Mamme educatrici

Sabato 27 agosto, Santa Monica, madre di Sant’ Agostino, vescovo algerino. Prego per tutte le mamme, in particolare per quelle che conosco a Touggourt. È importante che le mamme  facciano opera di educazione nel mettere e nel far emergere dal cuore dei figli i primi sentimenti umani, religiosi e di accoglienza dell’altro anche se straniero, correggendo, se necessario, quei luoghi comuni che ci mantengono separati.

La mamma dei sette Maccabei chinatasi sul figlio, così disse nella lingua paterna: «Figlio, abbi pietà di me che ti ho portato in seno… che ti ho educato… Ti prego, o figlio, di osservare il cielo e la terra e di mirare tutte le cose in essi contenute e di dedurne che Dio non le ha fatte da cose preesistenti, e che il genere umano ha la stessa origine. Non temere questo carnefice, ma accetta la morte, mostrandoti degno dei fratelli, affinché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli al momento della misericordia».

Sant’Agostino nel libro delle Confessioni ci tramanda le ultime parole di sua madre sul lido di Ostia: «Mia madre disse: “Figlio mio, per quanto mi riguarda, questa vita ormai non ha più nessuna attrattiva per me. Cosa faccio ancora qui e perché sono qui, lo ignoro. Le mie speranze sulla terra sono ormai esaurite. Una sola cosa c’era, che mi faceva desiderare di rimanere quaggiù ancora per un poco: il vederti cristiano prima di morire. Il mio Dio mi ha soddisfatta ampiamente, poiché ti vedo addirittura disprezzare la felicità terrena per servire lui. Cosa faccio qui?”».

Christian de Chergé, il superiore dei sette monaci di Tiberine (Algeria), uccisi nel 1996, dice che fu sua madre a mettergli nel cuore i primi sentimenti di rispetto per i musulmani. Scrive: «Avevo cinque anni, e scoprivo l’Algeria per un primo soggiorno di tre anni. Conservo una profonda riconoscenza a mia madre che ha insegnato, a me e ai miei fratelli, il rispetto della rettitudine e dei gesti della preghiera musulmana. “Pregano Dio”, diceva  mia madre. Così, ho sempre saputo che il Dio dell’islam ed il Dio di Gesù non sono diversi».


Lettera di una mamma algerina musulmana dopo l’uccisione dei sette monaci

 

Dopo la tragedia e il sacrificio vissuto da voi e da noi, dopo le lacrime e il messaggio di vita, di onore e di tolleranza trasmesso a voi e a noi dai nostri fratelli monaci, ho deciso di leggere il testamento di Christian, ad alta voce e con profonda commozione, ai miei figli perché ho sentito che era destinato a tutti e a tutte. Volevo dire loro il messaggio di amore per Dio e per gli uomini…

Io e i miei figli siamo molto toccati da una così grande umiltà, un così grande cuore, dalla pace dell’anima e dal perdono. Il testamento di Christian è molto più di un messaggio: è come un sole che ci è trasmesso, ha l’inestimabile valore del sangue versato.

Nostro compito è quello di continuare il cammino di pace, di amore di Dio e dell’uomo nelle sue differenze. Nostro compito è innaffiare i semi affidatici dai nostri fratelli monaci affinché i fiori crescano un po’ ovunque, belli nella loro varietà di colori e profumi.

La chiesa cristiana con la sua presenza continui a costruire con noi l’Algeria della libertà delle fedi e delle differenze, l’universale e l’umanità. Sarà un bel mazzo di fiori per noi e una grande opportunità per tutti e per tutte. Grazie alla chiesa di essere presente in mezzo a noi oggi. Grazie a ciascuno e a ciascuna. Grazie a voi monaci per il vostro grande cuore: continui a battere per noi, sempre presente, sempre tra noi… E ora riposino tutti in pace, a casa loro, in Algeria.

(lettera firmata. 01.06.’96)

Missione nuova

Nei dodici giorni vissuti in Camerun, dal 4 al 16 luglio scorso, ho potuto incontrare, rivedere, rimettermi dentro varie situazioni e vari aspetti di questo Paese e della Chiesa che vi opera.

