Santità vicina

Ho avuto la fortuna di partecipare il 26 e 27 giugno ai festeggiamenti per la beatificazione di padre Clemente Vismara del Pime, di suor Enrichetta Alfieri, l’angelo di San Vittore, e di don Serafino Morazzone, prete diocesano di Milano. In piazza Duomo a Milano ero proprio sotto il quadro dei tre Beati e mi sono commosso quando questa immagine appariva un po’alla volta. La piazza era gremita di amici dei tre Beati. Metà era rossa dei berretti dei fedeli di Agrate.

Nella parrocchia di Agrate il lunedì dopo, ero ancora vicinissimo al suo quadro e alla sua reliquia mentre ci celebrava l’Eucaristia. Con vivo entusiasmo i fedeli di Agrate cantavano l’inno a padre Clemente: «Clemente di Dio, tu parli alla gente invitando alla gioia. La vita è radiosa se spesa per gli altri, se la sete di amare ci spinge lontano. La gioia è nel cuore dell’uomo che ama, dell’uomo che vive donando ai fratelli. Non c’è mai tristezza per chi vive in missione, per chi perde se stesso per amore di Dio».

L’applauso più lungo è stato per Giuseppe, il giovane birmano miracolato.

In questi giorni la nostra casa di Milano era piena di missionari del Pime venuti da tante missioni e da vescovi, preti e laici della Birmania e della Tailandia.

Questo avvenimento mi resterà a lungo impresso. Quanti momenti belli, sentimenti forti, incontri…

Ci tengo a comunicarvene tre.

Trovandoci insieme, noi missionari del Pime, abbiamo vissuto questi giorni con gioia serena e con semplicità. La frase più bella sentita riguarda un ricordo di padre Filipazzi, uno dei compagni del Vismara, che quando sentì che si incominciava il suo processo di beatificazione, esclamò: “Se fanno beato lui, devono fare beati tutti noi!”.

Ne ho visti tanti di missionari birmani, compreso il Bellotti, venuto poi in Camerun, ed erano tutti dello stesso calibro e entusiasmo.

La seconda cosa straordinaria è Agrate. Se Vismara è stato riconosciuto ufficialmente beato è perché lui ha vissuto in Birmania ma strettamente unito alla sua parrocchia. E il gruppo missionario l’ha sempre sostenuto, sobbarcandosi poi e in modo meraviglioso, anche economicamente, tutto il cammino e tutta la celebrazione della beatificazione.

Il terzo è il pensiero della santità. Ho sentito in questi giorni che la santità è vicina. Non perché sono già santo, ma avendo conosciuto questi confratelli e sapendo che c’è una lista dei nostri in procinto di essere riconosciuti tali dalla Chiesa, basterebbe che mi impegnassi un pochino di più, non per essere riconosciuto, ma per esserlo veramente. Dimentico però una cosa. Ci vuole, è vero, una scelta precisa e fedele, ma nello stesso tempo ci vuole la caparbietà di padre Clemente di stare unito a Gesù e alla gente e di lasciarsi guidare. Questa caparbietà è dono ricevuto da Dio.

Rapporto con gli altri più maturo

Mi sono chiesto: «Che comunione vivo con questa gente? Posso sentirmi solamente diverso e quindi distaccato, separato?». Quando mi raccontano la loro vita, il loro amore della famiglia e dei poveri, la loro preghiera quotidiana. Quando ogni mattina vedo la mamma davanti a casa sua che mi indica al suo bambino perché mi saluti. Quando constato ogni giorno la loro stima per tanti che hanno lavorato qui, quando sento l’affetto della gente per le Piccole Sorelle ritenute le loro mamme. Quando con affetto osano chiedermi: «E tu, preghi?» e lo fanno perché la preghiera è il momento più bello della vita e lo dobbiamo vivere tutti e tutti vicini gli uni agli altri.

Charles de Foucauld in Marocco, militare e lontano dalla sua fede, si sentì interrogato dall’islam e scrisse: «L’islam ha prodotto in me un grande cambiamento. La vista di questa fede, di queste anime che vivono nella continua presenza di Dio, mi ha fatto intravedere qualche cosa di più grande, di più vero che le occupazioni mondane».

