Mons. Antoniazzi, arcivescovo di Tunisi

Lo Spirito Santo si sta divertendo a spostare i suoi fedeli come vuole. Dall’Argentina il nuovo vescovo di Roma. Da San Polo di Piave (Treviso), prima, e da Rameh (Galilea) poi, il nuovo vescovo di Tunisi. Con sorpresa, come quando il poliziotto che verificava i passaporti di un gruppo di religiose, vedeva una proveniente dalla Corea, un’altra dall’Italia, un’altra dalla Francia, un’altra ancora dall’India e chiese: «Come avete fatto a mettervi insieme?».
Intervistato da Maria Laura Conte, Mons. Ilario dice: «È un vero salto quello che mi attende. Spero non un “salto mortale”. Sarà molto diverso il contesto, ma quello che mi aspetto è di capire il piano del Signore su di me e sulla Tunisia. Ho parlato con il Vicario generale dell’arcidiocesi che mi ha descritto la situazione nel dettaglio e ho colto che ciò su cui dovremo tutti insistere è la speranza: la speranza dei cristiani che vivono lì deve essere sempre alimentata. La Tunisia vive un momento delicato e molti si chiedono come potrà andare a finire la storia. Ma è solo il Signore, il Dio della storia, non l’uomo, che può rispondere».
«Lei svolgerà il suo ministero in un Paese nel quale ha vinto le elezioni il partito a riferimento islamico. Come i cristiani possono agire e annunciare il Risorto qui senza incorrere nel rischio di essere accusati di proselitismo?»
Il nuovo vescovo risponde: «Questo è un punto cruciale. Credo che ci vengano in aiuto i nostri predecessori, i nostri padri cristiani che hanno testimoniato Cristo e diffuso la fede cristiana con la loro carità. Chi li incontrava e vedeva come si comportavano, arrivava a domandarsi: “Dove sta l’origine della loro capacità di amare e di donarsi? Come possono vivere così?”. Ecco: si può predicare il Vangelo vivendo la carità. Basti pensare a madre Teresa di Calcutta: era sola, ma con sua umiltà e carità ha cambiato il cuore di tanti. Anche noi possiamo dare qualcosa, nel quotidiano, non possiamo restare a guardare. Senza pretese. La principale “predica” per i musulmani non è quella che facciamo in Chiesa davanti a tutti, ma il nostro modo di vivere e agire. Se qualcuno chiede aiuto, è inutile chiedergli di che religione sia. La carità non distingue né pone problemi, ti spinge verso il prossimo e il resto lo fa il Signore».

Il Papa si ritira a pregare

Scelta non facile da capire. Ho letto: coraggio, umiltà, ecc.
Sembrerò strano, ma non vi nascondo i sentimenti dei padri fondatori del Pime che mi sono venuti alla memoria, qui nella mia solitudine dell’Algeria.
Padre Salerio, attorno al 1860, risponde a lungo alle obiezioni che erano state fatte circa la scelta dell’Oceania, la prima missione del Pime: «Ubbidirono, non scelsero! Nessuno osi giudicare e tanto meno proferire parola di disapprovazione sulla condotta di chi portò all’altare del sacrificio ogni sua cosa, ogni affezione, la vita. Io vorrei poter stringere la mano al mio buon Paolo Reina, responsabile della missione e dirgli: “A questi patti si partì: sacrificar tutto a Dio”».
La missione dell’Oceania è tra le più difficili? Se ci pare che «il coraggio e la calma tranquillità» con cui gli Apostoli andavano in tutte le regioni dell’universo fossero esagerazione e non più imitabili, «accusiamoci di debolezza e di poca fede».
La missione “oceanese” è tanto difficile che altri non la vollero? «Lodiamo il Signore che così serbava il campo alle nostre fatiche, dove i nostri sudori, e fosse pur anche il sangue, misto a quello di Cristo, sarà redenzione e salute a quei popoli abbandonati, che noi ameremo sempre con affetto di padre…».
«Si annunziano pericoli e morti disastrose? Tanto meglio! Da che Cristo ha dato il suo sangue, non so che la fede sia mai cresciuta se non irrigata dal sangue dei suoi credenti; e da che il Capo ha versato tutto il suo sangue, gli altri membri non devono esserne avari; il sangue dei Martiri fu sempre la speranza della Chiesa».
Papa Ratzinger non parte lontano e non lascia la Chiesa… Parte a pregare, per la Chiesa e per il mondo. Per noi.
Come chi obbedisce e porta all’altare del sacrificio ogni sua cosa, ogni affezione, la vita.