Yaoundé, Maroua, Yagoua e alla fine Ebolowa, i luoghi delle visite e degli incontri. Naturalmente ho frequentato maggiormente i miei confratelli del Pime e la sorpresa è che in maggioranza sono indiani e uno è del Bangladesh, poiché parecchi italiani erano in Italia o per vacanza o per cure mediche. Ebbene questo è il nuovo volto del Pime che si fa sempre più internazionale.

È con viva soddisfazione che vedo questi preti e fratelli laici svolgere le loro attività con dedizione e capacità. Lo spirito italiano si trova a vivere con altri spiriti e geni in comunione ecclesiale.

La Chiesa è la prima a sperimentare con spirito di famiglia l’internazionalità e la globalizzazione; è cattolica, universale, per natura e per espansione.

Una novità importante è che in questi ultimi anni sono state affidate al clero locale tre grosse parrocchie, quelle di Guidiguis e di Moutourouwa nella diocesi di Yagoua e quella di Ngousso

nella diocesi di Yaoundé. Parrocchie da noi già ben avviate e autosufficienti. Ci si è spostati verso luoghi nuovi, bisognosi della presenza e dell’azione di chi sempre ricomincia con dedizione e la forza. È un po’ quanto l’Istituto vive da oltre 150 anni in varie parti del mondo.

Interessante la domanda postami da un confratello indiano: «Finora la nostra presenza è stata vissuta prevalentemente nella pastorale delle comunità da far crescere e da organizzare. Ci sono altri servizi che possiamo offrire a queste Chiese locali?».

Ho risposto che anch’io ho cominciato nel Nord del Camerun, nella pastorale degli inizi e dell’organizzazione della comunità di Guidiguis. Poi, la diocesi mi diede l’incarico della formazione dei catechisti che ho svolto per 25 anni. Presto varie diocesi del Camerun avranno un proprio clero sufficiente. Se ritornassi giovane, mi offrirei di accompagnare i preti perché mi sembrano un po’ isolati: mi sembra importante offrire loro un luogo dove pregare, riposarsi e alimentarsi di una bella e sana formazione sacerdotale. Ma ci sono altri servizi per noi membri di Istituti missionari, come quello, già vissuto, delle traduzioni della Bibbia e dei testi liturgici e dello studio delle lingue e delle culture. Poi c’è la fondazione Betlemme per handicappati, orfani, sordomuti, ecc. ecc

A conferma di ciò, aggiungo che padre Rino non nasconde la gioia di aver predicato gli esercizi spirituali a 120 preti di Yaoundé e di essere invitato a predicarli ai preti di Ebolowa, il prossimo anno.

Ovunque sono stato, ho visto vescovi e preti tanto affezionati e riconoscenti per il nostro operato. Siamo visti come gli iniziatori, e senza esagerare, i patriarchi. Dopo la morte di don Mario Bortoletto, il vescovo e i fedeli del sud del Camerun hanno voluto le sue spoglie. Il parroco di Ma’an mi diceva che ogni giorno arrivano dei fedeli, anche da lontano, per pregare sulla sua tomba. Molti africani vedono gli inizi della loro fede e della loro vocazione sacerdotale e religiosa a partire dall’esempio di qualcuno di noi.

Il vescovo di Ebolowa mi ha invitato a parlare a tutti i preti della mia vita in Algeria. Alla fine del pranzo ho concluso: «Nei miei ricordi vedo che lo Spirito Santo ha i suoi tempi per le sue imprese. È stato durante un pranzo, nel 1975, che ho chiesto al vescovo di Vicenza preti per Ebolowa e lui li ha mandati. E oggi, durante un pranzo, ottengo per l’Algeria l’interesse e le preghiere di un vescovo e di altri preti».

Naturalmente, in questi giorni, nel cuore sentivo la gioia di poter dire: «Grazie, Signore! Non a noi la gloria! A te lode e benedizione».