In ricordo di padre Giorgio Ferrara: lo chiamavo Lupetto

Me lo ha ricordato padre Ferruccio Brambillasca, il superiore generale del Pime che in questi giorni si trova in Camerun. Parlando di padre Giorgio Ferrara, partito per il Cielo lo scorso 25 gennaio, mi disse: «Lo chiamavi Lupetto». È vero! Perché, anche studente di teologia nel nostro seminario teologico di Milano, aveva conservato un volto da giovane scout semplice e gioioso.

Lo potrete rivedere nelle foto apparse nel nostro sito Pime e leggere alcune notizie della sua vita di missionario in Giappone, Stati Uniti e Italia. Apparteneva alla classe più numerosa che ho conosciuto durante i sette anni di rettore, una classe ricca di studenti di qualità da cui sono usciti pezzi da novanta, e tra loro anche un vescovo. Nel gruppo era spesso il meno in vista. Sempre disponibile a qualche servizio, rispondeva: «Sì, subito, è quello che ci voleva per me!».

La notizia della morte continua a tormentarmi. Ho pensato immediatamente alla sua famiglia, ai suoi compagni, agli amici, alle madrine del Pime che l’hanno incontrato ancora qualche volta tra i suoi anni vissuti in Giappone e quelli negli Stati Uniti dove è deceduto. E subito nei ricordi si sono aggiunti i padri Mariano Ponzinibbi, Graziano Rota, Luigi Siviero, anche loro partiti per il Cielo ancora giovani.

Con tutti avevo vissuto un cammino formativo, bello e positivo. È il ricordo ancora vivo di quanto condiviso in profondità sia in seminario, sia quando ci capitava di incontrarci dopo anni di missione. La loro dipartita mi fa non solo soffrire, ma mi fa crescere in quel rapporto di paternità in pieno senso ecclesiale, comunitario e missionario. Mi esce anche un piccolo lamento: «Signore perché ce li hai presi?». Ma resto sereno, col cuore in pace, perché sento risuonare in me la frase di padre Giorgio: «Sì, è quello che ci voleva per me!». Ma anche perché tutti e quattro sono ora ancora missionari in quella parte di Pime che è in Cielo, dove è loro concesso di  camminare e di accompagnarci, ancora in preghiera, verso quei luoghi in cui Gesù non è ancora conosciuto.

 

Accanto a don Mario Bortoletto a Ma’an

Don Mario Bortoletto di Treviso visse 38 anni come prete fidei donum nella missione di Ambam, nel sud del Camerun e gli ultimi 3 anni nella parrocchia di Ntem-a-si à Yaoundé, come associato del Pime. Ora è sepolto a Ma’an, nella chiesa voluta da lui e gode della gioia e della luce del volto del Signore e dell’affetto dei suoi “figli”, che ha aiutato a nascere col Battesimo e che vivono del suo ricordo intenso, carico ancora del suo amore e dell’amore di Dio.

Martedì 7 gennaio, a Ma’an, noi missionari del Pime abbiamo vissuto un incontro coi preti africani che si dicono “figli” di padre Mario. Sette di loro erano presenti e hanno testimoniato la loro gioia di sentirsi ancora accompagnati da don Mario. Hanno partecipato all’incontro anche alcuni cristiani della zona, i missionari che operano a Yaoundé e i sei studenti del seminario filosofico che si preparano a diventare missionari del Pime.

L’incontro è stato una prova evidente, un’intensa testimonianza di chi è stato don Mario e di quello che rappresenta ancora oggi. Avevamo preparato il libro La catéchèse du père Mario Bortoletto contextualisée et animée dans la culture ntumu, che mostra come don Mario si era inculturato per vivere il suo amore per il popolo ntumu. L’abbiamo distribuito anche perché possa essere arricchito e migliorato.

Per me è stato un momento straordinario in continuità con quello che avevo vissuto nello scorso gennaio 2019, durante la visita dei cinque diaconi di Treviso con il loro rettore, che intendevano così mantenere un rapporto vivo con la missione dove i sacerdoti di Treviso avevano lavorato per trent’anni coi missionari del Pime. Durante quella visita, vedendo l’entusiasmo gioioso della gente, mi era ritornato forte e profondo il legame che avevo vissuto anch’io nei miei primi anni di missione. Ho organizzato l’incontro dei preti africani di Ambam con noi missionari del Pime a Ma’an, perché nel sacerdozio e nel ricordo di don Mario c’è un legame, una comunione con loro che va continuato e coltivato per la vitalità della Chiesa del Camerun.

L’artista e teologo Rupnik mi suggerisce l’immagine del vecchio che con la saggezza e l’esperienza trasmette ancora qualche staffetta vitale. Ho detto ai preti camerunesi che ora saranno loro a invitare i missionari del Pime per degli incontri accanto a don Mario. Hanno accolto la proposta. Avevo anche raccomandato loro il seminario filosofico internazionale che stiamo costruendo a Yaoundé. Si tratta non solo di rispondere alle domande degli studenti – per ora di quattro Paesi africani – che vogliono essere missionari con noi, ma di una continuità di quanto iniziato col gemellaggio vissuto anni fa e che continua a portare i suoi frutti.

Quanto sono belli i passi di don Mario e dei primi missionari. Gesù camminava e vuole camminare ancora!