Il vescovo Pierre Claverie di Orano raccontava: «La mia educazione è avvenuta dentro l’amore esemplare della mia piccola e grande famiglia e dentro una tradizione religiosa ben fissa. Ma era anche come vivere dentro un recinto ben protetto e chiuso, dentro una bolla di sapone. Membro di una famiglia francese, avevo vissuto la mia infanzia in mezzo a un popolo di algerini musulmani, ignorando la loro cultura e la loro religione». Poi cambiò direzione sino a dare la vita.

Christian de Chergé, il priore del monastero di Tibhirine, ha trovato il fondamento dell’unica fede, dell’unica preghiera, dell’unico amore nell’uomo che ha salvato la sua vita, poi nell’uomo musulmano col quale ha passato una notte in preghiera, e con gli Alauyis che hanno chiesto di pregare insieme. Diceva: «È importante lasciarmi trasportare il più avanti possibile nella preghiera dell’altro se voglio essere un cristiano vicino a un musulmano. La mia vocazione è di unirmi a Cristo attraverso il quale sale ogni preghiera e che offre al Padre misteriosamente questa preghiera dell’islam come quella di ogni cuore giusto».

Anche per me sta avvenendo un’apertura.  Poco a poco, avviene un aprirmi, un interesse, l’appropriarmi di una realtà più vasta.

Le varie esperienze fatte, di missione e di azione nelle varie società, mi portano alla conoscenza di un’umanità più ricca, delle varie culture, delle religioni e di un Dio dai mille nomi, volti, esperienze, cammini.

Più resto qui, più mi sento interrogato e spinto a rendermi conto di ciò che ci unisce già, anche se resta velato, prudente, ma in attesa. Per trovare nella loro esistenza quanto mi unisce a loro mi sento chiamato anzitutto ad approfondire la mia spiritualità e a partire da quanto c’è già in me nel mio essere cristiano. Christian de Chergé diceva che lo Spirito gioca con le diversità: gioca, agisce, conduce…

La preghiera del cristiano è preghiera di Gesù e dello Spirito che la anima. Gesù presenta al Padre le preghiere dell’umanità e le preghiere che lo Spirito ispira nei credenti. Il cristiano continua a vivere in Gesù il servizio di essere l’intercessore per l’umanità. Questo mi chiede di impegnarmi a sentirmi unito a ogni  preghiera e a farla mia, a mettere la mia preghiera nella loro e la loro nella mia.

In più sono invitato a mantenere viva la contemplazione di quanto ci unisce. Come ogni uomo e ogni donna sono tali e diversi non per restare separati ma per vivere una comunione più intensa, così la diversità nelle culture e nelle religioni mostra la ricchezza dell’azione dello Spirito e sono fatte per un arricchimento comune. Si tratta di scoprirle, di conoscerle.

Il Concilio ha riacceso la spiritualità della comunione e della contemplazione. «Dobbiamo ritenere che in un modo che Dio sa, per lo Spirito Santo, ogni uomo è associato al mistero pasquale». (Gaudium et Spes 22,5)

