazareth e quella della Visitazione dovrebbero essere la nuova immagine di Chiesa…noi ci crediamo, ma è ancora difficile proporla nelle nostre “pastorali” così strutturate e ingabbiate negli strumenti umani».

Quando scrissi che aspettavo un compagno perché ero solo, mi rispose: «Aspetti un fidei donum? Chissà…se il Signore chiama!». Gli avevo risposto: «Coraggio, parti!».

Io, musulmana, ho incontrato Gesù…

«Proveniente da una famiglia musulmana e vivendo in una società musulmana, il prossimo che avvicino è musulmano. Sono cristiana per grazia di Dio. Lo sono perché Dio è venuto a incontrarmi; mi ha chiamato e l’ho seguito. Incontrando Gesù ho trovato un tesoro e questo ha prodotto in me una gioia che mi ha riempita e che desideravo condividere con quelli che vivevano con me. Ero come Andrea che dopo aver incontrato Gesù andò a trovare suo fratello Simone per annunciargli di aver trovato il Messia. Volevo condividere la mia gioia coi membri della mia famiglia, ma subito mi accorsi del pericolo in cui incorrevo, cioè di essere esclusa, rigettata, perseguitata.

Allora ho nascosto la mia fede, mi sono rinchiusa in me per paura della reazione dell’altro. L’altro è mio fratello, mia sorella, il mio prossimo, il musulmano che non accetta che un altro cambi di religione e vede questo come un tradimento contro Dio e la comunità musulmana. Ciò proviene dalla sua convinzione di essere nella verità totale e che l’altro è nell’errore, che l’islam è l’ultima delle religioni e che il suo profeta è l’ultimo dei profeti. Qualcuno della mia famiglia mi disse: “Farò di tutto per farti uscire da questa situazione, da questo indottrinamento”. Altri: “È mancata una buona relazione tra noi”. Mia sorella mi ha nascosto il passaporto perché non lasci il Paese e non diventi cristiana. Ero diventata una persona che bisognava salvare dal baratro in cui era caduta.  Ma mio padre profondamente credente e timoroso di Dio, quando gli dissi: “Ora credo in Dio con l’aiuto del Vangelo e della Bibbia”, mi disse: “Lo so, continua a farlo, ma dovresti anche leggere il Corano”. La sua saggezza e la sua fede nel Dio Creatore gli hanno permesso di vedere il mio avvicinarmi a Dio come una cosa più grande e la sua parola non è stata un rifiuto. Un’amica ha voluto incontrarmi e chiedermi: “Sei sicura d’essere nella verità? Chi prende una religione diversa dall’islam non è accettato da Dio”. Me lo diceva con le lacrime e con una tale convinzione che mi sono sentita scossa nella fede. Ora frequentare la Messa e nutrirmi dell’Eucaristia, là dove abito, è sempre una lotta interiore. Ma Gesù mi accompagna e nel mio dubbio sento che Gesù mi dice: “Chi guarda indietro, non è degno di me”. E ritrovo la forza dicendogli: “Signore, tu sei qui, ho fiducia in te, è per te che vado avanti, con te vado avanti, tienimi per mano”.

Debole nella mia poca libertà d’azione, accetto la difficoltà e faccio attenzione a ciò che dico per non scuotere l’altro senza negare la mia fede in Gesù. Non penso di convertire l’altro, ma nella discrezione desidero poter vivere col mio prossimo nel rispetto delle differenze e nella gioia d’essere insieme. Prego spesso per i miei fratelli musulmani perché possano incontrare Gesù, il Salvatore: “Donaci Signore la tua saggezza e il tuo Santo Spirito perché ciascuno possa fare la tua volontà”.

Vivo senza paura perché non ci si può fare del male tra gente che crede in Dio, anche se non abbiamo e non condividiamo la stessa fede e le stesse convinzioni. Gesù ci dice: “Vi riconosceranno miei discepoli per l’amore che vivrete tra voi”. Ebbene, posso vivere l’amore vero e sincero anche col mio fratello musulmano, con mia sorella musulmana, lo stesso che vivo col mio fratello cristiano e con mia sorella cristiana».

N. Meriem,  estratto da L’écho de Constantine

Vita monastica e social media

Nell’Osservatore romano del 4 agosto 2018 leggo che il patriarca copto Tawadros II impone ai religiosi la chiusura dei profili Internet. La notizia arriva dopo l’uccisione del vescovo copto ortodosso Epiphanius, abate del monastero di San Macario il Grande (Dayr Abu Maqar), trovato senza vita all’interno del monastero all’alba di domenica 29 luglio. Il religioso è stato ucciso mentre si recava ad adempiere l’ufficio delle preghiere mattutine. La morte violenta dell’abate ha, in sostanza, impresso una brusca accelerazione al profondo ripensamento già avviato nella Chiesa copta dal patriarca sul tema della comunicazione.

Alcuni giorni prima, Tawadros II ha invitato i monaci e le monache della Chiesa copta ortodossa, nessuno escluso, a chiudere entro breve tempo (un mese circa) gli account personali e gli eventuali blog sui social media, come Facebook e Twitter. Entro quel termine dovranno prendere congedo dalle forme di comunicazione considerate non appropriate alla vita monastica, se non vogliono incorrere in pene canoniche. Il Patriarca ha detto: «Il tempo è il dono più prezioso che Dio ci concede ogni giorno e bisogna saperlo usare. I cristiani devono santificare il loro tempo».                                                                                                                      Le nuove disposizioni per i monaci copti sono state formulate dal comitato per i monasteri e la vita monastica del sinodo copto, convocato dal patriarca e a cui hanno preso parte diciannove tra vescovi e responsabili dei monasteri. Le misure puntano a custodire la vita monastica nel suo tradizionale tratto di condizione appartata dalle frenesie mondane, scandita da momenti di preghiera, lavoro e silenzio. Per questo viene chiesto ai monaci anche di ritirarsi dai social media.
Dopo le disposizioni ratificate dal patriarca, anche altri esponenti della gerarchia copta, come il vescovo Raphael, hanno annunciato la chiusura dei propri account e blog personali.