Come vieni Signore?

«Natale di Gesù, festa della fiducia e della speranza, che supera l’incertezza e il pessimismo. E la ragione della nostra speranza è questa: Dio è con noi e Dio si fida ancora di noi!». Con queste parole Papa Francesco ci augura il Buon Natale di questo anno 2013.
In Algeria, i cristiani si preparano a una grande riunione che avverrà nell’ottobre del 2014. Si stanno domandando come e dove trovano il Signore e come lo testimoniano.
Eccovi alcune testimonianze: «Ogni giorno sentiamo cinque volte l’appello alla preghiera. Sì, Dio è presente tra noi sulle nostre strade, Emmanuele, con noi nei nostri incontri giorno dopo giorno».
«La vita con questo popolo, la loro ospitalità generosa, l’amicizia quasi-protettrice, la loro apertura all’altro diverso, la loro fedeltà alla preghiera, il gusto della condivisione, la loro solidarietà … tutto mi testimonia che il Regno è già presente, che Gesù è presente e cammina con noi».
In Algeria, i cristiani vivono coi musulmani nell’amicizia e nel rispetto reciproco. Ma in molti Paesi le tensioni nelle relazioni tra credenti di diverse famiglie religiose sono estremamente tese e tragiche, come in Siria, Egitto, Libia, Africa centrale…
Il trevigiano mons. Ilario Antoniazzi, arcivescovo di Tunisi, intervistato da Maria Laura Conte, dice: «Percepiamo la grande tensione che segna il Paese. Più che per la situazione attuale, appena uscita da una certa stagnazione, temiamo per quello che potrebbe accadere. Soprattutto che si crei un vuoto politico, che solo Dio sa chi potrà riempire. Ci sono stati arresti di gruppi salafiti, sono state trovate delle armi, siamo come in una pentola bollente, che potrebbe scoppiare. Gruppi di salafiti sono andati a combattere in Siria e quando tornano importano l’esperienza della guerriglia, sono pronti a tutto, fino a farsi martiri per la guerra santa nel nome di Dio. Ciò che mi tranquillizza è che il popolo tunisino ama la pace… Il mio primo Natale a Tunisi mi sta insegnando molto. L’assenza di luminarie e di segni evidenti dei preparativi della festa mi colpisce in modo particolare… Ma proprio questa sorta di nostalgia mi costringe a un ritorno all’essenziale. Mi invita a sbarazzarmi di tutto ciò che è secondario, per lasciarmi condurre al significato essenziale del Natale: Gesù che viene. Quel Gesù che proprio là dove non mancano luminarie e decori di ogni genere, come nel ricco Occidente, quasi non si nomina più. Ecco: a Tunisi siamo aiutati a riandare all’essenziale».
Cari amici, vi auguro di trovare il Signore nella preghiera e nell’incontro di ogni altro che vedete sulla vostra strada. E con la gioia del Vangelo nel cuore. Buon Natale!

Fiducia nel Signore e nei vicini

Rimasta sola nella sua fraternità delle Piccole Sorelle di San Francesco di Ouargla, Margherita Clouet ha voluto mantenere una presenza cristiana. Ci racconta: «Attorno a me si è creata una grande solidarietà. In ambito diocesano, alcune suore di Hassi Messaud, Touggourt, Ghardaia sono venute per qualche tempo per restare con me o mi hanno accolto presso di loro. Ottima occasione per sentire e vivere la dimensione universale della nostra diocesi. Anche gli amici della fraternità e le famiglie dei disabili che accompagno sono molto presenti, attenti a rendermi piccoli servizi, a invitarmi a pranzo presso di loro. La vicina Rachida mi reca un pasto caldo per festeggiare l’arrivo della mia superiora generale. Hadja, infermiera all’ospedale, passa spesso a vedermi e veglia su di me. Nouna, la mamma del malato Nadir, arriva un giorno per dirmi: “Ci hai cambiato la vita con Nadir, ora tocca a noi aiutarti”. Djamel  si occupa per mantenere bello il giardino e dovunque si vedono rose, garofani, giacinti… e gli amici vengono a gustarsi momenti di riposo. E che dire di Boussaud, uomo tuttofare che mi mantiene in ordine la casa?…».

Fede “ricaricabile”

L’amico Abderrahmane Lassaker ci confida che la fede non è frutto di una riflessione intellettuale, ma qualcosa che Dio mette nel nostro cuore, come l’amore… E ciò non si può spiegare.
Così racconta: «Mi sono sempre ispirato ai profeti. Noè, per esempio… Tutti lo deridevano quando costruiva l’Arca e si salvò per la sua fede. Faccio parte di una confraternita musulmana e abbiamo dei maestri spirituali che trasformano alcune idee celestiali in azione sociale, per la giustizia, e così via. Per essere fedele ai principi del Corano mi chiedo sempre cosa sia lecito o non lecito. Ma per la mia fede, vado ad aiutare persone in difficoltà e di qualsiasi appartenenza religiosa. Un giorno diedi aiuto a un gruppo di siriani che portavano la croce al collo. Operai che lavoravano qui. Nessuno si fermava ad aiutarli. Si nutre la fede, mettendosi a servizio degli altri, per piacere a Dio, e non in vista di una ricompensa. Nelle difficoltà della vita quotidiana (arroganza di chi detiene il potere), nei momenti duri (incidenti, perdita di un parente), la fede è un conforto. Essa permette di sopportare gli insulti, le ingiustizie, i comportamenti incivili, piuttosto di rendere male al male. Avevo un posto di direttore delle relazioni umane. Era spesso difficile. Con la fede ho potuto affrontare i problemi. Altrimenti avrei dato le dimissioni. La fede è come un telefono portabile, va sempre ricaricata. A chi mi legge voglio dire che siamo tutti fratelli, qualsiasi siano le nostre convinzioni religiose e dobbiamo costruire un mondo dove ognuno troverà il suo posto». (trad. dalla rivista Pax et Concordia)

Sei Clemente?

È la domanda che alcuni algerini facevano continuamente a Clément Bigirimana, studente del Burundi, giunto nel 2007 e ritornato nel suo Paese con la licenza di insegnamento della lingua francese ottenuta presso l’università di Wargla.
Prima di partire ha raccontato: «Ho vissuto un bel periodo in cui ho scoperto che la vita è un “sistema”, dove tutto si capovolge: il bene e il male, la salute e la malattia, la gioia e lo sconforto, l’incertezza e la convinzione… E per me? Qui in Algeria non ho mai visto la mia vita in negativo. Ho condotto una vita semplice che mi ha reso “vicino” e disponibile a tutti. E ho scoperto un’altra immagine della “Chiesa-Famiglia di Dio”. Questo mi ha dato coraggio e gioia per vivere in mezzo a un popolo con il quale ho tessuto amicizie che non mi attendevo. Allora mi resta ancora forte la domanda degli algerini: “Sei Clemente?” Sì, me lo chiedo anch’io, perché questo mio nome di battesimo mi mette in relazione diretta con Dio, che è clemente e che vuole che il suo amore sia il segno di chi sa viverlo».