Dio, il prezzo dell’uomo

Il cardinale Roger Etchegaray termina il suo libro L’homme à quel prix? (“A che prezzo l’uomo?”) affermando: «È Dio il prezzo dell’uomo».
«Non un affare commerciale per valutare il piede di un calciatore, la gamba di una star, la pelle di un immigrato, il cervello di un sapiente. L’uomo è costato la vita stessa di Dio Salvatore che si è offerto attraverso il sangue prezioso del Cristo».
Il cardinale francese è impegnato al servizio dell’uomo e conosce il prezzo da pagare per la sua libertà. Esperto durante il Concilio, stretto collaboratore di Giovanni Paolo II, incaricato di missioni di giustizia e di pace in Cina e nel Rwanda.
Il suo libro aiuta a pensare, invita a risentire il soffio del Concilio con le parole di Paolo VI: «Suona l’ora per la Chiesa di approfondire la coscienza che ha di se stessa» (Ecclesia suam). A condizione, dice il Cardinale, che la Chiesa «sotto il sole bruciante della parola di Dio, come Cristo condotto dallo Spirito nel deserto, possa trovarvi la forza di restare fedele a Cristo vincitore di tutte le tentazioni».
In particolare, il libro invita al dialogo, alla volontà di comunicare tra tutti i cercatori di Dio, nella grande sfida di pluralismo religioso della nostra epoca. Riporta la frase pronunciata dal cardinale Angelo Scola a Tunisi nel giugno 2012: «Cristiani e musulmani… non siamo tutti in un tempo di transumanza verso nuovi orizzonti?». Si tratta non soltanto della necessità di dialogo inter-religioso, ma piuttosto della necessità di dialogo intra-religioso che spinge ogni religione ad andare più dentro se stessa in spirito e verità.
È quanto diceva Fernando Portal, morto nel 1926, pioniere dell’ecumenismo. «L’unione sarà fatta dal di dentro con una nuova vita religiosa che sale dal profondo del Cristianesimo. Sorgenti diverse, ma… acque che provengono dalla stessa nappa. Formeranno un solo fiume che tracimerà dai suoi bordi. Sarà l’avvenire della Chiesa». La frase è per i cristiani, ma l’invito a ritrovare le sorgenti, i Semi del Verbo, può essere per tutti i veri credenti.
Il cardinale attraverso le pagine del libro manifesta una grande passione per l’uomo (la passione di Dio?) e una infaticabile speranza.

Bussa alla mia porta

Come ogni giorno alle sei e trenta, sono in strada per andare a celebrare la messa con le Piccole Sorelle di Touggourt. La strada è completamente deserta. Da lontano sento delle grida e dei colpi contro porte e saracinesche. Intravedo un uomo che si dimena, minaccia e insulta. Passo dall’altra parte del marciapiede, ma l’uomo appena mi vede viene verso di me. Non è la prima volta. Cerco il mio sorriso migliore, gli vado incontro e stendo la mano. L’uomo si calma, mi da la mano, accenna un sorriso e pone il suo volto sulla mia spalla, piangendo. È comune salutarsi tra amici, ponendo il volto sulla spalla. Ma quel mattino, per strada, quel volto sulla spalla, quelle lacrime, mi dicono di più… Dopo un po’ lo rivedo seduto per terra, calmo.
Vivendo qui a Touggourt accosto tante persone, soprattutto studenti. Spesso anche i loro genitori. A volte anche persone con problemi, oltre a chi si trascina verso nord, sperando di passare il mare. È la mia grande famiglia. Non accadono grandi cose. Ci si vuol bene.

Bussa alla mia porta
Tu che vieni a disturbarmi
Bussa alla mia porta
Tu vieni a risuscitarmi

Non so ne il giorno ne l’ora
Ma so che sei tu Signore

Bussa alla mia porta
Tutto il vento del tuo spirito
Bussa alla mia porta
Il grido di tutti i miei fratelli

Bussa alla mia porta
Il grido dei tuoi affamati
Bussa alla mia porta
La catena dei prigionieri

Bussa alla mia porta
Tu, la miseria del mondo
Bussa alla mia porta
Il Dio di tutta la mia gioia.