Attenersi alla parola data

Il cardinal Bagnasco dice l’importanza di attenersi alla parola data. Pur da lontano, vivendo ora nel Sahara algerino, seguo le vicende di questo mondo o alla radio o alla televisione. Si va sempre più verso la globalizzazione di tutto e, nello stesso tempo, verso l’abbandono e il distacco dalle tradizioni e dalle radici culturali. Ogni cultura ha conosciuto l’importanza della parola. Osservando e seguendo ora informazioni, giudizi, supposizioni, attacchi offensivi, ecc  mi domando dove stia andando la parola.
Spesso mi sorprendo a ricordare le “parole” degli anziani tupuri del Camerun e del Ciad.Ecco alcuni dei loro proverbi.
La lingua è stata messa come spartiacque delle parole
Alcuni parlano senza riflettere e nelle vive discussioni dicono parole malvagie e offensive. A volte rivelano segreti o cose personali che non rispettano la dignità delle persone. La parola deve mostrare la saggezza di chi parla.
Non si semina con la pioggia di un mentitore
Bisogna ben conoscere le piogge. Alcune sono vere, sufficienti, scese al momento giusto per poter seminare. Altre non danno sufficiente garanzia ed è inutile seminare. Se uno è mentitore, non offre sufficiente fiducia per credergli.
È il flauto vedovo
Da solo il flauto non piace, deve essere accompagnato da qualche strumento. È la parola di chi pensa da solo senza rispettare il pensiero degli altri e la tradizione del suo popolo che è molto importante.
Si macina sulla grossa pietra
Ogni donna nella sua capanna ha due pietre: una grossa e appiattita su cui si posa il miglio da macinare, e una piccola che passa sopra con forza di muscoli per rendere il miglio in farina. La pietra grande è simbolo del capo famiglia o degli anziani. Oggi gli anziani si lamentano quando i giovani (la pietra piccola) parlano senza tener conto di loro.
La parola è migliore del bastone
Si ottiene di più con la persuasione della parola. Col bastone non si convince.
La bocca è una cicatrice che non guarisce
Chi non fa attenzione alle sue parole continua a  soffrire e a fare del male.
La parola dell’uomo ha preso l’uccello in volo
La parola arriva lontano.
La furbizia del parlare non dura un mese
Il fidanzato può vantarsi di possedere ricchezze e meriti, ma presto si scopre la verità e perde la fidanzata.
Dici che sei scaltro, ma Dio ti vede
È la parola dell’anziano e del povero di fronte al giovane prepotente. Dio vede e protegge.
La parola “coraggio” non riempie il sacco
Non si soddisfa un bisognoso soltanto con belle parole.
Non si danza sui piedi degli altri
Ognuno è responsabile di quello che dice. Non si è come il pappagallo che ripete parole altrui e che non sa

Lo Spirito ritmerà la fraternità

In un inno allo Spirito Santo leggo: «Lo Spirito ritmerà la fraternità».

Quando trovo la parola ritmo non posso dimenticare quello che ho vissuto in Camerun durante le feste. Al centro c’era sempre il tamburo e questo per ore e ore. Varie volte, anche durante le liturgie, vidi qualcuno togliere bruscamente il tamburo al battitore perché non sapeva dare il giusto ritmo. C’è anche un proverbio che dice: «Non si affida il tamburo a uno stolto!». Infatti il ritmo è l’anima della festa. Se il ritmo non è perfetto, tutti sono infastiditi e insoddisfatti.

Puoi vedere mille e più persone muoversi tutti insieme. Da lontano, anche a dieci chilometri di distanza, puoi sentire il ritmo sordo profondo: lì c’è una festa!

La frase «Lo Spirito ritmerà la fraternità” mi ricorda l’ultimo testo che ci ha lasciato padre Denis Pillet, un Padre Bianco, prima di ritornare in Francia, dopo 64 anni di vita in Algeria.

Quando Papa Giovanni Paolo II disse: «Ogni preghiera autentica appartiene allo Spirito Santo che è nel cuore di ogni uomo. E per trovare la pace è necessaria la preghiera di tutti». padre Denis dice che siamo in piena situazione evangelica e si augura che chi resta in Algeria abbia il coraggio di inventare la sua strada nella fedeltà ecclesiale allo Spirito che soffia dove vuole. Dove c’è vera preghiera, lo Spirito agisce, forma i cuori all’incontro con Dio e col fratello.

L’avventura dell’incontro con l’altro di ogni cultura o religione non è solo un’avventura umana. Il primo a crederci e a impegnarsi è lo Spirito Santo.

Spirito di Dio tu sei il vento… ai tempi nuovi sei dato sospiro di un mondo che spera, ovunque presente come una danza, esplosione della tua libertà.

Ogni uomo è una storia sacra, l’uomo è immagine di Dio. Inventa ancora agli uomini i cammini del loro esodo.