(Inno del breviario francese)

Impressioni di infinito

In un meraviglioso volume, il fotografo Faride Fellah pubblica le sue foto del Sahara: «Mondo muto, mondo di silenzi, mondo fuori del tempo che ha un filo che unisce cielo e terra, che ha una melodia profonda e serena che unisce o separa al di là del tempo e dell’eternità».
Ogni foto è accompagnata da un pensiero… Ogni silenzio si fa sentire attraverso una riflessione.
«Nonostante le loro origini, le loro credenze o non credenze, le loro certezze e il loro dubbio, la comunione del pensiero che gli scrittori testimoniano attraverso i loro scritti mostra come l’Universalità dell’Uomo non è una parola vuota…  Tutti evocano una simbiosi eterna sul mistero sahariano e diventano “gli ambasciatori” del mondo muto.  Balbettano, mormorano, si inabissano nella notte del Logos, fino a ritrovarsi a livello delle radici, dove si confondono le cose, le formulazioni…» (Francis Ponge)
Charles de Foucauld nel suo cammino per giungere a vivere coi Tuareg, arrivò fino alle alture dell’Assekrem nel sud del Sahara algerino. Ha lasciato scritto: «La vista è la più bella che non si possa dire, né immaginare. Nulla può dare l’idea di foresta di picchi e di guglie rocciose che si ha ai propri piedi. È una meraviglia. Non la si può ammirare senza pensare a Dio. Mi è difficile distogliere lo sguardo da questa vista ammirevole, la cui bellezza e impressione di infinito ci ravvicinano a Dio, mentre questa solitudine e questo aspetto selvaggio ci dimostrano quanto si è soli con Lui e come si una goccia d’acqua nel mare».
Sul quaderno delle testimonianze che la gente lascia scritte all’interno del suo eremo, ho letto:
«Non sono credente, ma oggi sono arrivato qui all’Assekrem. Ho letto qualche parola di Charles de Foucauld. Mi sento vicino a Dio e all’anima, alla grande anima, all’uomo, al santo. All’Assekrem ho toccato con mano la grandezza dell’universo. Ne sono affascinato». H.H.
«Come non pensare al creatore universale davanti a tanto splendore. Un paesaggio lunare, una vista magica che porta all’umiltà. Sufficiente per ricordare all’uomo che non è polvere e che deve tutto a Dio. Sufficiente per vivere felice». M.
Giorni fa ho avuto la gioia di passare alcune ore assieme a un amico che vive in un ambiente di dune e che conserva quanto la sua famiglia gli ha trasmesso di vita nel deserto. Mi diceva: «A un certo momento si avverte che il silenzio diventa una melodia e se ti lasci trasportare tu non sei più dove sei, ma entri in un altro mondo e senti una serenità infinita…».
Il Papa ha scritto un messaggio autografo al Meeting di Rimini, dicendo: «Anche se l’uomo rifiuta o nega Dio, la sete di infinito che abita il cuore dell’uomo non scompare mai».

In ricordo di mons. Duval

Nadjia Bouzeghrane scrive, nel giornale algerino El Watan del 25 marzo 2012, una testimonianza sul Card Duval.
Mons Duval, fin dal suo arrivo in Algeria nel 1947, ha operato per far riconoscere il diritto degli Algerini alla giustizia. «Dobbiamo rileggere gli scritti di Mons Duval – dice Christine Ray autrice del libro Il cardinal Duval, vescovo di Algeri -; questo uomo è una coscienza. Le parole giustizia, fedeltà agli algerini» riassumono la personalità del prelato.
I cambiamenti della Seconda Guerra mondiale l’avevano convinto che il tempo delle colonie era finito. Fin dal suo arrivo a Costantine, egli si mette in contatto con i responsabili delle comunità musulmane ed ebree. Vede subito l’ingiustizia coloniale, la miseria degli algerini, e dice: «Bisogna essere ciechi per non vedere l’ingiustizia e le conseguenze che ne derivano». Qualche settimana prima dello scoppio della lotta armata, nel 1954, è nominato arcivescovo di Algeri. Nel 1956, in una lettera ai preti in Algeria, impiega il termine “autodétermination” (autodeterminazione), mentre il suo predecessore non smetteva di predicare i benefici della colonizzazione.
«Non mi si dica che l’amicizia è impossibile tra uomini di condizioni, di razze, di confessioni diverse», dichiara il giorno della sua entrata nella cattedrale di Algeri. Non si crea soltanto amici. Ma non è solo, un certo numero di cristiani d’Algeria, come i Chalet o il padre Samson, aveva capito questo problema della giustizia. Nel 1962. chiama gli europei a restare e a partecipare allo sviluppo dell’Algeria indipendente e ne chiama altri a venire come cooperanti.«È necessario dire che non bisogna sopprimere le nostre scuole e  che devono essere le prime a promuovere il bilinguismo e la cultura algerina».
Lo stato algerino offre a mons. Duval la nazionalità algerina nel 1965. Alla sua morte, nel 1996, vengono celebrato funerali di stato.